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Walter Miller: Un cantico per Leibowitz

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Al di là del letto di carboni rossi, il lupo scuro batté a sua volta le palpebre.

Il novizio gridò e si tuffò al coperto.

Il grido, decise mentre giaceva tremante nella sua tana di pietre e di frasche, era stato soltanto una infrazione involontaria alla regola del silenzio. Giacque, abbracciando la cassetta metallica e pregando che i giorni della Quaresima passassero in fretta, mentre zampe felpate raspavano attorno al suo recinto.

3

— … e poi, Padre, ho quasi preso il pane e il cacio.

— Ma non li hai presi?

— No.

— Allora non è stato un peccato.

— Ma li desideravo tanto, potevo sentirne il sapore.

— Deliberatamente? Ti sei compiaciuto deliberatamente di quella fantasia?

— No.

— Tu hai cercato di allontanarla.

— Sì.

— Quindi non hai peccato di gola con il pensiero. Perché stai confessando questo?

— Perché allora ho perduto la calma e l'ho spruzzato con l'acqua santa.

— Cosa? Perché?

Padre Cheroki, con la stola sulla spalla, fissò il penitente che era inginocchiato davanti a lui nella bruciante luce solare del deserto; il prete continuava a chiedersi come fosse possibile che quel giovane (non particolarmente intelligente, a quanto poteva stabilire) riuscisse a trovare occasioni o quasi-occasioni di peccato mentre era completamente isolato nel deserto spoglio, lontano da ogni distrazione e da ogni palese fonte di tentazione. C'erano ben pochi peccati che un giovane poteva commettere in quel luogo, armato come era soltanto di un rosario, di una pietra focaia, di un temperino e di un libro di preghiere. Così pareva a Padre Cheroki. Ma questa confessione stava richiedendo molto tempo; si augurò che il ragazzo si sbrigasse. L'artrite aveva ripreso a tormentarlo, ma per la presenza del Santissimo Sacramento sulla tavola portatile che portava con sé nelle sue ronde, il prete preferiva rimanere in piedi, o inginocchiarsi insieme al penitente. Aveva acceso una candela davanti alla piccola pisside dorata che conteneva le Ostie, ma la fiamma era invisibile nel bagliore del sole, e forse la brezza poteva averla già spenta.

— Ma l'esorcismo è permesso in questi tempi, anche senza nessuna specifica autorizzazione superiore. Cosa stai confessando… di esserti adirato?

— Anche.

— E con chi ti sei adirato? Con il vecchio… o con te stesso perché avevi quasi accettato il cibo?

— Io… non ne sono sicuro.

— Bene, deciditi — disse impaziente Padre Cheroki. — O accusi te stesso o non ti accusi.

— Mi accuso.

— Di che? — sospirò Cheroki.

— Di aver abusato di un sacramento in un accesso di collera.

— "Abusato?" Non avevi una ragione logica per sospettare una influenza diabolica? Ti sei limitato ad adirarti e ad aspergerlo? Come se gli avessi buttato l'inchiostro negli occhi?

Il novizio si agitò ed esitò, comprendendo il sarcasmo del prete. La confessione era sempre difficile, per frate Francis. Non riusciva mai a trovare le parole adatte per i suoi misfatti, e quando cercava di ricordare i suoi moventi, si confondeva irrimediabilmente. Il prete, dal canto suo, non lo aiutava, partendo dal punto di vista "l'hai-fatto-o-non-l'hai-fatto"… anche se, ovviamente, Francis aveva fatto una cosa o non l'aveva fatta.

— Credo di aver perduto il senno per un momento — disse alla fine.

Cheroki aprì la bocca, come se intendesse discutere la faccenda, poi cambiò idea. — Capisco. E poi?

— Pensieri di ghiottoneria — disse Francis dopo un attimo.

Il prete sospirò. — Credevo che avessimo finito, con questo. O è stata un'altra volta?

— Ieri. C'era quella lucertola, Padre. Era a strisce azzurre e gialle, e delle cosce magnifiche… grosse come il vostro pollice, e grasse, e io continuavo a pensare che avrebbe avuto lo stesso sapore del pollo, arrostita, tutta bruna e croccante di fuori e …

— Benissimo — l'interruppe il prete. Soltanto una sfumatura di repulsione alterò il suo vecchio viso. Dopotutto, quel ragazzo passava molto tempo al sole. — Hai preso piacere da questi pensieri? Non hai cercato di allontanare la tentazione?

Francis arrossì. — Io… io ho cercato di prendere la lucertola. È scappata.

— Dunque non è stato soltanto un pensiero… c'è stata anche l'azione. Quella volta soltanto?

— Ecco… sì, solo quella volta.

— Benissimo, pensiero e azione, con intenzione deliberata di mangiare carne durante la Quaresima. Ti prego di essere più specifico che puoi, dopo questo. Pensavo che avessi fatto un adeguato esame di coscienza. C'è altro?

— Oh, molte cose.

Il prete rabbrividì. Doveva visitare parecchi eremitaggi, era un cammino lungo e afoso, e le ginocchia gli dolevano. — Ti prego di sbrigartela più presto che puoi.

— Impurità, una volta.

— Pensieri, parole o fatto?

— Ecco, c'era quella succuba e lei…

— Succuba? Oh… di notte. Dormivi?

— Sì, ma…

— Allora perché lo confessi?

— A causa di… dopo

— Dopo che cosa? Quando ti sei svegliato?

— Sì. Ho continuato a pensare a lei. Ho continuato a immaginarmi tutto di nuovo.

— Bene, pensiero concupiscente, deliberatamente intrattenuto. Sei pentito? E poi?

Queste erano le solite cose che continuava ad udire, interminabilmente, da un postulante dopo l'altro, da un novizio dopo l'altro, e a Padre Cheroki sembrava che il meno che frate Francis potesse fare era di abbaiare le sue autoaccuse un, due, tre , in modo del tutto ordinato, senza bisogno di essere pungolato e sospinto perché gliele dicesse. Frate Francis sembrava trovare difficoltà nel formulare tutto ciò che stava per dire; il prete attendeva.

— Io credo che la vocazione sia venuta a me, Padre, ma… — Francis si inumidì le labbra screpolate e fissò un insetto su una pietra.

— Oh, davvero? — La voce di Cheroki era incolore.

— Sì, io credo… ma sarebbe un peccato, Padre, se quando l'ho visto per la prima volta, ho pensato con ironia a quella scrittura? Voglio dire…

Cheroki batté le palpebre. Scrittura? Vocazione? Che domanda era quella… Studiò l'espressione seria del novizio per pochi secondi, poi corrugò la fronte.

— Tu e frate Alfred vi siete scambiati dei biglietti? — chiese in tono minaccioso.

— Oh, no, Padre!

— E allora di che scrittura stai parlando?

— Di quella del Beato Leibowitz.

Cheroki fece una pausa per riflettere. Esisteva o non esisteva, nella collezione di documenti antichi dell'Abate, un manoscritto originale del fondatore dell'Ordine?… una copia originale? Dopo un attimo di riflessione, decise affermativamente: sì, ne erano rimasti alcuni frammenti, accuratamente custoditi sottochiave.

— Stai parlando di qualcosa che è accaduto all'abbazia? Prima che venissi qui?

— No, Padre. È accaduto là… — E accennò verso sinistra. — Sul terzo monticello, vicino al cactus più alto.

— Qualcosa che riguardava la tua vocazione, dici?

— S-sì, ma…

Naturalmente - disse Cheroki con voce tagliente. — Non vorrai farmi credere di aver ricevuto… dal Beato Leibowitz, morto ormai da seicento anni… un invito scritto a professare i voti solenni? E che tu… ehm… hai deplorato la sua calligrafia? Perdonami, ma è l'impressione che ne ho avuto io.

— Ecco, è qualcosa del genere, Padre.

Cheroki farfugliò qualcosa. Allarmato, frate Francis si tolse dalla manica un pezzo di carta e lo porse al prete. Era macchiata, resa fragile dal tempo. L'inchiostro era sbiadito. — Un etto pasticcini - pronunciò Padre Cheroki, sbagliando qualcuna delle parole poco familiari — scatola crauti… portare a casa per Emma. - Guardò fisso frate Francis per parecchi secondi. — E questo chi l'avrebbe scritto?

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