Lanciò l’arpione, che sfrecciò più preciso di quanto avrebbe potuto sperare. Si conficcò nel bulbo scoperto dell’occhio della faucenera, immergendosi abbastanza in profondità da far emettere alla creatura un grido che parve scuotere il mondo. La sua mole si ritrasse dalla nave che tornò a raddrizzarsi e il tonfo provocato dal suo rientro in acqua riversò sul ponte un’onda che minacciò di affondarla.
Per tutto il tempo, Greave tenne Aurelle stretta, determinato a non lasciarla andare. La tirò su, stringendola a sé perché non corresse il rischio di cadere nell’acqua ma anche perché voleva assicurarsi che fosse ancora viva, ancora lì, ancora salva.
“Pensavo che ti avrei persa,” disse.
“Mi avete salvata,” rispose lei. “Io… Io non so cosa dire…”
“Io sì,” replicò Greave e la baciò dolce. “Ti amo.”
“Io… Vi amo anch’io.”
***
Aurelle pronunciò le parole in automatico, perché alla Casa dei Sospiri le avevano insegnato bene che certe cose erano uno strumento da usare, un mero modo in più per controllare i sentimenti di chi le udiva. Per coloro il cui unico ruolo era vendersi agli altri, quelle erano parole che potevano rimuovere una sfumatura di inclemenza oppure accrescere l’incasso. Per quelle come lei, potevano essere un’arma affilata come pugnali.
Avrebbe potuto infilzare il Principe Greave in quel momento. Era abbastanza vicino e forse, a seguito del caos, i marinai avrebbero pensato che la bestia lo avesse in qualche modo ferito.
O forse no, il contrario. Forse avrebbero capito cosa aveva fatto e l’avrebbero uccisa; o magari avrebbero pensato che la ferita fosse stata provocata dalla creatura, ma sarebbe comunque rimasta una donna sola su una nave piena di marinai, senza alcuna via d’uscita se non la loro grazia.
No, una nave non era il luogo migliore per uccidere il principe, anche se il suo benefattore le avrebbe probabilmente intimato di farlo subito, a prescindere dai rischi. Si ritrovò a pensare al Duca Viris e alle cose che le aveva fatto fare. Non aveva motivo di pensare che lui si preoccupasse minimamente per lei. Il tempo passato insieme alla Casa dei Sospiri ne era stato prova.
Si disse che stava solo agendo in modo pratico, ma in realtà c’era dell’altro. Greave era un uomo gentile, amabile e premuroso, molto diverso dalla maggior parte degli uomini che aveva conosciuto. Si era lanciato nel pericolo per salvarla senza pensarci un momento, quando sarebbe invece potuto rimanere aggrappato alla sua fune, in attesa che i marinai virassero per seminare la faucenera. Non poteva immaginare il Duca Viris a fare un gesto simile.
La missione che le aveva attribuito era chiara: doveva impedire a Greave di trovare un modo per aiutare sua sorella. Doveva distrarlo, controllarlo e, se necessario, ucciderlo. Adesso, Aurelle si ritrovava a temere quella necessità con tutta se stessa, perché non sapeva se le sarebbe riuscito. Non poteva immaginarsi a uccidere Greave, non poteva immaginarsi a fargli del male.
Rifletté poi sul fatto che non riuscire ad aiutare sua sorella gli avrebbe fatto altrettanto male. Poteva davvero farlo? Doveva davvero farlo? Il buonsenso le diceva che non aveva scelta, che il Duca Viris non era solo il suo datore di lavoro, ma quello la cui discendenza poteva ascendere al potere dopo tutto ciò. Aurelle aveva provato cosa significava essere in balia di uomini potenti e non voleva certo far infuriare uno dei più forti.
Eppure… era ancora aggrappata a Greave, teneva ancora stretto quel meraviglioso uomo così raro, disposto ad attraversare un intero regno per aiutare sua sorella, che dava più valore ai libri che alla violenza.
“Vi amo,” ripeté, mentre rifletteva sul fatto che alcuni pugnali avevano le lame da entrambi i lati e, con essi, tagliare se stessi era facile quanto colpire il nemico.
Avrebbero presto raggiunto la terraferma e dopodiché… dopodiché avrebbe dovuto scegliere.
Il Principe Vars cavalcava in capo ai suoi uomini, cercando di stare dritto sulla sella e conservare l’aspetto del reale che era. Era sempre stato bravo in questo. Non era muscoloso come Rodry, non aveva la bellezza femminea di Greave, ma era comunque giovane, piacente e dall’aspetto nobile nella sua armatura e nei suoi abiti eleganti mentre procedeva.
Sapeva che le guardie al suo seguito lo stavano osservando, in attesa di ricevere i suoi ordini. Ripensava alla locanda dove avevano passato la notte, ora prosciugata della birra, della carne e delle donne. Vars aveva pagato per avere la sua parte di tutte e tre, e adesso la tentazione era di rimmergersi lì dentro e dimenticare tutto il resto.
“Vostra altezza,” disse il funzionario addetto alle cerimonie. “Non dovremmo sbrigarci se dobbiamo raggiungere la principessa durante il suo raccolto nuziale?”
“ Io do i comandi, Sergente,” gli ricordò Vars, ma la cosa irritante era che l’uomo aveva ragione. Evitare la fatica per una sera non aveva causato danni e avrebbe ricordato a tutti che lui era il capo. Tuttavia, sapeva quanto si sarebbe arrabbiato suo padre se avesse scoperto che non era con sua sorella e non voleva certo rischiare di provocare la collera del re.
“Molto bene,” disse. “In marcia!”
Partirono, con il sole che iniziava ad alzarsi e il caldo era più piacevole che opprimente. Passarono la mattina a ripercorrere la strada per tornare al bivio dove Vars aveva optato per l’altra direzione. Cavalcarono attraverso un campo aperto e coltivato, dove distese di grano e qualsiasi altro raccolto che i contadini stavano crescendo giacevano su entrambi i lati. Le strade laggiù erano polverose, con pareti rocciose bilaterali e qualche albero in qua e in là: melo e cedro, quercia e pero. Un gruppo di pecore pascolava in uno dei campi vicini, stupide come spesso parevano essere le persone.
Almeno i suoi uomini erano sensati: quando raggiunsero il punto in cui il cartello del bivio giaceva a terra, non dissero una parola sull’essere già stati lì. Vars li guidò sull’altra strada della biforcazione; la locanda in cui doveva aver trascorso la notte Lenore non doveva essere situata a più di circa un’ora di distanza a cavallo.
Dopo quel periodo trascorso da sola, già abbastanza spaventata per i pericoli della strada, avrebbe salutato Vars come aveva sempre accolto il suo eroico fratello Rodry. Certo, Vars avrebbe dovuto trascorrere qualche altro giorno di viaggio con lei, procedendo lento attraverso i luoghi più remoti del regno per raccogliere tributi, ma forse non sarebbe stato così male adesso. Forse alcuni di quei tributi sarebbero potuti finire nei suoi scrigni lungo il tragitto…
Quel piacevole pensiero lo incoraggiò a procedere mentre le sue truppe marciavano al suo passo, percorrendo la strada fino alla locanda. Riusciva a scorgerla in lontananza; la costruzione era adesso visibile fra gli alberi. Vars spronò il suo cavallo con il tacco. Sarebbero arrivati come una singola schiera senza macchia e senza paura, con lui in capo a tutti…
Qualcosa non andava. Avrebbe dovuto esserci del fumo provocato dai fornelli laggiù, avrebbero dovuto esserci almeno una dozzina di segni di vita. Invece, tutto taceva. Una parte di Vars gli urlava di tornare indietro, di restare lontano. Sapeva però che, se l’avesse fatto, sarebbe apparso debole, sarebbe tornato da suo padre e…
Quindi rimase defilato quanto bastava per far sì che gli altri raggiungessero la locanda prima di lui. Dietro al muro dei suoi uomini, vide il punto in cui la carrozza di Lenore era stata lasciata, e quello alimentò la speranza in lui. Poi però notò i corpi e la speranza tornò a morire, rimpiazzata da una paura schiacciante.
Giacevano lì, dov’erano stati uccisi o trascinati. Riconobbe le uniformi delle poche guardie che Lenore aveva portato con sé ed erano ricoperte di sangue. C’erano anche le domestiche, uccise con altrettanta brutalità, sebbene forse con una velocità minore. L’occhio esperto di Vars conosceva fin troppo bene i segni inflitti con violenza minuziosa.
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