Margaret Weis - Ambra e ferro

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La vita sul mondo di Krynn è in rapida evoluzione e persino gli dei ne rimangono sconcertati. Che dire allora dei mortali? Di fronte a forze apparentemente invincibili, una piccola ma determinata banda di avventurieri pone in atto un disperato tentativo di arrestare un’invasione. Mina, enigmatica come sempre, riesce a fuggire dalla sua prigione sottomarina e parte per una ricerca che metterà a dura prova la sua forza di volontà, mentre il male sembra diffondersi inesorabilmente...

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«Non mi sono offeso», disse Rhys, toccando delicatamente Nightshade sulla spalla. «Ti ha mai detto nessuno che sei saggio, amico mio?»

«Non di recente», disse Nightshade con un sorriso.

«Ebbene, lo sei. Rifletterò su quello che hai detto. Vai a mangiarti la tua cena.»

Nightshade annuì e strinse la mano di Rhys. Lui e Atta si girarono e si diressero verso l’esterno, quando all’improvviso la porta si spalancò con uno schianto che scosse gli ubriachi dal loro stordimento e fece cadere di mano il boccale a diversi di loro. Una folata di vento, dal forte odore di mare, turbinò nell’interno della taverna, sollevando la polvere e facendola ruotare in minuscoli cicloni che accompagnarono l’ingresso di Zeboim.

La dea con noncuranza scagliò via il kender, che le ostruiva il passaggio, e guardò qua e là nella stanza ombrosa alla ricerca di Rhys.

«Monaco, lo so che sei qui», gridò con una voce di onde frangenti che fece cigolare le assi e mise in fuga i ratti. «Dove sei?»

Il vestito verde-mare le schiumava attorno alle caviglie, i capelli di spuma marina si aggrovigliavano al vento che sibilava attraverso le crepe dello scafo. L’oste rimase a bocca aperta. Gli ubriachi guardavano fisso. Lleu, avvistando una donna bellissima, balzò su e fece un inchino galante.

Rhys, sbalordito oltre misura, si alzò per andare incontro alla dea.

«Sono qui, maestà», gridò.

Atta gli si accucciò fra le gambe e rimase lì a ringhiare. Nightshade si tirò su da terra. Era riuscito, con un’abile acrobazia, a salvare la cena, e si infilò in tasca la carne.

«Sono qui anch’io, dea», cantilenò allegramente.

«Taci, kender», disse Zeboim, «e tu...». Sollevò una mano a protezione, puntando il dito contro Lleu. «Anche tu taci, disgustoso pezzo di carogna.»

Zeboim si concentrò su Rhys, sorridendo dolcemente. «C’è qualcuno che voglio farti conoscere, monaco.»

La dea fece un gesto e, dopo un attimo di esitazione, entrò nella taverna un’altra donna.

«Rhys, questa è Mina», disse Zeboim con noncuranza. «Mina, Rhys Mason... il mio monaco.»

Rhys rimase tanto stupito che cadde all’indietro, inciampando sul bastone e calpestando Atta, la quale guaì per protesta. Rhys non riusciva a dire niente: il suo cervello era in uno scompiglio tale che traeva ben poco senso da ciò che vedeva. Ebbe un’impressione fuggevole di una giovane donna che era non tanto bella quanto straordinaria, con i capelli come di fiamma e gli occhi come lui non ne aveva mai visti.

Gli occhi avevano il colore dell’ambra e Rhys ebbe la strana impressione che, come l’ambra, tenessero imprigionati tutti coloro che lei avesse incontrato. Lo sguardo d’ambra si fissò su di lui, e Rhys si sentì attratto da lei come tutti gli altri, centinaia di migliaia di persone catturate e imprigionate come insetti nella resina.

L’ambra filtrò attorno a lui, calda e dolce.

Rhys urlò e fece scattare in su il braccio per bloccare lo sguardo di lei, come avrebbe fatto scattare il braccio in su per parare un colpo.

L’ambra si incrinò. Gli occhi continuavano a racchiudere i poveri prigionieri, ma adesso Rhys vedeva imperfezioni, minuscole crepe e striature che si diramavano dalle pupille scure.

«Rhys Mason», disse Mina, porgendogli la mano. «Tu conosci la risposta all’indovinello!»

«Lui?» Zeboim lo schernì. «Lui non sa niente, bambina. Adesso dobbiamo proprio andare. Questa è stata una visita fuggevole, Rhys, amore mio. Mi dispiace che non possiamo fermarci. Volevo soltanto che voi due vi conosceste. Mi sembrava il minimo che potessi fare, dato che sono io quella che ti aveva ordinato di perlustrare il mondo alla sua ricerca. Pertanto addio...»

Lleu emise un grido sordo, un piagnucolio soprannaturale, e si scagliò su Mina. Cercò di afferrarla, ma lei indietreggiò allontanandosi da lui.

«Disgraziato», disse freddamente. «Che cosa pensi di fare?»

Lleu cadde in ginocchio. Tese le mani verso di lei, supplicando.

«Mina», gridò Lleu con tono straziante, «non mandarmi via! Tu mi conosci!».

Rhys lo guardò fisso e Nightshade rimase a bocca aperta. Lleu, che non ricordava Rhys, rammentava Mina.

Quanto a lei, lo guardò come avrebbe potuto guardare uno dei ratti. «Ti sbagli...»

«Mi hai baciato!» Lleu si strappò la camicia per svelare il marchio delle labbra di lei, impresso a fuoco nella carne. «Guarda!»

«Ah, tu sei uno dei Prediletti», disse Mina e alzò le spalle. «Hai la benedizione del mio signore...»

«Non la voglio!» gridò con veemenza Lleu. «Toglimela!»

Mina lo fissò, perplessa.

«Toglimela!» strillò Lleu. Serrò le mani ad artiglio verso di lei, ma artigliò l’aria non potendo raggiungerla. «Toglimela! Liberami!»

«Non capisco», disse Mina, e parve veramente meravigliata di quella richiesta. «Io ti ho dato quello che volevi, quello che tutti i mortali vogliono: la vita eterna, la giovinezza eterna, la bellezza eterna...»

«L’infelicità eterna», piagnucolò lui. «Non sopporto la tua voce strepitarmi di continuo negli orecchi. Non sopporto il dolore che mi spinge a uscire di notte, il dolore che niente può soffocare, neanche il liquore più forte...»

Lleu giunse le mani. «Toglimi la "benedizione", Mina. Lasciami andare.»

Lei si ritrasse, altezzosa e sdegnosa. L’ambra si indurì, le crepe si saldarono. «Tu ti sei donato al mio signore. Sei suo. Io non posso farci niente.»

Lleu si tuffò in avanti, sempre in ginocchio. «Ti prego!»

Zeboim rivolse al Prediletto un’occhiata di disgusto e tirò via Mina.

«Vieni, bambina. A proposito di Chemosh, si starà facendo impaziente. Quanto a te, monaco» – Zeboim si voltò per guardare Rhys dietro a sé, e il suo sguardo non era amichevole – «con te parlerò più tardi.»

Venti di tempesta irruppero nella taverna, investirono Rhys e lo scagliarono contro la parete. La sabbia gli punzecchiò il viso. Rhys non riusciva a vedere per via della sabbia e della pioggia sferzante, ma udì la gente imprecare, le cassette venire scagliate qua e là nella stanza. La tempesta infuriò per un istante e poi si placò. Rhys trovò Atta che si faceva piccola per la paura sotto una cassetta. Lleu era ancora in ginocchio. Sperando contro ogni speranza che a suo fratello fosse tornata la memoria, Rhys si affrettò a raggiungerlo.

«Lleu, sono io. Rhys...»

Lleu lo scagliò via. «Non mi importa un corno chi sei. Vai fuori dai piedi. Oste, ancora liquore!»

L’oste comparve, alzandosi da sotto il bancone. Diede un’occhiata in giro alle cassette rovesciate e agli ubriachi sottosopra, quindi si accigliò guardando Lleu.

«Begli amici che hai. Guarda che caos! Chi mi pagherà per questo? Non tu, immagino. Vai via», urlò, agitando il pugno serrato. «E non tornare più!»

Mormorando che aveva cose migliori da fare e posti migliori in cui andare, Lleu uscì a grandi passi dalla taverna, sbattendosi la porta dietro le spalle.

«Pagherò io i danni», disse Rhys, porgendo la sua ultima moneta. Fischiando ad Atta, si incamminò dietro a Lleu, dicendo a Nightshade mentre gli passava accanto: «Svelto! Dobbiamo seguirlo!».

Un gemito di Atta costrinse Rhys a fermarsi e a guardare indietro.

Nightshade fissava il punto in cui si era trovata Mina. Aveva gli occhi spalancati, e Rhys vide con stupore che sulle guance del kender scendevano lacrime.

«Oh, Rhys», disse Nightshade deglutendo. «Che tristezza. Che enorme tristezza!»

Seppellì il volto tra le mani e pianse come se gli si stesse spezzando il cuore.

2

Rhys si affrettò a tornare dall’amico.

«Nightshade», disse preoccupato. «Mi dispiace di essere stato tanto sconsiderato. Tu ti sei beccato una brutta caduta. Dove ti fa male?»

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