Robert Jordan - La lama dei sogni

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Elayne si ritrova invischiata nella lotta per la successione al trono di Andor, ma le Sorelle dell’Ajah Nera che si nascondono a Caemlyn sono pronte a far scattare su di lei una trappola mortale, mentre Egwene, caduta nelle mani delle Aes Sedai e ridotta al rango di novizia, non può far altro che sopportare con tenacia le punizioni inflitte per tentare di sgretolare dall’interno il controllo che Elaida esercita sulla Torre Bianca e gli intrighi delle Sorelle. Intanto Rand al’Thor, il Drago Rinato, impegnato nei preparativi per una tregua con i Seanchan, deve vedersela con i Reietti che cercano in ogni modo di ostacolarlo. Mat e Tuon, al seguito della carovana di Valan Luca, sono diretti al confine del territorio controllato dai Seanchan; la giovane Figlia delle Nove Lune è sul punto di completare la formula di nozze, ma sta per essere raggiunta da un’inattesa e sconvolgente notizia da Ebou Dar. Allo stesso tempo Perrin, dopo l’inaspettata alleanza con i Seanchan, si reca a Malden per sconfiggere gli Shaido e liberare l’amata Faile, intenta a pianificare la fuga dalla prigionia. Questi e altri coinvolgenti avvenimenti si intrecciano a nuovi e imprevedibili eventi corali che annunciano come Tarmon Gai’don, l’Ultima Battaglia, sia ormai alle porte...

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Con la preoccupazione che gli corrugava il volto, Dain prese mantello e cintura portaspada di Galad, poi restò a spostare il peso da un piede all’altro, come se non fosse certo di fare la cosa giusta. Be’, gli era stata concessa la sua opportunità e adesso era troppo tardi per cambiare idea. Byar mise una mano guantata sulla spalla di Galad e si sporse vicino a lui.

«Gli piace colpire alle braccia e alle gambe» disse a bassa voce, lanciando occhiatacce a Valda. Dal modo in cui lo guardava torvo, c’era qualche questione in sospeso tra loro. Naturalmente quel cipiglio differiva poco dalla sua espressione abituale. «Gli piace far sanguinare un avversario finché non riesce a fare più un passo o sollevare la spada prima di ucciderlo. Inoltre è più veloce di una vipera, ma ti colpirà spesso al fianco sinistro e si aspetterà lo stesso da te.»

Galad annuì. Molti destrorsi trovavano più semplice colpire a quel modo, ma pareva una debolezza strana in un mastro spadaccino. Gareth Bryne e Henre Haslin lo avevano fatto allenare facendogli scambiare le mani sull’elsa in modo che non ricadesse in quell’errore. Era strano anche che Valda volesse prolungare un combattimento. A lui era stato insegnato a terminare tali questioni nel modo più pulito e rapido possibile.

«I miei ringraziamenti» disse, e l’uomo dalle guance scavate fece una smorfia arcigna. Byar era tutt’altro che un tipo socievole, e a lui stesso pareva che non piacesse nessuno tranne il giovane Bornhald. Dei tre, la sua presenza era la sorpresa maggiore, ma era lì, e questo contava a suo favore. In piedi in mezzo al cortile, nella sua giacca bianca dai ricami dorati e con i pugni sui fianchi, Valda ruotò in uno stretto cerchio. «Indietreggiate tutti contro i muri» ordinò a gran voce. Ferri di cavallo risuonarono sul selciato mentre i Figli e gli stallieri obbedivano. Asunawa e i suoi Inquisitori afferrarono le redini dei loro animali; il Sommo Inquisitore aveva un’espressione di fredda furia.

«Tenete sgombro il centro. Il giovane Damodred e io ci incontreremo qui...»

«Perdonami, mio lord capitano comandante,» disse Trom con un lieve inchino «ma dato che sei una parte in causa nel Giudizio, non puoi essere Arbitro. A eccezione del Sommo Inquisitore, che secondo la legge non può schierarsi, sono io a detenere il grado più alto dopo di te, dunque col tuo permesso...» Valda gli scoccò un’occhiataccia, poi si andò a mettere accanto a Kashgar con le braccia conserte. Si mise a tamburellare con il piede in modo plateale, impaziente che la faccenda procedesse.

Galad sospirò. Se il combattimento gli fosse stato avverso, come sembrava quasi certo, il suo amico avrebbe avuto il più potente uomo dei Figli schierato contro di lui. Era probabile che per loro sarebbe stato comunque così, ma adesso ancora di più. «Tienili d’occhio» disse a Bornhald, facendo un cenno col capo verso gli Inquisitori assiepati in sella ai loro cavalli vicino al cancello. I sottoposti di Asunawa lo attorniavano ancora come guardie del corpo, ogni uomo stringeva con una mano l’elsa della propria spada.

«Perché? Nemmeno Asunawa può interferire adesso. Sarebbe contro la legge.»

Fu molto difficile non sospirare di nuovo. Il giovane Dain era un Figlio da molto più tempo di lui e suo padre aveva servito l’ordine tutta la vita, ma l’uomo pareva sapere sui Figli meno di quanto Galad aveva imparato. Per gli Inquisitori, la legge era ciò che loro dichiaravano tale. «Tienili d’occhio e basta.»

Trom si mise al centro del cortile con la spada sguainata sopra la testa e la lama parallela al suolo. A differenza di Valda, pronunciò le parole esattamente com’erano scritte. «Per la Luce, siamo radunati per assistere al Giudizio della Luce, un diritto sacro per ogni Figlio della Luce. La Luce risplende sulla verità e qui la Luce illuminerà la giustizia. Che non parli nessun uomo tranne chi ne ha diritto legale, e che chiunque cerchi di intromettersi venga abbattuto sommariamente. Qui verrà trovata giustizia per la Luce da un uomo che alla Luce vota la sua vita, per la forza del suo braccio e la volontà della Luce. I combattenti si incontreranno armati dove mi trovo ora» proseguì, abbassando la spada al suo fianco «e parleranno tra loro in confidenza. Che la Luce li aiuti a trovare parole per porre fine a questa faccenda senza spargimento di sangue, poiché se così non sarà, uno dei Figli dovrà morire quest’oggi, il suo nome cancellato dai nostri ranghi e la scomunica macchierà la sua memoria. Per la Luce, così sarà.»

Mentre Trom si allontanava verso il lato del cortile, Valda si spostò al centro con la posizione del gatto che attraversa il cortilè, una falcala lenta e arrogante. Sapeva che nessuna parola avrebbe impedito lo spargimento di sangue. Per lui il combattimento era già cominciato. Galad si limitò a dirigersi verso di lui. Era alto quasi una testa più di Valda, ma l’altro uomo aveva un atteggiamento arrogante e sembrava sicuro di vincere.

Stavolta nel suo sorriso c’era solo disprezzo. «Niente da dire, ragazzo? Non mi meraviglia, dato che un mastro spadaccino tra un minuto ti taglierà la testa. Prima di ucciderti, però, voglio mettere in chiaro una cosa con te. Quella sgualdrina era viva e vegeta l’ultima volta che l’ho vista, e se adesso è morta me ne rammaricherò.» Quel sorriso si fece più intenso, sia di divertimento che di sdegno, «È stata la miglior cavalcata che abbia mai fatto, e spero di montarla ancora, un giorno.»

Una furia incandescente ribollì dentro Galad, ma con uno sforzo riuscì a voltare le spalle a Valda e ad allontanarsi, già dando in pasto quel furore a una fiamma immaginaria come i suoi due maestri gli avevano insegnato. Un uomo che combatteva in preda alla rabbia, moriva in preda alla rabbia. Quando fu di nuovo dal giovane Bornhald, aveva raggiunto quella che Gareth ed Henre chiamavano l’unicità. Fluttuando nel Vuoto, estrasse la sua spada dal fodero che Bornhald gli offrì, e la lama lievemente ricurva divenne una parte di lui.

«Cos’ha detto?» gli domandò Dain. «Per un istante, laggiù hai avuto un’espressione omicida.» Byar afferrò il braccio di Dain. «Non distrarlo» borbottò.

Galad non era distratto. Ogni cigolio del cuoio delle selle era chiaro e distinto, così come il clangore di ferri di cavallo sulle pietre del selciato. Poteva sentire mosche ronzare a dieci piedi di distanza come se fossero accanto al suo orecchio. Pensava quasi di riuscire a vedere i movimenti delle loro ali. Era tutt’uno con le mosche, con il cortile, con i due uomini. Erano tutti parte di lui e Galad non poteva lasciarsi distrarre da sé stesso.

Valda attese finché lui non si voltò prima di estrarre la propria arma dall’altro lato del cortile: un movimento guizzante, la spada con un bagliore indistinto ruotava nella sua mano sinistra, balzando nella destra in un altro giro sfocato prima di arrestarsi, dritta e salda come la roccia davanti a lui, in entrambe le mani. Iniziò ad avanzare, ancora una volta con il gatto che attraversa il cortilè. Sollevando la propria spada, Galad gli si diresse incontro, assumendo d’istinto un’andatura specifica, forse influenzata dal suo stato mentale. ‘Vuoto’, era chiamata, e solo un occhio allenato avrebbe saputo che non era una semplice camminata. Solo un occhio allenato si sarebbe accorto che si trovava in equilibrio perfetto in ogni istante. Valda non si era guadagnalo quella spada col marchio dell’airone per favoritismo. Cinque mastri spadaccini si erano seduti a giudicare le sue capacità e avevano espresso un voto unanime per conferirgli il titolo. Il voto doveva essere sempre unanime. L’unico altro modo era uccidere il portatore di una lama col marchio dell’airone in un combattimento leale, uno contro uno. Valda era stato più giovane di Galad adesso. Non aveva importanza. Lui non era focalizzato sulla morte di Valda. Non era focalizzato su nulla. Ma si proponeva la morte di Valda se, per ottenerla, avesse dovuto ‘inguainare la spada’, accogliendo volontariamente quella lama col marchio dell’airone nella propria carne. Galad accettava che si potesse arrivare a quello.

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