Ben Bova - L'astronave dei 2000

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L'astronave dei 2000: краткое содержание, описание и аннотация

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Al tempo dei Condannati di Messina (Urania n. 601) vedemmo partire dalla Terra una singolare astronave-prigione con a bordo migliaia di indesiderabili. Ora sono passati cinquant’anni. Il gigantesco veicolo spaziale, la cui popolazione è più che raddoppiata, è in vista di Prossima Centauro. Ma dopo circa mille miliardi di chilometri nello spazio, come un’auto dopo centomila chilometri su strada, anche la più grossa e robusta delle astronavi comincia a dare dei fastidi. Ce la faranno i nostri esiliati ad arrivare su un pianeta abitabile? Il segnale d’allarme, l’incendio, i cinquanta morti con cui si apre il romanzo, permettono di dubitarne.

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Ma un’altra parte della sua mente ronzava con inesorabile logica: qualcuno ha provocato l’incendio. Qualcuno ha ucciso cinquanta persone e ti ha scavalcato facendosi eleggere presidente al tuo posto. Qualcuno vuol cambiare tutto, fare andare le cose a modo suo.

Nauseato, confuso, furibondo più che altro con se stesso, si avviò al suo alloggio.

Solo dopo che si fu buttato sulla cuccetta notò, sul video-schermo, la scritta MESSAGGIO IN ATTESA a sfavillanti lettere gialle. Si girò, e premette un pulsante giallo sul pannello di comando. Sullo schermo apparve la faccia di un giovane. Dan non lo conosceva, ma sapeva di averlo già visto, e si sforzò di ricordare dove.

— Sono Ross Cranston, della sezione elaboratori. Ho un messaggio riservato per Dan Christopher. Sarò nel mio alloggio fino al primo turno di domani mattina.

La comunicazione registrata sparì dallo schermo, e Dan, perplesso, pigiò il pulsante verde e disse: — Vorrei parlare con Ross Cranston.

I circuiti telefonici risposero con un lieve ronzìo. Poi sullo schermo apparve la stessa faccia di prima.

Ross Cranston parve un po’ sorpreso. — Oh… voi siete Dan Christopher, vero?

— Sì — disse Dan. — Volevate parlarmi?

— Sì, ma non al telefono — disse Cranston. — Se volete, vengo io da voi… o potete venire voi da me.

— Di che si tratta? — disse Dan.

Un po’ nervoso, Cranston rispose: — Preferirei… credo che sia meglio parlarne in privato.

— Ma di che cosa?

— Riguarda vostro padre.

Dan fu immediatamente tutto teso. — Vengo da voi. A che numero state?

Dieci minuti dopo, Dan bussò alla porta di Cranston. L’educazione imponeva colpetti leggeri, con le unghie, perché i comparti erano tutti tanto piccoli che bastava niente per farsi sentire, mentre un rumore forte avrebbe dato noia alla gente negli alloggi vicini. Ma Dan, a secondare i suoi impulsi, avrebbe picchiato pugni su quella porta.

Cranston gli aprì. Era molto più basso di Dan, coi capelli biondicci, lunghi, e una faccia un po’ troppo tonda per un giovane ma non ancora veramente grassa. Ed era timido, nervoso, con gli occhi irrequieti che guizzavano da tutte le parti.

— Allora, di che si tratta? — disse Dan, entrando. Il comparto era uguale a tutti gli altri, se non che Cranston aveva coperto le pareti di grafici e disegni strani, che erano poi moduli d’uscita dell’unità stampante dell’elaboratore.

Cranston indicò a Dan una sedia, poi prese dalla cuccetta un grosso cuscino, lo buttò per terra e si sedette a gambe incrociate.

— Io sono della sezione elaboratori — esordì.

— Questo me l’avete già detto al telefono — ribatté Dan.

— Sì. Ecco, stamattina facevamo dei controlli statistici di routine, introducendo nell’elaboratore i nomi delle cinquanta vittime dell’incendio per aggiornare la banca dei dati.

Dan aveva lo stomaco che si torceva. — E allora?

— Be’… quando siamo arrivati al nome di vostro padre, dev’essere scattato un sottoprogramma speciale, perché è stato emesso un messaggio.

— Un messaggio?

Cranston annuì. — È un po’ strano… non sono ben sicuro di che cosa significhi. Ma ho pensato che dovevate esserne informato.

— Che cosa diceva, questo messaggio? — Ogni nervo del corpo di Dan era in tensione.

Cranston allungò pigramente una mano e prese un foglietto dallo scrittoio. — Eccolo, ne ho fatto fare una copia.

Dan gli strappò di mano il sottile pezzo di carta. Lo guardò, scosse la testa, tornò a guardarlo.

PRTY SBRTN 7

PRM MMRY 2337-99-1

— È incomprensibile.

— No. È solo un sistema di abbreviazioni che i programmatori usavano al tempo in cui è cominciato il viaggio. Questo lo so per certo.

— Cosa vuol dire, allora?

— Se non sbaglio, e credo di non sbagliare, vuol dire che c’è un sottoprogramma di priorità sette, in una delle memorie principali, quelle che risalgono al principio del viaggio.

— I numeri cosa significano?

— Sono una forma d’indirizzamento, servono per rintracciare il sottoprogramma nella memoria relativa.

Improvvisamente Dan esplose. — Sottoprogramma, indirizzamento, memorie principali… di che diavolo state parlando? Spiegatevi!

Cranston si ritrasse spaventato. — D’accordo… calma, è abbastanza semplice. Pare che qualcuno abbia inserito un messaggio di priorità speciale che evidentemente doveva essere letto solo nel caso che vostro padre morisse, perché l’elaboratore non ce ne ha segnalato la presenza finché non l’abbiamo informato, appunto, della morte di vostro padre.

— Un messaggio di mio padre? — Dan era stravolto. — Che sospettasse… che sapesse? — Cranston lo guardava allibito. Dan l’afferrò per il davanti della tuta. — Trovate quel messaggio, subito! E senza farne parola con nessuno, capito?

— Va… va bene… come volete.

— Quanto tempo vi ci vorrà?

Divincolandosi, Cranston disse: — Non so… è difficile dirlo. Un giorno o due… anche di più se devo tenere il segreto con tutti.

— Fate più presto che potete — insistette Dan. — E non parlatene con nessuno, dico nessuno! Capito?

— Sì… certo…

— Benissimo. — Dan si alzò e uscì a lunghi passi dal comparto, lasciando Cranston accovacciato sul pavimento, con un’espressione tra sorpresa e spaventata, a lisciarsi il davanti della tuta.

Un messaggio di mio padre, si ripeté. È chiaro che sapeva quello che gli sarebbe successo!

VI

Il ponte di comando crepitava d’eccitazione.

Larry era al suo solito posto, dietro gli operatori. Sui video guizzavano immagini di ogni parte dell’astronave, pulsava il battito di ogni sistema.

Per un attimo il ponte tacque, in un silenzio d’attesa. Tutti trattennero il respiro, cosicché si sentiva solamente il sussurro degli aereatori e il mormorìo dei pannelli.

Larry era immobile dietro uno degli operatori e sorvegliava lo schermo sul suo pannello, dove si vedevano i lunghi cilindri scintillanti di quattro sonde a razzo automatizzate. Nell’angolo a destra in basso, sfavillò un 10 rosso.

— Dieci secondi al lancio — mormorò l’operatore.

L’operatore al pannello vicino aggiunse: — Tutti i sistemi in condizioni di funzionamento normale.

Il primo video alla sinistra di Larry mostrava una mappa stellare tracciata dall’elaboratore, con decine di puntini luminosi sparsi qua e là. Su un lato, quasi al limite dello schermo, uno dei puntini brillava a intervalli. Era l’obiettivo, il pianeta maggiore di Alpha Centauri, e si spostava sullo schermo, dirigendosi verso un cerchio punteggiato al centro della mappa.

Larry guardava. Il puntino lampeggiante raggiunse il cerchio e si fermò.

— Contatto — disse l’operatore. — Siamo nella bocca del lancio.

Ticchettando, il numero sul video sovrapposto all’immagine delle sonde cominciò a scendere: nove, otto, sette…

— Gli addetti al lancio sono pronti. — Su un pannello di controllo una luce passò dall’ambra al verde.

— Sei, cinque…

— Accensione motori.

— …quattro, tre, due…

— Portello aperto.

Larry vide il portello metallico davanti alle sonde scivolare via, scoprendo le stelle.

— …uno, zero.

— Fuori!

I quattro cilindri guizzarono via e in un batter d’occhio sparirono nel buio dello spazio.

— Schermo radar in funzione — disse una voce animata. — Accensioni come prestabilito. Tutti e quattro in rotta!

Larry non si rese conto di aver trattenuto il fiato se non quando lo lasciò andare in un lungo sospiro di sollievo. Gli operatori lanciarono un grido di trionfo, poi si voltarono l’uno verso l’altro dispensandosi sorrisi, strette di mano, pacche sulle spalle. Le ragazze furono baciate.

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