Marsh aveva ancora un colpo in canna. Riverso sul ponte, sollevò il fucile, ma fu troppo lento. Damon Julian distolse gli occhi da Joshua e si accorse dell’arma che veniva puntata su di lui. Piroettò e il colpo tuonò attraverso l’aria vuota. Mentre Joshua York aiutava Abner Marsh a rimettersi in piedi, Julian era ormai scomparso giù per le scale. «Inseguitelo,» disse Joshua ansiosamente. «E state in guardia! Potrebbe tendervi un agguato.»
«E voi?»
«Mi assicurerò che non lasci la nave,» disse Joshua. Poi roteò e saltò dal bordo del ponte di comando, sul castelletto, rapido e agile come un gatto. Atterrò ad un metro dal punto in cui giaceva Billy la Serpe, duramente, con un tonfo, e rotolò. Un istante dopo era di nuovo in piedi e saliva con velocità fulminea la grande scalinata. Marsh prese altri due proiettili e caricò il fucile. Poi, si avvicinò alla scala, sbirciò dabbasso con circospezione e iniziò a scendere, gradino dopo gradino, con il fucile pronto a sparare. Il legno scricchiolò sotto i suoi passi, ma non sentì altro. Marsh sapeva che questo non significava nulla. Tutti loro, si muovevano così silenziosamente. Aveva il presentimento di sapere dove Julian si sarebbe nascosto. Nel salone, o in una cabina all’esterno. Marsh tenne il dito sul grilletto, e continuò, fermandosi per abituare gli occhi all’oscurità. All’estremità opposta del salone, qualcosa si mosse. Marsh mirò e venne invaso dal gelo, poi si rilassò. Era Joshua.
«Non ha abbandonato la nave,» disse Joshua, mentre, muovendo la testa, perlustrava la cabina con i suoi occhi — migliori di quelli di Marsh.
«Immaginavo che non l’avesse fatto,» commentò Marsh. Improvvisamente, un’aria gelida invase la cabina. Gelida e immobile, come il respiro che usciva da una tomba chiusa da lungo tempo. Era troppo buio. Marsh non riusciva a vedere nulla, se non ombre vagamente minacciose. «Ho bisogno di un po’ di dannata luce,» annunciò. Alzò il fucile e sparò un colpo contro l’osteriggio. La detonazione echeggiò sordamente, in quello spazio chiuso, e il vetro si disintegrò. Piovvero giù schegge e scintille di luce. Marsh prese un’altra cartuccia per ricaricare il fucile. «Non vedo nulla,» disse, avanzando con il fucile sotto il braccio. La cabina era totalmente calma e deserta, almeno a quanto poteva constatare lui. Forse Julian è acquattato dietro il bancone del bar, pensò Marsh. Con cautela si avvicinò ad esso.
Un vago tintinnio gli arrivò all’orecchio, il tintinnio di cristalli che si agitano nel vento. Abner Marsh aggrottò la fronte.
E Joshua urlò. « Abner! Sopra di voi! »
Marsh guardò in alto, proprio mentre Damon Julian lasciava la presa sul grande lampadario oscillante e piombava verso di lui. Marsh cercò di sollevare e puntare il fucile, ma era troppo tardi, e lui era così dannatamente lento. Julian atterrò proprio sopra di lui, fece roteare il fucile lontano dalla presa di Marsh ed entrambi caddero al suolo. Marsh cercò di liberarsi. Qualcosa lo afferrò, lo spinse. Marsh sferrò alla cieca un pugno massiccio. Il colpo di risposta venne dal nulla e quasi gli staccò la testa. Per un attimo, giacque stordito. Qualcuno gli afferrò il braccio e glielo torse contro la schiena. Marsh urlò. La pressione non gli permetteva di alzarsi. Cercò di rimettersi in piedi, e il braccio fu piegato verso l’alto con forza terribile. Lo sentì spezzarsi e urlò di nuovo, più forte, mentre il dolore lo martellava. Fu spinto brutalmente sul ponte, con il viso premuto sul tappeto ammuffito. «Fate resistenza, mio caro Capitano, e io vi romperò l’altro braccio,» gli disse la voce melliflua di Julian. «Restate fermo.»
«Allontanatevi da lui!» intervenne Joshua. Marsh alzò gli occhi e vide che York era in piedi, a venti passi di distanza.
«Non la penso così,» replicò Julian. «Non muoverti, caro Joshua. Se ti avvicinerai, tagliere la gola del Capitano Marsh prima che tu sia a cinque passi. Rimani dove sei e lo risparmierò. Capito?» Marsh cercò di muoversi e si morse il labbro dal dolore.
Joshua si bloccò, le mani a mezz’aria come artigli di fronte a lui. «Sì,» disse, «Capisco.» Gli occhi grigi erano animati da una luce mortale, mannello stesso tempo, tradivano la sua incertezza. Marsh cercò con lo sguardo il fucile. Era a cinque passi, ben oltre la sua portata.
«Bene,» disse Damon Julian. «Ora, perché non ci mettiamo comodi?» Marsh sentì Julian afferrare una sedia. Si sedette proprio dietro a Marsh. «Mi siederò qui, nell’ombra. Tu puoi sederti sotto quella striscia di luce che il capitano ha così gentilmente lasciato entrare nel salone. Avanti, Joshua. Fai come ti dico, a meno che tu non voglia vederlo morto.»
«Se lo uccidi, non ci sarà più nulla a separarci,» disse Joshua.
«Forse voglio correre questo rischio,» replicò Julian. «E tu?»
Joshua York si guardò intorno lentamente, aggrottò la fronte, prese una sedia e si diresse sotto l’osteriggio rotto. Si sedette al sole, a buoni quindici passi da loro. «Togliti il cappello, Joshua. Voglio vedere il tuo viso.» York fece una smorfia, si tolse il cappello a falda larga e lo lanciò nell’ombra. «Molto bene,» disse Damon Julian. «Ora possiamo aspettare insieme. Per poco, Joshua.» Rise leggermente. «Fino a sera.»
A bordo del Fevre Dream
Maggio 1870
Billy Tipton aprì gli occhi e cercò di gridare. Ma solo un fievole piagnucolio sfuggì dalla morsa delle sue labbra. Risucchiò un alito d’aria e inghiottì sangue. Ne aveva bevuto a sufficienza di sangue per riconoscerne il sapore. Solo che stavolta era il suo. Tossì e boccheggiò spaventosamente, lottando per un soffio d’aria. Stava davvero male. Fiamme gli avvolgevano il petto, e la superficie su cui giaceva era bagnata sotto di sé. Sangue, ancora sangue. «Aiutatemi,» guaì debolmente. Troppo debolmente perché qualcuno potesse sentirlo a meno che non si trovasse ad un solo metro da lui. Rabbrividì e chiuse di nuovo gli occhi, quasi sperasse di addormentarsi ed allontanare così il dolore.
Ma il dolore non lo abbandonò. Billy giacque lì per un tempo interminabile, con gli occhi serrati, il petto scosso e dilaniato da squarcianti respiri. La sua mente, ormai, era sigillata ad ogni pensiero che non fosse la consapevolezza del sangue che continuava, incessantemente, a stillare dal suo corpo. Bocconi, con la faccia schiacciata sulle dure tavole del ponte non pensava che a quello, e all’odore. Un orribile tanfo che stagnava intorno a lui. Ed infine Billy Tipton lo riconobbe. Aveva defecato nei pantaloni. Non sentiva nulla, ma l’odore sì, quello lo avvertiva. Cominciò a piangere.
Finché persino piangere gli fu precluso. Non aveva più lacrime, ed era troppo doloroso. Un dolore indicibile. Cercò di dirottare i suoi pensieri verso qualcosa che superasse il dolore, forse così gli avrebbe dato un po’ di tregua. Lentamente gli tornò tutto in mente. Marsh e Joshua York, il fucile da caccia puntato in piena faccia. Erano venuti per fare del male a Julian, ricordò, e lui aveva cercato di fermarli. Solo che stavolta non era stato veloce abbastanza. Ancora una volta cercò di gridare. «Julian!» chiamò un po’ più forte di prima, ma comunque non tanto da poter essere udito.
Non vi fu risposta. Billy Tipton gemette e riaprì gli occhi. Era caduto, precipitato dal ponte di passeggiata. Ora si trovava sul castello di prua, ed era giorno. Damon Julian non poteva sentirlo. E seppure gli fosse giunta la sua voce, era così chiaro, pieno mattino, Julian non sarebbe venuto da lui, non sarebbe potuto venire fino al tramonto. A quell’ora sarebbe già morto. «Sarò morto prima del tramonto,» disse, e così sommessa fu la sua voce che egli stesso riuscì a stento a sentirla. Tossì e inghiottì altro sangue. «Mister Julian…» disse in un flebile sussurro.
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