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Patricia McKillip: Il Maestro degli Enigmi di Hed

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Patricia McKillip Il Maestro degli Enigmi di Hed
  • Название:
    Il Maestro degli Enigmi di Hed
  • Автор:
  • Издательство:
    Nord
  • Жанр:
  • Год:
    1986
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    88-429-0511-9
  • Рейтинг книги:
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Il Maestro degli Enigmi di Hed: краткое содержание, описание и аннотация

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La terra di Hed, è risaputo, non è mai stata una fucina di eroi. Tutti i suoi abitanti — compresi i principi che la reggono — sono contadini, ed anche Morgon, Signore di Hed, è un contadino. Ma non solo questo. Perché in un mondo da cui la magia è misteriosamente scomparsa in un remoto passato, e nel quale il sapere esoterico è affidato ai Signori degli indovinelli, Morgon può essere considerato un adepto, il miglior allievo della scuola di Caithnard, unico risolutore di un indovinello rimasto inspiegabile per oltre settecento anni. E poi Morgon ha tre stelle in fronte, identiche a quelle incise su un’arpa che solo lui può suonare e sull’elsa di una spada che solo lui può impugnare. Così, senza volerlo, il principe di Hed viene coinvolto in un viaggio fantastico e in un’avventura misteriosa, nel viaggio verso la montagna di Erlenstar assieme all’arpista del Supremo, per cercare risposta a una domanda che neppure lui ancora conosce. Con l’aiuto di Raederle, la donna che ama e per la quale ha vinto una sfida, Morgon affronterà un difficile cammino esistenziale e avventuroso, cercando la soluzione dell’enigma che lega passato e futuro, e combattendo Ohm, il mago corrotto che vuole alterare gli equilibri del mondo.

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— Dobbiamo ammainare le vele!

— Credo proprio — disse Deth, — che non ne avremo il tempo. — In quello stesso istante lo scafo sussultò rigidamente dal basso in alto, facendoli cadere all’indietro. Nella stiva i cavalli nitrirono terrorizzati. Il ponte stesso parve inarcarsi sotto di loro, come se si stesse squarciando; una gomena schioccò sopra la testa di Morgon cadendo sul tavolato; il fasciame gemette e ci fu lo schianto delle assi che si spezzavano. La voce di lui suonò stridula per l’emozione:

— Siamo fermi! In mare aperto, e siamo fermi!

Alle sue spalle un’ondata aggredì il ponte e sciabordò nel boccaporto spalancato; la nave s’inclinò su un fianco. Deth si allungò ad afferrare Morgon che stava scivolando attraverso il ponte; un altro cavallone li ricoperse entrambi, ed egli si sentì soffocare dall’amara acqua salmastra che gli aveva chiuso la gola. Sputacchiando si tirò in piedi, tenne con forza Deth per un polso, ed allorché si trovò davanti l’albero vi si aggrappò circondandolo con le braccia. Col volto schiacciato contro quello dell’arpista e i piedi che slittavano sul ponte inclinato, gridò raucamente:

— Chi era quella gente?

Ma se l’arpista gli diede una risposta, egli non riuscì a sentirla. La figura di Deth venne sommersa dalla schiuma di un’ondata; l’albero si stroncò con uno schiocco che vibrò fin nelle ossa di Morgon; poi le vele lacere appesantite dal sartiame e da un pennone piombarono su di lui, con un colpo che lo strappò via dal suo sostegno e lo scaraventò in mare come un fuscello.

CAPITOLO TERZO

Riprese i sensi, gettato come uno straccio in mezzo a sparsi cumuli di alghe secche, con la faccia immersa nei detriti e la bocca piena di sabbia. Sollevò la testa: uno dei suoi occhi gli rivelò una distesa di sabbia candida, cosparsa di erbe marine e di legni sbiancati dal salmastro; l’altro occhio era cieco. Lasciò ricadere la testa, chiuse nuovamente gli occhi, e dietro di lui qualcuno gli poggiò una mano su una spalla.

Ebbe un sussulto. Due mani lo afferrarono rudemente e lo girarono sulla schiena. Aprì le palpebre e si trovò a fissare gli occhi azzurro-ghiaccio di un gatto selvatico dal pelo bianco. Gli orecchi del felino erano minacciosamente abbassati. Una voce perentoria ammonì: — Xel!

Morgon cercò di parlare ma emise soltanto rauchi e strani versi che avrebbero potuto uscire dal becco di un corvo.

La voce disse: — Chi sei? Cosa ti è successo?

Egli tentò di rispondere. La sua voce non volle saperne di articolarsi in parole. Fu consapevole con sconfortante certezza che comunque non esistevano parole adatte, né in lui né altrove, per formulare risposta a quella domanda.

— Chi sei?

Egli chiuse gli occhi. Nella sua mente nacque come un vortice un gran silenzio, che lo trascinò giù sempre più giù in un abisso di tenebra.

Si risvegliò di nuovo sentendo un sapore di acqua fresca. Ciecamente protese la bocca, bevve finché la crosta di sale che gli copriva il palato si fu sciolta, poi si abbandonò all’indietro e la tazza sfuggì dalle sue mani prive di forza. Qualche istante più tardi aprì ancora il suo unico occhio buono.

Un giovanotto dai flosci capelli nivei, con gli occhi bianchi, era inginocchiato al suo fianco sul pavimento polveroso di una casupola. La stoffa del vestito che indossava, ampio e adorno di eleganti ricami, era bucherellata e consunta; la pelle del suo strano e orgoglioso volto era molto tesa, incavata sulle ossa.

Mentre Morgon lo fissava storditamente, disse: — Chi sei? Puoi parlare, adesso?

Morgon aprì la bocca. Simile a una lieve onda di pensieri che retrocedevano e svanivano, qualcosa che un tempo egli aveva conosciuto scivolò via del tutto dalla sua mente, lasciando il silenzio dietro di sé. Il fiato gli esplose fuori dai polmoni in un improvviso e violento colpo di tosse, e disperato si coprì il volto con le mani.

— Fai attenzione. — L’uomo gli fece scostare le dita dalla faccia. — Sembra che tu abbia battuto la testa contro qualcosa; il sangue e la sabbia ti si sono impastati su un occhio. — Glielo lavò con cautela. — E così, non riesci a ricordare il tuo nome. Sei caduto in mare da una nave durante la burrasca di ieri notte? Vieni da Ymris? O da Anuin? O da Isig? Sei un mercante? Forse vieni da Hed, o da Lungold? Sei un pescatore di Loor? — Il silenzio di Morgon gli fece scuotere la testa, perplesso. — Sei muto e incomprensibile come le sfere d’oro, vuote all’interno, che scavai fuori sulla Piana del Vento. Riesci a vederci, ora?

Morgon annuì, e l’uomo sedette a gambe incrociate scrutandolo in faccia come se sperasse di trovare il nome nascosto nei suoi lineamenti. D’un tratto il suo cipiglio si schiarì. Allungò una mano e grattò via lo strato di sale che s’era seccato sulla fronte di Morgon. La sua voce divenne un sussurro. — Tre stelle.

Morgon alzò le mani a toccarsele. L’uomo lo osservò incredulo. — Tu non ricordi neppure questo. Sei uscito dal mare con tre stelle sulla faccia, senza nome e senza voce, come un prodigio venuto dal passato… — Tacque, mentre una mano di Morgon scivolava ad afferrargli un polso e dalla sua bocca usciva un grugnito interrogativo. — Oh! Io sono Astrin Ymris. — Poi aggiunse, in tono secco e formale: Sono il fratello e l’erede di Hereu, Re di Ymris. — Infilò un braccio sotto le spalle di Morgon. — Se ti metti a sedere ti darò dei vestiti puliti.

Gettò in un angolo la tunica lacera e bagnata di Morgon, gli ripulì il corpo dalla sabbia, e lo aiutò a infilarsi un lungo saio di bella stoffa scura, fornito di cappuccio. Uscì a prendere un po’ di legna, ravvivò le braci sotto un pentolone di zuppa, ma ancor prima che questa fosse calda Morgon era ripiombato nel sonno.

Si risvegliò al crepuscolo. La casupola era deserta, ed egli si tirò a sedere guardandosi attorno. C’era pochissimo mobilio: due scaffali, un largo tavolo ricoperto da oggetti disparati, un alto sgabello, e il giaciglio su cui lui aveva dormito. Alla porta di legno erano appesi alcuni utensili: un piccone, un martello, uno scalpello e una spazzola, sporchi di terriccio. Al di là della soglia una grande pianura spazzata dal vento si stendeva verso ovest a perdita d’occhio. Non lontano dalla casa, scure rovine di pietra senza forma si stagliavano nella penombra violacea. A meridione si scorgeva, simile a una linea di confine fra le terre, il nero profilo di una foresta. Il vento che spirava dal mare sembrava parlare un vuoto linguaggio senza requie. Odorava di sabbia e di notte, e per un momento, nell’ascoltarlo, alcuni ricordi affiorarono nella tenebra della sua mente: acqua, freddo, un vento selvaggio. Fu costretto ad aggrapparsi allo stipite della porta per non cadere. Ma quelle memorie svanirono senza che egli riuscisse a dar loro un senso, né a trasformarle in parole.

Si volse. Sul tavolo di Astrin giacevano molte cosette abbastanza strane. Le toccò, incuriosito. C’erano frammenti di bellissimo vetro colorato, pezzi d’oro, cocci di stoviglie dipinte con arte, alcuni anelli di una pesante catena di rame, un flauto spezzato di legno e oro. Un riflesso di colore lo indusse ad allungare una mano verso un oggetto. Era una gemma sfaccettata, grossa quanto il suo pugno, e mentre se la rigirava fra le dita attraverso di essa balenarono tutti i colori del mare.

Sentendo uno scalpiccio si volse. Era Astrin. Con Xel alle calcagna l’uomo entrò e depose una borsa pesante e malridotta presso il camino.

Attizzando il fuoco borbottò: — È bella, non è vero? L’ho trovata ai piedi della Torre del Vento. Nessun mercante a cui l’ho mostrata ha saputo dirmi che razza di pietra è, così l’ho portata a Isig, allo stesso Danan Isig. Mi ha detto di non aver mai visto una gemma di quel genere sulle sue montagne, e che non conosceva nessuno, a parte lui e suo figlio, che sarebbe stato capace di tagliarla con quella perfezione. È stato lui a darmi Xel, per compagnia. Io non avevo niente con cui contraccambiare, ma egli disse che gli avevo già regalato un mistero, il che talvolta può risultare prezioso. — Appese il pentolone sul fuoco, aprì la sua borsa, e prese un coltello che pendeva da un chiodo. — Xel ha ammazzato due lepri; le cucinerò per la cena… — Quando Morgon gli toccò un braccio sollevò lo sguardo. Gli lasciò prendere il coltello. — Sei capace di spellarle? — Morgon annuì. — Dunque sai come si fa. Puoi ricordare qualcos’altro di te stesso? Pensaci. Cerca di… — Vedendo l’espressione tormentata di Morgon tacque. Gli poggiò una mano su una spalla. — Non importa. Prima o poi la memoria ti tornerà.

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