Alvin scosse la testa. «Aspettiamo a dirlo» disse a voce tanto bassa che le labbra a malapena si mossero.
Attesero. Qualche istante dopo, videro un uomo uscire dal bosco e scendere cautamente il pendio viscido di fango sino alla sponda, a poche braccia dalla quale beccheggiava una barca a remi. Vedendo che non c’era nessuno si guardò intorno, quindi sospirò e, dopo essere salito in barca, andò a sedersi a poppa, con il mento tetramente posato sulle mani.
A un tratto Horace cominciò a ridacchiare. «Che il demonio possa giocare ai birilli con le mie ossa se quello non è il vecchio Po Doggly!»
Nello stesso istante, l’uomo sulla barca fece un movimento, e Alvin riuscì finalmente a scorgergli il viso illuminato dalla luna. Era proprio il cocchiere del dottor Physicker. Ma a Horace questo non parve dare il minimo fastidio, tant’è vero che si lanciò giù per la sponda scivolosa, entrò in acqua tra gli schizzi, e abbracciò Po Doggly con tanta violenza che la barca s’inclinò pericolosamente. Allora, senza dire una parola, i due si mossero in modo da equilibrare perfettamente il carico, e poi, sempre in silenzio, Po infilò i remi negli scalmi mentre Horace prendeva da sotto il sedile una tazza di stagno e cominciava a immergerla ritmicamente nell’acqua che aveva invaso il fondo della barca e a vuotarla fuori bordo.
Per un istante Alvin si meravigliò nel vederli muoversi con tale perfetta coordinazione. Tuttavia, senza bisogno di far domande, capì immediatamente che non era la prima volta che quei due si trovavano in una situazione del genere. Ciascuno dei due sapeva esattamente cos’avrebbe fatto l’altro, per cui non aveva nemmeno bisogno di pensare. Ciascuno faceva la sua parte, e nessuno dei due aveva bisogno di controllarne l’esecuzione.
Come gl’infiniti frammenti di cui era composto il mondo; come la danza degli atomi che Alvin aveva visto con l’immaginazione. Prima di allora non ci aveva mai pensato, ma adesso si rese conto che anche le persone potevano essere come gli atomi. Il più delle volte la gente si muoveva in modo disorganizzato, ciascuno senza sapere chi fosse l’altro e che cosa facesse; nessuno stava fermo abbastanza a lungo da poter dare od ottenere fiducia, proprio come gli atomi prima che Dio insegnasse loro chi fossero e che cosa dovessero fare. Ma adesso Alvin vedeva davanti a sé due uomini che in apparenza neanche si conoscevano se non nella maniera superficiale in cui in una cittadina come Hatrack ciascuno conosce chiunque altro. Po Doggly, un ex contadino ridotto a far da cocchiere al dottor Physicker, e Horace Guester, il primo a stabilirsi in quei luoghi, padrone di una prospera locanda. Chi avrebbe mai pensato che potessero muoversi così all’unisono? Ma questo accadeva perché ciascuno dei due sapeva chi era l’altro, lo sapeva nella maniera più pura e profonda, lo sapeva con la stessa certezza con cui l’atomo sapeva il nome che Dio gli aveva dato; ciascuno al suo posto, a svolgere il proprio compito.
Tutti questi pensieri si accavallarono nella mente di Alvin in maniera così tumultuosa che lui a malapena si accorse di pensarli; eppure, negli anni a venire, si sarebbe ricordato bene che quello era stato il primo momento in cui aveva veramente capito: quei due uomini, insieme, creavano qualcosa di altrettanto solido e reale del terreno sotto i piedi di Alvin, dell’albero cui egli era appoggiato. La maggioranza delle persone non se ne sarebbe neanche accorta: non avrebbe visto altro che due uomini casualmente seduti nella stessa barca. D’altra parte, forse anche per gli atomi era la stessa cosa: agli occhi degli altri i due atomi che costituivano un pezzo di ferro magari sembravano solo due atomi che casualmente si trovavano uno accanto all’altro. Forse bisognava vedere tutto da molto lontano, come Dio, o comunque essere molto più grandi in modo da poter osservare che cosa fanno due atomi quando sono uniti in una certa maniera. Ma il semplice fatto che un altro atomo sia incapace di vedere quel rapporto non significa che esso non sia reale, o che il ferro non sia forte com’è nella sua natura.
E se posso insegnare agli atomi a creare dal nulla un lunghissimo filo, o magari a trasformare il ferro in oro, o addirittura — poniamo — a cambiare la sigla invisibile e segreta che contraddistingue ogni minuscolo frammento del corpo di Arthur in modo che i Cacciatori non possano più riconoscerlo… ebbene, pensò Alvin, perché un Creatore non potrebbe fare la stessa cosa con le persone, insegnando loro un nuovo ordine, e una volta trovato un numero sufficiente di individui di cui fidarsi, unirli in modo da costruire qualcosa di nuovo, qualcosa di forte, qualcosa di reale come il ferro?
«Allora, Alvin, ti decidi?»
Come dicevo, Alvin a malapena si rese conto di aver pensato tutte queste cose. Ma non se ne dimenticò nemmeno una: no, già mentre si lasciava scivolare sulla sponda fangosa seppe che non avrebbe più dimenticato ciò che aveva appena pensato, anche se per capirlo fino in fondo gli sarebbero stati necessari anni e miglia e lacrime e sangue.
«Che piacere vederti, Po» disse Alvin. «Anche se mi ero fatto l’idea che questa nostra spedizione dovesse restare segreta.»
A forza di remi, Po spinse la barca verso riva, allentando contemporaneamente la cima per permettere al giovane di salire a bordo senza bagnarsi i piedi. Alvin apprezzò la cortesia. Aveva una certa avversione per l’acqua, un’avversione senz’altro giustificata considerando tutte le volte che il Distruttore aveva tentato di usare l’acqua per ucciderlo. Ma quella sera l’acqua sembrava soltanto acqua; il Distruttore era invisibile o lontano. Forse era il filo sottile che ancora univa Alvin ad Arthur… forse quel filo era una creazione così potente che nemmeno disponendo di tutta quell’acqua il Distruttore aveva la forza di danneggiare Alvin.
«Non preoccuparti, Alvin, il segreto resta tale» disse Horace. «C’è qualcosa che tu non sai. Prima che tu arrivassi a Hatrack — o meglio, prima che tu vi facessi ritorno — Po e io venivamo spesso a prendere qualche schiavo fuggiasco per aiutarlo a rifugiarsi in Canada.»
«E i Cacciatori non vi hanno mai scoperto?» chiese Alvin.
«Se lo schiavo era arrivato fin quaggiù, di solito voleva dire che non aveva Cacciatori alle calcagna» spiegò Po. «E parecchi di loro avevano rubato il contrassegno.»
«In più, questo accadeva prima del Trattato sugli Schiavi Fuggiaschi» disse Horace. «Se non ci prendevano dall’altra parte, una volta giunti nell’Hio i Cacciatori non potevano più toccarci.»
«E a quei tempi avevamo anche una fiaccola» concluse Po.
Horace non fece commenti: si limitò a sciogliere la cima dalla barca rilanciandola a riva. Non appena la barca fu libera, Po fece forza sui remi; Horace si era già aggrappato ai bordi per non perdere l’equilibrio. Era straordinario vedere come ciascuno dei due intuisse ogni mossa dell’altro ancor prima che questi iniziasse a compierla. A quella vista Alvin quasi scoppiò a ridere dalla gioia, scorgendo ciò che era possibile, sognando ciò che avrebbe potuto significare: migliaia di persone che si conoscevano a vicenda come quei due, che si muovevano in modo da assecondarsi l’un l’altro, che lavoravano insieme in perfetta armonia. Chi avrebbe potuto opporsi a un popolo del genere?
«Dopo che la figlia di Horace se n’è andata, non abbiamo più avuto modo di sapere quando da queste parti arrivava uno schiavo fuggiasco.» Po scosse la testa. «Era finita. Ma sapevo che se avessero messo Arthur Stuart in catene e l’avessero trascinato al Sud, neanche mille diavoli avrebbero potuto impedire al vecchio Horace di attraversare il fiume per riportarlo indietro. Perciò, dopo aver lasciato i Cacciatori, mi sono allontanato dal fiume, poi ho fermato la carrozza e sono saltato giù.»
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