Michael Swanwick - Domani il mondo cambierà

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Domani il mondo cambierà Vincitore del premio Nebula in 1991.
Nominato per i premi Hugo e Campbell in 1992.
Nominato per il premio di Arthu Clarke in 1993.

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Michael Swanwick

Domani il mondo cambierà

1. Il Leviathan in volo

Il burocrate cadde dal cielo.

Per un istante, vide Miranda sotto di sé, bianca e blu, con i suoi vasti ghiacciai ormai in procinto di sciogliersi. Una volta a terra, prese un veicolo ad alta velocità con il quale percorse la pietrosa pianura del Piedmont fino alla stazione degli eliostati di Port Richmond, dove si imbarcò sul primo volo diretto verso l’esterno. L’aereonave Leviathan lo trasportò oltre la linea di guardia, sorvolando le foreste e le colline di corallo del Tidewater. Qui i sistemi ecologici specializzati erano già al lavoro, pronti ad accogliere la magica mutazione delle maree del giubileo. Nei villaggi sgangherati e nelle piantagioni nascoste, la gente si apprestava a fare i vari preparativi necessari per l’evacuazione.

Il salone principale del Leviathan era deserto. Con le mani unite dietro la schiena, il burocrate rivolse uno sguardo malinconico verso le vetrate di poppa. Il Piedmont era una macchia scura, bluastra, un fronte temporalesco che si stagliava all’orizzonte.

Il burocrate immaginò le cascate, dove i falchi pescatori aleggiavano sopra le sorgenti e il fiume Noon cadeva centinaia di metri più in basso, perdendo il proprio nome. Di sotto, la regione del Tidewater brulicava di vita, come una muffa color verde-bluastro che cresce a vista d’occhio in una vaschetta. Il solo pensiero di tutto quel fango e di tutta quella povertà era più che sufficiente a deprimerlo. Il burocrate provò un’improvvisa nostalgia per l’ambiente fresco e sterile dello spazio profondo.

Sulla superficie bfuna dell’acqua si intravedevano macchie di colore, convogli di case galleggianti che venivano rimorchiate a monte. Erano famiglie dell’alta borghesia, che si spostavano prudentemente verso il pendio di Port Richmond, approfittando di quel momento in cui i tassi erano ancora bassi. Il burocrate sfiorò un tasto sotto la vetrata e la giungla balzò alla vista, alberi nebulosi che si risolvevano in singole foglie. L’ombra dell’eliostato si increspava lungo la sponda settentrionale del fiume, sfrecciando leggera sopra banchi di fango e contorte querce d’acqua. Stupiti da quel passaggio, i membri di una covata di octopi mimetici delle ghiande si lasciarono cadere nell’acqua, formando una serie di anelli concentrici mentre fuggivano infilandosi nella fanghiglia.

— Senti il profumo dell’aria — disse il surrogato di Korda.

Il burocrate annusò. Sentì un leggero odore di terra, proveniente dai vasi di rampicanti appesi nel salone dell’aereonave, e il puzzo dolciastro dello sterco depositato sui fondi delle gabbiette di vimini degli uccelli. — Ci starebbe bene una bella pulita, direi.

— Il tuo animo è totalmente privo di romanticismo. — Il surrogato si appoggiò alla vetrata, con le braccia distese lungo i fianchi, come fosse uno scheletro in vena di sentimentalismi. L’immagine pallida e tremolante di Korda apparve riflessa nel vetro. — Darei qualsiasi cosa per essere laggiù al tuo posto.

— Perché non ci vieni, allora? — domandò il burocrate con tono aspro. — Il tuo grado te lo permetterebbe.

— Non prendere la cosa troppo alla leggera. Questo non è un semplice caso di contrabbando. È in gioco l’intero concetto del Controllo Tecnologico. Se lasciassimo passare anche una sola fra le tecnologie auto-replicanti… be’, è inutile che stia a dirti quanto può essere fragile un pianeta. Se la Divisione ha effettivamente motivo di esistere, è proprio per questo genere di azioni. Quindi, ti sarei molto grato se, almeno per questa volta, tu riuscissi a moderare il tuo atteggiamento negativo.

— Devo dire ciò che penso. In fondo mi pagano per questo.

— Un’illusione molto comune. — Korda si allontanò dalla vetrata, si chinò per prendere in mano un piatto e ne osservò la parte inferiore. Nei suoi movimenti vi era un pignolo nervosismo che saltava all’occhio, un atteggiamento alquanto strano per chi già lo conosceva. Korda in persona era infatti un individuo decisamente pigro e apatico. Era come se la surrogazione avesse tirato fuori una personalità sommersa, un omettino esageratamente meticoloso che solitamente rimaneva intrappolato nella sua carne. — In queste ceramiche indigene c’è sempre una piccola superficie non smaltata sul fondo, lo avevi notato?

— È il punto in cui vengono appoggiate nel forno.

Korda assunse un’espressione perplessa.

— Siamo su un pianeta, e quindi c’è una gravità costante. Qui non si possono cuocere degli oggetti a gravità zero.

Korda appoggiò il piatto scuotendo il capo con aria rassegnata. — Avevi forse qualcos’altro da dirmi? — domandò.

— Ho inoltrato una Richiesta di…

— …Autorità. Si, lo so, è sulla mia scrivania. Temo che sia assolutamente fuori questione. Il reparto Technology Transfer si trova in una posizione molto delicata rispetto alle autorità planetarie. Non guardarmi a quel modo. L’ho inoltrata alla Casa di Pietra attraverso il ministero extraplanetario, e hanno detto di no. In queste terre sono molto permalosi per quanto riguarda potenziali interferenze sulla loro autonomia. La tua richiesta è stata rispedita al mittente immediatamente, assieme a una serie di restrizioni. Hai l’ordine specifico di non trasportare alcun genere di arma, di non effettuare alcun arresto e di non identificarti per alcun motivo come persona avente l’autorità per imporre la cooperazione o palesare i tuoi sospetti. — Alzò una mano per inclinare un cesto di rampicanti e prrese a rovistare distrattamente fra il fogliame. Quando infine lo mollò, il cesto oscillò avanti e indietro in maniera alquanto irritante.

— E come dovrei portare a termine il mio compito? Che cosa dovrei fare, andare da Gregorian e dirgli: “Scusatemi, non ho alcuna autorità nei vostri confronti, non potrei nemmeno parlarvi, ma ho motivo di sospettare che vi siate impossessati di qualcosa che non vi appartiene, e mi stavo chiedendo se magari non vi dispiacerebbe troppo restituirla al suo legittimo proprietario?”.

Nei pannelli sottostanti alle vetrate vi erano diversi tavoli da scrittura ribaltabili. Korda ne tirò fuori uno e procedette con un attento inventario di tutti i suoi contenuti; carta da lettera, penne di carboncino, tamponi di carta assorbente. — Non capisco per quale motivo tu la faccia tanto difficile — disse infine. — Non mettermi il broncio, so benissimo che sei in grado di farcela. Sei una persona piuttosto competente, quando ti impegni. Oh, mi ero quasi dimenticato: alla Casa di Pietra hanno concesso di assegnarti un ufficiale di collegamento. Qualcuno di nome Chu, del reparto di sicurezza interno.

— Avrà l’autorità necessaria per arrestare Gregorian?

— In teoria, certamente. Ma lo sai come funzionano i governi planetari… Insomma, penso che nella pratica il suo principale compito sarà quello di tenerti d’occhio.

— Fantastico. — Un agglomerato di nubi roteanti si spinse verso di loro, trasportato da venti oceanici nati a mezzo mondo di distanza. Il Leviathan sollevò il muso di un grado, quindi si tuffò in mezzo alla nebbia. La luce divenne grigiastra e la pioggia prese a inzuppare le fiancate dell’eliostato. — Non sappiamo nemmeno dove andarlo a cercare.

Korda ripiegò il tavolino nel pannello. — Sono certo che non avrai alcun problema a trovare qualcuno che sa dove si trova.

Il burocrate rivolse lo sguardo fuori dalla vetrata, verso la tempesta. Le gocce tambureggiavano sulla superficie della sacca di gas e scorrevano lungo le finestre per poi precipitare in basso. Forti ventate formavano vere e proprie ondate d’acqua, che si alternavano a momenti di relativa calma. Il terreno sottostante scomparve alla vista, dissolvendosi rapidamente e lasciando l’aereonave sospesa nel caos. Il frastuono della pioggia combinato al rombo dei motori rendeva difficile la comunicazione. Era come se stesse iniziando la fine del mondo. — Ti rendi conto che fra qualche mese tutto questo sarà sommerso dall’acqua? Se non avremo risolto il caso di Gregorian per allora, non ce la faremo mai.

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