Robert Silverberg - Il secondo viaggio

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Il secondo viaggio: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel mondo del prossimo futuro immaginato da Silverberg in questo romanzo, i criminali incalliti non vengono più condannati alla prigione ma mandati in particolari Centri di Riabilitazione, dove subiscono un trattamento di droghe che cancella come una spugna la loro personalità, lasciando un corpo con una mente vuota come quella di uno “zombie”. Su questa mente pulita come una lavagna, i terapisti del Centro di Riabilitazione costruiscono, con un paziente lavoro di anni, una nuova identità: una persona “fittizia”, dotata di un passato inventato ma dalle caratteristiche morali più salde di quelle della vecchia personalità. Paul Macy è una di queste persone “ricostruite”: il suo corpo apparteneva prima a Nat Hamlin, il più grande psico-scultore del mondo, un uomo di indubbio talento ma totalmente schiavo dei suoi istinti sessuali, al punto di diventare un inveterato stupratore nei sobborghi di New York.
Per i “ricostruiti” l’inserimento nella società non è facile, ma per Paul Macy le difficoltà si presentano fin dall’inizio quasi insormontabili: l’imbarazzo dato dalla notorietà di cui godeva la vecchia identità del suo corpo, il brusco incontro con Lissa, una ragazza telepatica con cui Hamlin aveva avuto una tempestosa relazione e soprattutto una serie di incubi ricorrenti in cui compare sempre la figura di Hamlin metteranno a dura prova la stabilità di Macy. E presto quello che appariva solo un incubo si trasformerà in realtà: la personalità di Hamlin non è stata affatto annullata ed ora torna all’attacco della mente di Macy con demoniaca violenza e con la precisa volontà di riprendersi il suo corpo.

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Si fermò di nuovo sul pianerottolo del quinto piano. Doppia fila di porte che si restringe all’infinito. Lissa dietro una di queste. Forse sarebbe meglio avvertirla che era venuto a cercarla. Forse uscirà sul corridoio e non dovrò andare a bussare a tutte le porte. Un respiro profondo. Emettendo il più forte segnale mentale che gli riuscì, sperando che fosse sulla lunghezza d’onda di lei. Lissa. Lissa. Sono io, Paul, sono vicino alle scale. Sono venuto a prenderti, tesoro. Mi senti, Lissa?

Nessuna risposta.

Okay. Adesso guardiamo. Cominciò a percorrere il corridoio, studiando le porte senza volto. In un buco come questo, non si mettono targhette con il nome. Non riusciva a ricordare dove fosse la sua stanza. Alla fine del corridoio, lontano dalle scale, ma c’erano dozzine di porte. Eccone una che potrebbe essere quella giusta. Fece per bussare ma si trattenne. Vergogna? Paura? Gente strana e selvaggia abita questi slum. Magari non parlano neanche inglese. E io che vengo a disturbare il loro misero pasto. Ma se non busso non la troverò mai.

Ancora una volta sollevò la mano. No. Olovisione al massimo volume, lì dentro. Non poteva essere lei. Andrò avanti. Qui? No, in questo stanno cuocendo qualcosa. Calamari al curry. Polpette di ragno. Lissa? Lissa? Dove sei?

Passi nel corridoio, alle sue spalle.

Qualcuno correva verso di lui.

Rapinatore. Accoltellatore. L’inseguitore delle scale. Macy cercò di voltarsi per affrontarlo, ma prima di essere arrivato a metà, l’altro gli fu addosso, gli afferrò le braccia, bloccandolo. Un uomo grande quanto lui. Lottarono silenziosamente, nel buio, grugnendo. Un ginocchio si piantò nel fondo schiena di Macy. Riuscì a liberarsi un braccio, cercò di afferrare il suo assalitore, un occhio, un orecchio, qualsiasi cosa. Prima che usasse il coltello. Prima che usasse il paralizzatore.

Con uno scossone, Macy riuscì a spingere l’altro contro la parete, colpendolo forte con la spalla, ma poi sentì il braccio prigioniero che veniva storto oltre i limiti. Una fitta selvaggia di dolore. Disperatamente, Macy colpì nuovamente l’altro con la spalla. Cercò di dargli una testata, sperando di atterrarlo con un colpo solo. Niente da fare. Niente da fare. La lotta selvaggia continuò, inutile chiamare aiuto: chi avrebbe aperto la porta in un posto del genere? Slam e slam e slam. Era interamente preso a difendersi. Una concentrazione totale. Entrambi respiravano affannosamente. Sto opponendo più resistenza di quanto si aspettasse! Un punto morto. Per fortuna è uno solo. Se riuscissi a liberarmi la mano, e sbattergli la testa contro la parete…

Poi. Nel momento più frenetico della lotta. Una convulsione interna.

Hamlin.

La sua mossa.

Il tempo si arrestò, in maniera che Macy poté percepire ciascuna fase della conquista con calma e distacco. Hamlin, avendo raccolto le forze per alcuni giorni, si stava avvantaggiando del combattimento nel corridoio, della totale concentrazione di Macy nelle proprie difficoltà, per impadronirsi dei centri motori del loro cervello comune. Strappando connessioni a piene mani e reinserendole sotto la propria giurisdizione. Macy stava cadendo in un abisso senza tempo. E Hamlin stava sistematicamente ed efficientemente portando a termine quella che doveva essere una conquista attentamente calcolata. Gamba destra. Gamba sinistra. Braccio destro. Braccio sinistro. La paralisi si diffondeva, un’inattesa gelata estiva. Macy affondava, affondava, affondava. Nessun modo per difendersi; si era lasciato il fianco scoperto, e il nemico si stava riversando oltre la palizzata. Giù. Giù. Giù. Molto freddo, adesso, e un grande silenzio. Dov’era la sorveglianza di Gomez? Mano destra sulla spalla sinistra. Estremo pericolo. Ah. Bell’aiuto. Macy si rese conto che lui e Gomez si erano dimenticati di concordare un segnale importante, quello che diceva: Aiuto, mi sta conquistando! Non che ci fosse qualcuno ad aiutarlo, lì. Mano destra sulla spalla sinistra. Mano sinistra sulla spalla destra. Estremo pericolo. Giù. Giù. Mi ha preso.

12

Era sommerso in un mare di liscio vetro verde. Interamente avvolto da esso, incapace di risalire alla superficie; sopra la sua testa una lastra solida, impenetrabile, infrangibile, che lo separava dall’aria. Soffocava, i polmoni in fiamme, la testa che sembrava dovesse esplodere. Una sensazione di dolore sordo a entrambi i polpacci; un rigonfiamento delle dita. Sotto i suoi piedi penzolanti, un abisso senza fondo, nero, denso. Da molto in alto arrivavano fiochi raggi di luce verde-dorata. Immagini confuse e indistinte del mondo superiore. Tutte le percezioni rifratte e distorte e trasformate. Le sue mani che spingevano disperatamente lo strato vetroso sopra di lui. Che non voleva cedere. Oh, Dio, devo essere all’inferno! Come faccio a respirare? Come ha fatto a farmi questo? Come farò a uscire di qui? Sto affondando. Lentamente, giù e giù. Pesci con i denti per spolparmi. Poteva sentire lo scorrere delle correnti, fiumi nell’oceano, che lo sbattevano qua e là. Rabbrividì. Il terrore lo invase. Dunque è così. Mi ha preso. Mi ha preso. Sono dentro di lui.

Macy provò un senso acuto di perdita, di dislocamento. Era stato così bello vivere nel mondo. La luce del sole, la gente, le risate, perfino le incertezze, le tensioni. Essere vivo, almeno. Poi essere spodestato, gettato a terra, cancellato, diseredato. Mi ha portato via tutto quando non ero pronto ad andarmene. Non è giusto. E adesso? Il dolore di questo luogo. Ansimare. Soffocare. La paura.

Ma sopravvisse alla prima ondata di terrore e scoprì che non ce n’era una seconda. Si calmò. Gradualmente, raffinò e chiarì la consapevolezza della sua nuova condizione. Si rese conto che anche se non poteva raggiungere l’aria, neppure affondava di più, e anche la sensazione di affogare non doveva essere presa troppo alla lettera. In effetti, quello non era un mare. Tutte le immagini marine, si rese conto, erano puramente metaforiche. Era in effetti sommerso, sospeso fra qualcosa e qualcos’altro, ma era diventato una semplice rete elettrochimica distesa fra i recessi di quello che, a questo punto, era costretto a considerare come il cervello di Nat Hamlin. Hamlin era sul ponte di comando, in cima. Macy occupava qualche indefinibile fessura, o serie di fessure. Non poteva vedere. Non poteva sentire. Non poteva parlare. Non poteva muoversi. Non era altro che un’astrazione, un’identità priva di corpo. Che si potesse propriamente dire che esisteva, era discutibile.

Adesso che il primo shock era passato, fu sorpreso del fatto che la perdita dell’indipendenza non portasse con sé alcuna disperazione. Sorpresa, sì. Irritazione e fastidio, sì. (Con quanta abilità Hamlin l’aveva fregato!) Costernazione, sì. (Che sensazione strana essere intrappolato qui. Che claustrofobia. Riuscirò mai a uscirne fuori?) Ma non disperazione. Neppure paura. Anche Hamlin si era trovato nella stessa situazione, no? E lui aveva resistito, l’aveva controllata, era riuscito a scappare. Dunque perché non io? C’era naturalmente una forte tentazione ad accettare lo stato di fatto passivamente. A dirsi che in fin dei conti non aveva mai avuto diritto a una vera esistenza. Che sarebbe stato meglio per tutti, adesso che il sovvertimento delle personalità c’era stato, se lui se ne stava tranquillo in quel luogo simile a un utero. Lasciando pacificamente a Hamlin il corpo a cui aveva diritto per nascita. Ma la tentazione non tentava grandemente Macy. Per quanto facile fosse iniziare un’esistenza vegetale, preferiva una vita più attiva. Un corpo suo. Il breve assaggio di vita che aveva avuto, l’aveva lasciato desideroso di averne ancora.

Non ho mai veramente incominciato, dopo tutto. Solo poche settimane da solo, lontano dal Centro. Con lui che mi tormentava per la maggior parte del tempo. E adesso questo. Combatterò. Lo butterò fuori come lui ha buttato fuori me. Può darsi che non sia nato, ma ero reale e voglio tornare all’esistenza.

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