Robert Jordan - La lama dei sogni

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Elayne si ritrova invischiata nella lotta per la successione al trono di Andor, ma le Sorelle dell’Ajah Nera che si nascondono a Caemlyn sono pronte a far scattare su di lei una trappola mortale, mentre Egwene, caduta nelle mani delle Aes Sedai e ridotta al rango di novizia, non può far altro che sopportare con tenacia le punizioni inflitte per tentare di sgretolare dall’interno il controllo che Elaida esercita sulla Torre Bianca e gli intrighi delle Sorelle. Intanto Rand al’Thor, il Drago Rinato, impegnato nei preparativi per una tregua con i Seanchan, deve vedersela con i Reietti che cercano in ogni modo di ostacolarlo. Mat e Tuon, al seguito della carovana di Valan Luca, sono diretti al confine del territorio controllato dai Seanchan; la giovane Figlia delle Nove Lune è sul punto di completare la formula di nozze, ma sta per essere raggiunta da un’inattesa e sconvolgente notizia da Ebou Dar. Allo stesso tempo Perrin, dopo l’inaspettata alleanza con i Seanchan, si reca a Malden per sconfiggere gli Shaido e liberare l’amata Faile, intenta a pianificare la fuga dalla prigionia. Questi e altri coinvolgenti avvenimenti si intrecciano a nuovi e imprevedibili eventi corali che annunciano come Tarmon Gai’don, l’Ultima Battaglia, sia ormai alle porte...

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La Somma Signora Suroth Sabelle Meldarath giaceva sveglia a letto con lo sguardo fisso verso il soffitto. Il cielo era senza luna e le trifore che davano su un giardino del palazzo erano buie, ma i suoi occhi si erano adattati in modo da poter vedere almeno il contorno dell’intonaco adornato e dipinto. Non mancava più di un’ora o due all’alba, eppure lei non aveva dormito. Era rimasta sveglia la maggior parte delle notti da quando Tuon era scomparsa, dormendo solo quando la spossatezza le faceva chiudere gli occhi per quanto lei si sforzasse di tenerli aperti. Il sonno portava incubi che lei desiderava poter dimenticare. Ebou Dar non era mai davvero fredda, ma la notte aveva in sé una lieve frescura che la aiutava a restare sveglia, stesa soltanto sotto un sottile lenzuolo di seta. La domanda che guastava i suoi sogni era semplice e diretta. Tuon era viva o morta?

La fuga delle damane degli Atha’an Miere e l’assassinio della regina Tylin la facevano propendere in favore della sua morte. Tre eventi di quella portata accaduti per caso la stessa notte erano troppi per far pensare a una coincidenza, e i primi due erano tanto terribili di per sé da far pensare al peggio per Tuon. Qualcuno stava cercando di diffondere la paura fra i Rhyagelle, Coloro che Tornano a Casa, forse per sabotare l’intero Ritorno. Quale modo migliore di ottenerlo se non assassinare Tuon? Peggio ancora, doveva essere uno dei loro. Dal momento che lei era sbarcata sotto il velo, nessuno del luogo sapeva chi era Tuon. Tylin era stata sicuramente uccisa con l’Unico Potere, da una sul’dam e dalla sua damane. Suroth aveva sussultato all’idea che la colpa fosse delle Aes Sedai, tuttavia prima o poi qualcuno che contava avrebbe domandato in che modo una di quelle donne era potuta entrare all’interno di un palazzo pieno di damane in una città piena di damane e non essere individuata. Almeno una sul’dam era stata necessaria per rimuovere il collare alle damane del Popolo del Mare. E due delle sue stesse sul’dam erano scomparse quasi allo stesso tempo.

In ogni caso, la loro assenza era stata notata due giorni dopo, e nessuno le aveva più viste dalla notte in cui Tuon era sparita. Lei non credeva che fossero coinvolte, anche se erano state nei canili. Innanzitutto non riusciva a immaginare che Renna o Seta potessero togliere il collare a una damane. Di certo avevano motivo per sgattaiolare via e cercare un impiego molto lontano, presso qualcuno che ignorasse il loro sporco segreto, qualcuno come questa Egeanin Tamarath che aveva rubato un paio di damane. Un fatto strano per una persona da poco innalzata al Sangue. Strano ma irrilevante; lei non riusciva a vedere alcun modo per legarlo al resto. Era probabile che la donna avesse scoperto che le tensioni e le complicazioni della nobiltà erano troppo per una semplice navigante. Be’, prima o poi sarebbe stata trovata e arrestata.

Il fatto importante, quello potenzialmente letale, era che Renna e Seta erano sparite e nessuno poteva dire esattamente dove fossero andate. Se la persona sbagliata avesse notato la loro partenza così ravvicinata rispetto al momento critico e ne avesse tratto la deduzione sbagliata... Premette la parte inferiore dei palmi contro gli occhi ed emise un lieve sospiro, quasi un gemito.

Perfino se fosse sfuggita al sospetto di aver assassinato Tuon, se la donna era morta, lei stessa sarebbe stata obbligata a scusarsi davanti all’imperatrice, che potesse vivere per sempre. Per la morte dell’erede designata al Trono di Cristallo, le sue scuse sarebbero state protratte, in modo tanto doloroso quanto umiliante; sarebbe potuto terminare con la sua esecuzione o, peggio ancora, mandandola sul ceppo come proprietà. Non che si potesse arrivare davvero a tanto, anche se spesso nei suoi incubi era così. La sua mano scivolò sotto i cuscini per toccare il pugnale sguainato lì sotto. La lama era poco più lunga della sua mano, tuttavia più che affilata per tagliarsi le vene, preferibilmente dentro un bagno caldo. Se fosse giunto il momento delle scuse, lei non sarebbe vissuta per raggiungere Seandar. Il disonore forse sarebbe stato un po’ ridotto se abbastanza persone avessero ritenuto quell’atto in sé come delle scuse. Lei avrebbe lasciato una lettera per spiegarlo. Quella avrebbe potuto aiutare.

Tuttavia c’era una possibilità. Tuon poteva essere ancora viva, e Suroth vi si aggrappava. Ucciderla e far sparire il cadavere poteva essere una mossa misteriosa ordinata fin da Seanchan da una delle sue sorelle ancora in vita che bramava il trono, però Tuon aveva inscenato la propria scomparsa più di una volta. A sostegno di quella tesi, la der’sul’dam di Tuon aveva portato tutte le sue sul’dam e damane in campagna per esercitarsi nove giorni prima, e da allora non erano state viste. Per gli esercizi delle damane non occorrevano nove giorni. E proprio quel giorno — no; quello precedente, ormai, da qualche ora — Suroth aveva appreso che anche il capitano della scorta di Tuon aveva lasciato la città nove giorni prima con un notevole contingente dei suoi uomini e non era tornato. Era troppo per essere una coincidenza: era quasi una prova. Quasi sufficiente a sperare, perlomeno. Ciascuna delle sparizioni precedenti, però, aveva fatto parte della campagna di Tuon per ottenere l’approvazione dell’imperatrice, che potesse vivere per sempre, ed essere nominata sua erede. Ogni volta qualche rivale tra le sue sorelle era stata costretta o incoraggiata ad atti che l’avevano indebolita quando Tuon era ricomparsa. Che bisogno aveva di stratagemmi del genere qui, ora?, pensava. Lambiccandosi il cervello più che poteva, Suroth non riusciva a trovare un degno bersaglio fuori da Seanchan. Aveva considerato la possibilità di essere lei stessa l’obiettivo, ma solo brevemente e soltanto perché non riusciva a pensare a nessun altro. Tuon avrebbe potuto privarla della sua posizione nel Ritorno con tre parole. Tutto quello che doveva fare era rimuovere il velo; qui la Figlia delle Nove Lune, al comando del Ritorno, parlava con la voce dell’impero. Il semplice sospetto che Suroth fosse Atha’an Shadar, ciò che da questa parte dell’Oceano Aryth chiamavano un ‘Amico delle Tenebre’, sarebbe potuto essere sufficiente per Tuon per consegnarla ai Cercatori affinché la interrogassero. No, Tuon stava mirando a qualcos’altro. Se era ancora viva. Ma doveva esserlo. Suroth non voleva morire. Sfiorò la lama.

Chi o cos’altro non aveva importanza, se non per fornirle un indizio su dove poteva essere Tuon: quello era davvero importante. Immensamente importante. Malgrado l’annuncio di una spedizione prolungata di ispezione, fra il Sangue circolava già la voce che lei fosse morta. Più rimaneva dispersa, più quelle voci sarebbero cresciute, e con esse la pressione su Suroth perché tornasse a Seandar e presentasse le sue scuse. .Poteva resistere solo fino a un certo punto prima di essere giudicata sei’mosiev a un grado tale che solo i suoi stessi servitori e proprietà le avrebbero obbedito. I suoi occhi sarebbero stati schiacciati nel fango. Il basso Sangue così come l’Alto si sarebbero rifiutati di parlare con lei... forse perfino i comuni cittadini. Molto presto si sarebbe ritrovata su una nave, a prescindere dalla sua volontà.

Senza dubbio Tuon sarebbe stata contrariata di essere trovata, tuttavia pareva improbabile che la sua disapprovazione si sarebbe estesa fino a disonorare Suroth e a costringerla a tagliarsi i polsi; perciò Tuon doveva essere trovata. Ogni Cercatore nell’Altara era sulle sue tracce... quelli che Suroth conosceva, perlomeno. I Cercatori della stessa Tuon non erano fra quelli noti, eppure dovevano essere impegnati nelle sue ricerche sforzandosi il doppio rispetto agli altri. A meno che lei non li avesse messi a parte dei suoi piani. Ma in diciassette giorni tutto ciò che era stato scoperto era quella ridicola storia di Tuon che estorceva gioielli agli orafi, e questo era noto a ogni soldato semplice. Forse. La porta ad arco che dava sull’anticamera iniziò ad aprirsi lentamente e Suroth chiuse l’occhio destro per proteggere la propria visuale notturna dalla luce della stanza esterna. Non appena il varco fu abbastanza ampio, una donna nelle vesti diafane di una da’covale scivolò nella sua camera da letto e chiuse delicatamente la porta dietro di sé, facendo piombare la stanza in un’oscurità nera come la pece. Finché Suroth non aprì di nuovo l’occhio e distinse una sagoma che strisciava verso il suo letto. E un’altra ombra, enorme, che torreggiò all’improvviso in un angolo della stanza quando Almandaragal si alzò in piedi senza il minimo rumore. Il lopar poteva attraversare la stanza e spezzare il collo di quella sciocca in un istante, ma Suroth tenne la mano stretta sull’elsa del suo pugnale. Era saggio avere una seconda linea di difesa perfino quando la prima sembrava inespugnabile. A un passo dal letto la da’covale si fermò. Il suo respiro affannoso rompeva il silenzio.

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