Robert Silverberg - Violare il cielo

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Sul brulicante formicaio che è divenuta la Terra dopo il 2000, poco alla volta si impone una forma di religiosità che trae le sue basi dottrinali dalla scienza. È la religione di Noel Vorst, sono gli adoratori del Fuoco Blu dell’elettrone, sono le tonache azzurre dei monaci che manipolano i segreti dell’atomo. È una religione, quella di Vorst, il cui scopo finale è quello dell’immortalità… fisica! Ma in un mondo sovrappopolato l’immortalità fisica non è forse un controsenso? Ecco dunque la necessità di emigrare su altri mondi, mondi extrasolari. Ecco formarsi nello stesso tempo lo scisma degli Armonicisti di David Lazarus, che si oppone alla “chiesa” centrale fondando un ordine a parte... Che significato ha tutto ciò nel vasto gioco planetario nel cui centro è l’ultracentenario Noel Vorst e la cui posta finale sono le stelle?

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— No, Frijoles — insistette Mondschein. — D’accordo?

Ottennero il permesso di lasciare il Centro — non era difficile per i tecnici di basso livello — e, nel primo pomeriggio, presero verso ovest, in direzione delle rovine indiane. Seguirono le indicazioni per Los Alamos, una città scientifica segreta di un’era precedente, ma prima di raggiungerla, piegarono a sinistra a Bandelier National Monument e, dopo aver percorso, a scossoni, una vecchia strada asfaltata, per una ventina di chilometri, giunsero finalmente nel cuore del parco.

Non era mai un luogo molto affollato, ma in quel periodo, essendo finita l’estate, era assolutamente deserto. I due accoliti si avviarono senza fretta lungo il sentiero principale, superarono le vecchie rovine del pueblo noto con il nome di Tyuonyi, scavato in blocchi di tufo vulcanico, e risalirono la stradina tortuosa che conduceva alle grotte. Quando raggiunsero la kiva, la camera scavata nella roccia che per gli indiani preistorici fungeva da sala cerimoniale, Mondschein disse: — Aspetta un attimo. Voglio andare a dare un’occhiata.

Si arrampicò su per la scala di legno e si issò nella kiva. Le pareti erano annerite dal fumo di antichi falò. Nel muro si aprivano numerose nicchie nelle quali, in origine, venivano conservati oggetti sacri. Con assoluta tranquillità e senza rendersi conto di quello che stava facendo, Mondschein estrasse dalla tasca della veste la capsula con gli ologrammi e la depose in un angolo nascosto dell’ultima nicchia di sinistra. Si trattenne ancora qualche istante a osservare la kiva, poi scese.

Capodimonte era seduto sulla tenera roccia bianca alla base della rupe, e stava ammirando l’alta parete rossastra che delimitava il versante opposto del canyon. — Ti va di fare un’escursione? — gli domandò Mondschein.

— Dove? Alla rovina di Frijoles?

— No — rispose Mondschein, e gli indicò la cima della parete del canyon. — Verso Yapashi, o ai Leoni di Pietra.

— Ma saranno una ventina di chilometri — osservò Capodimonte. — E poi ci siamo già stati a metà luglio. No, non mi va di rifarla, Chris.

— Allora, ritorniamo al Centro.

— Non c’è bisogno che ti arrabbi — protestò l’altro. — Perché non andiamo alla Grotta Cerimoniale, invece? È un’escursione breve. Su, dai, piantala!

— D’accordo — disse Mondschein. — Grotta Cerimoniale, aggiudicato.

Si incamminò per primo, facendo il passo. Un passo decisamente sostenuto. Dopo meno di mezz’ora di marcia Capodimonte, piccolo e tracagnotto, era già senza fiato. Mondschein proseguì, scuro in volto, senza rallentare, mentre il confratello arrancava dietro di lui. Una volta arrivati al sito archeologico, lo visitarono brevemente, quindi ripresero la strada del ritorno. Quando raggiunsero di nuovo le strutture di accoglienza del parco, Capodimonte gli comunicò che desiderava riposarsi un po’ e mangiare un boccone prima rientrare al Centro di Ricerca.

— Fai pure — replicò Mondschein. — Io, intanto, faccio un giretto nel negozio di souvenir.

Aspettò che il confratello si allontanasse, poi, appena ebbe varcato la soglia del negozio, si diresse verso la cabina di comunicazione. All’improvviso, il suo cervello partorì un numero telefonico, che vi era stato impresso mesi prima, mentre lui dormiva saporitamente nella Camera del Nulla. Mondschein introdusse alcune monete nell’apposita fessura e digitò il numero.

— Armonia Eterna — disse una voce.

— Parla Mondschein. Passatemi subito qualcuno della Sezione Tredici.

— Un attimo, prego.

Mondschein attese. Aveva la mente completamente vuota. Era come un sonnambulo in quel momento.

Una voce vellutata e lieve gli ordinò: — Avanti, Mondschein. Riferiscici tutto con la massima precisione.

Con grande economia di parole, Mondschein spiegò dove avesse nascosto la capsula contenente gli ologrammi. La voce vellutata lo ringraziò. Mondschein interruppe la comunicazione ed uscì dalla cabina. Pochi istanti più tardi, Capodimonte entrò nel negozio, rifocillato e riposato.

— Trovato niente? — domandò.

— No — rispose Mondschein. — Andiamo.

Capodimonte era alla guida. Mondschein osservò il paesaggio che fuggiva oltre il finestrino, poi fu assorbito da alcuni pensieri. Perché sono venuto qui oggi? Non ne aveva la benché minima idea. Non ricordava nulla dell’attività spionistica della notte. Ogni ricordo era stato cancellato dalla sua mente.

otto

Lo arrestarono una settimana più tardi, a mezzanotte. Un grosso robot entrò rombando nella sua camera, senza preavviso, e si mise di guardia accanto al letto, le mani enormi pronte ad afferrarlo nel caso tentasse la fuga. Insieme al robot c’era un omino piccolo, dal viso affilato, di nome Magnus, uno dei confratelli supervisori del centro.

— Che cosa sta succedendo? — domandò Mondschein.

— Vestiti spia e vieni all’interrogatorio.

— Io non sono una spia. Ci dev’essere un errore, fratello Magnus.

— Risparmia il fiato, Mondschein. Su svelto, alzati. E ti consiglio di restare calmo.

Mondschein era sbalordito, ma capiva che non era il caso di discutere, soprattutto in presenza di trecentocinquanta chili si intelligenza meccanica veloce come la luce. Scivolò fuori dal letto, indossò una tunica e seguì Magnus fuori dalla stanza. Nel corridoio erano accorsi altri confratelli, che lo fissarono con gli occhi sgranati, scambiandosi sussurri increduli.

Dieci minuti più tardi, Mondschein si ritrovò in una stanza circolare, al quinto piano del palazzo in cui avevano sede i principali uffici amministrativi del Centro, circondato da così tanti pezzi grossi della Confraternita quanti mai avrebbe immaginato di poter vedere riuniti in un’unica sala. Erano otto in tutto e tutti alti prelati. Mondschein sentiva le viscere torcersi per l’angoscia. Una luce gli abbagliava la vista.

— È arrivata l’esperiana — mormorò una voce.

Avevano convocato una ragazza di non più di sedici anni, pallida e piuttosto scialba. Aveva la pelle punteggiata da piccole macchie rosse. Nei suoi occhi, vigili e mobilissimi, brillava un luccichio piuttosto sgradevole.

Nel momento stesso in cui la vide, Mondschein provò un moto di disprezzo, ma, sapendo che una sua parola sarebbe bastata a decidere il suo destino, cercò disperatamente di reprimere quel sentimento. Ma non servì a nulla, perché la ragazza intuì il suo dispregio appena mise piede nella stanza e storse le labbra carnose in un ghigno. Poi drizzò la figura, bassa e tarchiata.

— Questo è l’accusato. Che cosa percepisci in lui? — Era stato il Supervisore Magnus a parlare.

— Paura. Odio. Provocazione.

— E slealtà?

— È leale soprattutto verso se stesso — decretò l’esperiana, intrecciando le mani sul ventre con aria compiaciuta.

— Ci ha tradito? — domandò Magnus.

— Non vedo niente che lo provi.

— Ma potrei sapere il significato… — azzardò Mondschein.

— Zitto — lo raggelò Magnus.

— Le prove sono incontrovertibili — intervenne un altro Supervisore. — Forse la ragazza si sta sbagliando.

— Esaminalo più attentamente — le ordinò Magnus.

— Scandaglia la sua memoria andando a ritroso nel tempo. Non tralasciare niente. Sai quello che stiamo cercando.

Sbalordito, Mondschein rivolse un muto appello ai volti marmorei che lo fissavano. Gli sembrava che la ragazza gongolasse. Brutta guardona schifosa, pensò. Avanti, divertiti pure!

— È convinto che io mi diverta a esaminarlo. Forse, uno dei prossimi giorni dovrebbe fare una nuotatina in un pozzo nero per capire che cosa si prova — sibilò l’esperiana.

— Non perdere tempo e sondalo — ripeté Magnus.

— È tardi e ci sono ancora molte domande che attendono una risposta.

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