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Ursula Le Guin: I venti di Earthsea

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Ursula Le Guin I venti di Earthsea

I venti di Earthsea: краткое содержание, описание и аннотация

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La moglie di Alder il guaritore è morta, ma ogni notte invoca il marito dalle terre oltre il muro e tenta di attraversarne la soglia proibita. Nonostante il suo dolore, Alder comincia a temere che i trapassati cercheranno di entrare in massa in Earthsea, e per scongiurare il pericolo cerca l’aiuto di tre straordinari personaggi: Tehanu la donna bruciata, Tenar la sacerdotessa e il giovane Lebannen, apprendista re nel regno di Havnor. Insieme al drago Irian, capace di trasformarsi in donna, questo piccolo gruppo di eroi affronterà la rischiosa missione che ha come meta il Bosco Immanente di Roke, il luogo più sacro dell’arcipelago…

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Brando l’evocatore si alzò per rispondergli. Dopo alcuni convenevoli solenni, con un benvenuto particolare rivolto alla somma principessa, disse: — Tutti i maestri e i maghi di Roke concordano sul fatto che i sogni degli uomini, e non solo quei sogni, siano preavviso di cambiamenti terribili. Confermiamo che c’è uno sconvolgimento dei confini profondi tra la morte e la vita… violazioni di quei confini, e la minaccia di cose peggiori. Ma dubitiamo che tali sconvolgimenti possano essere compresi o controllati da chi non è un maestro dell’arte magica. E dubitiamo fortemente che si possa fare assegnamento sui draghi, che quanto a vita e morte sono completamente diversi dagli esseri umani, perché soffochino la loro collera selvaggia e la loro invidia per servire il bene umano.

— Evocatore — Replicò Lebannen, prima che Irian potesse parlare. — Orm Embar è morto per me a Selidor. Kalessin mi ha condotto al mio trono… Qui in questo cerchio ci sono tre popoli: il popolo kargico, il popolo hardico, e il popolo dell’Ovest.

— Erano tutti un unico popolo, un tempo — osservò il nominatore, con la solita voce pacata, monotona.

— Ma non sono un unico popolo, adesso — disse l’evocatore, scandendo greve le parole. — Non fraintendermi perché dico la dura verità, mio signore! Rispetto la tregua che hai concluso con i draghi. Quando il pericolo che incombe su di noi sarà passato, Roke aiuterà Havnor a cercare la pace duratura con loro. Ma i draghi non hanno nulla a che fare con la crisi in cui ci troviamo. Come non hanno nulla a che fare con questi eventi i popoli orientali, che hanno rinunciato alla propria anima immortale quando hanno dimenticato la Lingua della creazione.

Es eyemra - disse con voce bassa, sibilante, Tehanu, alzandosi in piedi.

L’evocatore la fissò.

— La nostra lingua — ripeté lei in hardico, fissandolo a sua volta.

Irian rise. — Es eyemra - disse.

— Voi non siete immortali — disse Tenar all’evocatore. Non aveva intenzione di parlare. Non si alzò. Le parole le scaturirono dalle labbra come scintille da una pietra percossa. — Noi moriamo per riunirci al mondo imperituro. Siete stati voi a rinunciare all’immortalità.

Poi tutti tacquero. Lo strutturatore aveva fatto un piccolo gesto con le mani, un gesto delicato.

Il suo volto era assorto, sereno, mentre studiava un disegno di rametti e foglie che aveva fatto sull’erba dove sedeva, davanti alle gambe incrociate. Sollevò gli occhi, girò il capo tutt’intorno, guardando le persone radunate in cerchio. — Penso che dovremo andare là, presto — annunciò.

Dopo altri attimi di silenzio, Lebannen domandò: — Andare dove, mio signore?

— Nelle tenebre — rispose lo strutturatore.

Mentre Alder sedeva e li ascoltava, le voci lentamente si affievolirono, svanirono, e la calda luce del sole pomeridiano dell’estate inoltrata si offuscò, inghiottita dall’oscurità. Non rimasero che gli alberi: alte presenze cieche tra la terra e il cielo. I figli più vecchi della terra. "Oh, Segoy" disse Alder nel proprio intimo, "creatura e creatore, lascia che io venga da te".

L’oscurità proseguiva all’infinito, oltre gli alberi, oltre ogni cosa.

Contro il vuoto, Alder vide la collina, l’altura che si trovava alla loro destra quando erano saliti, lasciando la cittadina. Vide la polvere della strada, le pietre del sentiero, che conduceva oltre il colle.

Abbandonò il sentiero, staccandosi dagli altri, e salì il pendio.

L’erba era alta. Tra i lunghi steli, ondeggiavano involucri avvizziti di fiori di scintillaria. Giunse su uno stretto viottolo e lo seguì lungo l’erta salita. "Ora sono me stesso" disse nel proprio intimo. "Segoy, il mondo è bellissimo. Lascia che io lo attraversi e venga da te".

Mentre camminava pensò: "Posso fare di nuovo quello che ho sempre fatto. Posso riparare ciò che è rotto. Posso ricongiungere".

Arrivò in cima alla collina. Fermandosi al sole e al vento tra l’erba ondeggiante, vide sulla destra i campi, i tetti della cittadina e della grande casa, la baia lucente e il mare oltre essa. Se si fosse girato, avrebbe visto dietro di sé, a Ovest, gli alberi della foresta sterminata, una distesa che si perdeva in lontananza, svanendo nell’azzurro. Davanti a lui, il pendio era buio e grigio, scendeva verso il muro di pietra e l’oscurità oltre il muro, verso le ombre che si accalcavano accanto al muro e gridavano. "Verrò" disse Alder alle ombre. "Verrò!"

Avvertì una sensazione di calore sulle spalle e sulle mani. Il vento agitava le foglie sopra la sua testa. Delle voci parlavano… parlavano, non gridavano, non invocavano il suo nome. Gli occhi dello strutturatore lo stavano osservando dalla parte opposta del cerchio d’erba. Anche l’evocatore lo osservava. Alder abbassò lo sguardo, sconcertato. Cercò di ascoltare. Si concentrò e ascoltò.

Il re stava parlando, usando tutta la sua abilità e la sua forza per tenere unito quel gruppo accanito e caparbio di uomini e donne, perché non perdessero di vista lo scopo comune. — Maestri di Roke, consentitemi di raccontarvi quanto ho appreso dalla somma principessa durante il nostro viaggio in mare. Principessa, posso parlare a nome tuo?

Il volto svelato, la giovane lo guardò e piegò il capo solenne, acconsentendo.

— Questo è il racconto della principessa, dunque: molto tempo fa, gli esseri umani e i draghi erano un unico popolo, parlavano un’unica lingua. Ma cercavano cose diverse, così decisero di separarsi… di prendere strade diverse. Quell’accordo era chiamato il Vedurnan.

Onice drizzò il capo, e Seppel spalancò gli occhi scuri. — Verw nadan - mormorò.

— Gli esseri umani andarono a est, i draghi a Ovest. Gli uomini rinunciarono alla loro conoscenza della Lingua della creazione, ricevendo in cambio l’abilità e la destrezza manuale, e il possesso di tutto ciò che l’arte manuale può creare. I draghi abbandonarono tutte queste cose. Ma tennero la Vecchia lingua.

— E le loro ali — disse Irian.

— E le loro ali — ripeté Lebannen. Aveva notato l’espressione interessata di Azver, e proseguì: — strutturatore, puoi forse continuare la storia meglio di me?…

— Gli abitanti dei villaggi di Gont e di Hur-at-Hur ricordano quello che i saggi di Roke e i sacerdoti di Karego dimenticano — dichiarò Azver. — Sì, da bambino mi hanno raccontato questa storia, penso, o qualcosa del genere. Ma i draghi non comparivano nel racconto. La storia parlava di come il popolo scuro dell’Arcipelago avesse violato il giuramento fatto. Avevamo tutti promesso di rinunciare alla stregoneria e alla lingua della stregoneria, di parlare solo la nostra lingua comune. Ci eravamo impegnati a non porre alcun nome, a non fare incantesimi. A confidare in Segoy, nei poteri della terra nostra madre, madre degli dei guerrieri. Ma le genti del popolo scuro ruppero il patto. Utilizzarono la Lingua della creazione nella loro arte, scrivendola nelle rune. La tennero, la insegnarono, se ne servirono. Fecero incantesimi con essa, con l’abilità delle loro mani, con lingue false che pronunciavano le parole vere. E dunque il popolo kargico non può mai fidarsi di loro. Così dice la storia.

Irian parlò. — Gli uomini temono la morte, mentre i draghi non la temono. Gli uomini vogliono essere padroni della vita, possederla, quasi fosse un gioiello in uno scrigno. Quegli antichi maghi bramavano la vita eterna. Impararono a usare i veri nomi per impedire agli uomini di morire. Ma chi non può morire non può mai rinascere.

— Il nome e il drago sono una cosa sola — disse Kurremkarmerruk il nominatore. — Noi uomini abbiamo perso i nostri nomi al verw nadan , ma abbiamo scoperto come riacquistarli. Il nome è il sé, l’essenza. Perché la morte dovrebbe cambiare questo fatto?

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