Robert Sawyer - Origine dell'ibrido

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Origine dell'ibrido: краткое содержание, описание и аннотация

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Mary Vaughan e Ponter Boddit, due scienziati che vogliono avere un figlio. C’è un ostacolo, però: lei appartiene alla specie Homo sapiens ed è nata nel nostro universo, lui è un Neanderthal evoluto e rappresenta la specie dominante di un mondo parallleo. La tecnologia per susperare il gap biologico esiste: è nelle mani di uno scienziato Neanderthal che vive nelle solitudini del suo mondo. Il problema, tuttavia, non è come raggiungerlo, ma come superare la violenza e il razzismo di una pianeta pieno d’odio. Il nostro.

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— Ma… non è irritante, non ricevere ciò che si era preventivato?

— Per voi — disse Veronica con un sorriso. — Ma non per noi.

Mary era affascinata. — È evidente che vuoi arrivare da qualche parte, Veronica…

— Il nostro lavoro, al Gruppo di ricerca di neuroscienza, era nato per analizzare le esperienze mistiche. Però ci sono un sacco di credenti che non ne hanno mai avute, e credono lo stesso. Questa era la falla della nostra teoria. Ora, però, ecco la risposta… Non capite? È la dinamica del rafforzamento psicologico a rendere possibile la fede in Dio. Se esistesse davvero un Dio, una specie razionale come la nostra si aspetterebbe da Lui un comportamento razionale, ma così non avviene. A volte sembra che Dio protegga un delinquente, e poi lasci precipitare una suora nel pozzo vuoto di un ascensore. Per questo diciamo…

Mary annuì. — “Le vie del Signore sono misteriose.”

— Già! — squittì Veronica. — I fedeli non vengono sempre esauditi nelle loro preghiere, ma perseverano nella preghiera. Invece, il popolo di Ponter ragiona in modo diverso. — Si voltò verso di lui. — Dico bene?

— Infatti. E senza chiedere suggerimenti ad Hak — rispose lui. — In caso di comportamento dagli effetti imprevedibili, noi lo bolliamo come insensato.

— Ma noi no! — esclamò Veronica fregandosi le mani. Aveva la stessa espressione da “copertina di Science, arrivo!” che aveva Mary quando aveva estratto per la prima volta del DNA da un neanderthal fossile. — Anche in assenza di uno schema regolare, noi ci convinciamo che sotto sotto dev’esserci una qualche logica. Per questo non ci limitiamo a scrivere saghe mitologiche, ma ci crediamo.

La Mary scienziata aveva confinato in un angolo la Mary credente. — Ne sei sicura, Veronica? Perché in questo caso…

— Oh sì, sì, sì. C’è un famoso esperimento… Te lo manderò per e-mail. Due gruppi di persone eseguivano un gioco su una scacchiera. Non erano state spiegate loro le regole; solo che avrebbero ricevuto punti se avessero compiuto la mossa giusta. Ora, a una delle due squadre si assegnavano punti se riusciva a occupare i quadretti in basso a destra; cosa che i giocatori imparavano abbastanza in fretta. All’altra squadra i punti venivano assegnati a casaccio: che facessero punti o meno, non dipendeva minimamente dalle mosse eseguite. Eppure, anche loro alla fine si dissero convinti di avere imparato la regola, e sì sforzavano di applicarla.

— Sul serio? — disse Ponter. — Io dopo un po’ avrei lasciato perdere.

— Invece, i nostri avevano l’adrenalina a mille — fece Veronica.

— O lo stress? — chiese Mary.

— Anche lo stress, certo, perché noi non accettiamo l’assenza di una logica. — Veronica si rivolse di nuovo a Ponter. — Posso fare un altro piccolo test? Per favore, sempre senza suggerimenti da Mary. Ponter, conosci il gioco del lancio della monetina?

Lui non lo conosceva, e lei gli diede una dimostrazione pratica. Quindi chiese: — Se eseguo 20 lanci, e se per 20 volte viene “testa”, quante probabilità ci sono che venga testa anche la ventunesima volta?

— Il 50 per cento — disse lui.

— Giusto. Ma, quando pongo la stessa domanda alle matricole di Psicologia, la maggior parte di loro afferma che la probabilità di rifare “testa” sia astronomicamente bassa. A un qualche livello profondo, i nostri cervelli sono congegnati in modo da assegnare una motivazione agli eventi casuali. Ecco perché anche coloro che non hanno mai avuto una visione come quella che ti ho indotto, Mary, vedono la mano di Dio anche nel puro caso.

9

“E fu questo spirito d’avventura a spingere alcuni di noi, durante l’Era glaciale, a percorrere migliaia di chilometri da un lato all’altro del ponte naturale di Bering, che collegava la Siberia all’Alaska…”

Prima di ripartire in direzione del varco, Mary intendeva dare un’occhiata alla libreria interna dell’Università Laurenziana. Si era dimenticata di prendersi qualcosa da leggere a Richmond Hill, e di certo non ne avrebbe trovato nell’universo neanderthal.

Per la verità, aveva anche bisogno di qualche minuto in solitudine per metabolizzare l’esperienza del laboratorio. Stava percorrendo la “pista da bowling” che portava dall’edificio scolastico al salone d’ingresso; in direzione opposta veniva una giovane e graziosa ragazza di colore. Mary non era granché fisionomista, ma al momento di incrociarsi notò nell’espressione della ragazza che l’aveva riconosciuta.

Ormai ci era abituata: era da agosto che la sua faccia finiva continuamente sui media. Proseguì di qualche passo… poi ebbe un flash.

— Keisha! — esclamò voltandosi.

Anche quella si voltò, e sorrise. — Ciao, Mary.

— Non ti avevo riconosciuta — disse Mary.

Keisha sembrò volersi scusare. — Io sì, ma… ma abbiamo l’obbligo di non salutare nessuna, fuori dal Centro, se non è l’altra a farlo per prima. Questioni di tutela della privacy.

Mary annuì. Il “Centro” era il Centro di crisi per donne che avevano subito violenza, interno alla Laurenziana. Mary ci era andata dopo ciò che era successo alla York University.

— Ora come stai? — chiese Keisha.

Nelle vicinanze c’era il bar. — Hai un momento? — disse Mary. — Ti offro volentieri un caffè.

La ragazza guardò l’ora. — Okay! Oppure… ti va di salire? Al Centro, intendo.

— No. Non è necessario. — Però restò muta mentre percorrevano la decina di metri che le separavano dal bar. Già, come stava, adesso?

Quello era uno dei pochi locali in cui, grazie a confezioni sempre aperte di latte e di cioccolata, Mary poteva ordinare la sua bevanda preferita: caffè macchiato con cioccolato. Lo fece. Keisha prese un succo di mela. Presero posto a uno dei tavolini a filo della parete trasparente che dava sul corridoio.

— Volevo ancora ringraziarti — disse Mary. — Sei stata così gentile con me, quando…

Al naso, Keisha aveva un piercing con un gioiellino. Abbassò la testa, e un raggio di sole lo fece scintillare — Siamo lì per quello.

— Mi hai chiesto come va. Adesso c’è un uomo nella mia vita.

La consulente sorrise. — Ponter Boddit. Ho letto tutto su “People”.

A Mary prese un colpo. — “People” ci ha dedicato un articolo?

— Oh, sì. La scorsa settimana. C’era anche una bella foto di te e Ponter alle Nazioni Unite.

Oddio. — Be’, lui mi ha fatto stare meglio.

— Ma Ponter accetterà quell’offerta di posare per “Play-girl”?

Mary sghignazzò; chi ci pensava più? L’offerta era arrivata durante il primo viaggio di Ponter. Una parte di Mary era favorevole, tanto per mostrare a quelle snob delle sue ex compagne di classe con che pezzo d’uomo si fosse messa. Un’altra parte di lei già vedeva Colm che, con passo furtivo, si avvicinava a un’edicola per scoprire che cosa avesse quel neanderthal che lui non aveva.

— Non so — rispose. — All’epoca Ponter l’ha presa sul ridere, e in seguito non ne ha più parlato.

— Be’, se mai accettasse, voglio una copia con autografo — disse Keisha con un sorriso.

— Stanne certa — disse Mary. E lo intendeva alla lettera: non avrebbe mai potuto dimenticare la violenza, come neppure Keisha la propria, ma il fatto che riuscissero a scherzare in quel modo indicava che entrambe avevano fatto parecchi passi avanti.

— Per tornare alla domanda: “come stai?” — riprese Mary, battendo una pacca sulla mano di Keisha — la risposta è: “meglio”. Meglio di giorno in giorno.

Terminata la pausa, Mary si precipitò alla libreria, acquistò quattro tascabili e poi tornò a prendere Ponter. Al parcheggio la temperatura era decisamente aizzante.

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