All’improvviso Mahnmut vide la soluzione. Come moltissimi grandi poeti, Shakespeare cominciava le poesie prima o dopo che cominciassero. Ma se quella era una poesia di confutazione, che cosa confutava? Cosa aveva detto il giovane al più anziano poeta istupidito dall’amore, da richiedere una confutazione così veemente?
Mahnmut protese le dita dal manipolatore primario, prese lo stilo e scribacchiò sulla tavoletta elettronica…
Caro Will,
senza dubbio a tutt’e due piacerebbe che la nostra unione di anime fedeli (poiché gli uomini non possono condividere il sacramentale matrimonio dei corpi) fosse tanto reale e duratura quanto un vero matrimonio. Ma ciò non è possibile. Le persone cambiano, Will. Le circostanze cambiano. Quando le qualità delle persone o le persone stesse svaniscono, svanisce anche l’amore. Ti amai un tempo, Will, ti amai davvero, ma sei cambiato, sei mutato, così come c’è stato un cambiamento in me e un mutamento nel nostro amore.
Sinceramente tuo
il Giovane
Mahnmut guardò la lettera e si mise a ridere, ma tornò serio nel capire come cambiava tutto il Sonetto 116. Ora, invece di una sdolcinata dichiarazione d’immutabile amore, il sonetto diventava una violenta confutazione del civettare del giovane, un argomento contro una simile egoistica effusione. Ora il sonetto avrebbe detto…
Non sia mai ch’io ponga (questi cosiddetti) impedimenti
all’unione di anime fedeli; Amore non è amore
se "muta quando scopre un mutamento"
o "tende a svanire quando l’altro s’allontana".
Oh, no!
Mahnmut riuscì a stento a contenere l’entusiasmo. Ogni particolare, nel sonetto e in tutto il ciclo di sonetti, ora andava a posto. Ben poco restava di quell’amore tipo "unione di anime fedeli", ben poco, tranne ira, accuse, recriminazioni, menzogne e ulteriore infedeltà, tutte cose che sarebbero comparse nel Sonetto 126, quando ormai "il Giovane" e lo stesso amore idealizzato sarebbero stati abbandonati per i volgari piaceri della "Dama bruna". Mahnmut passò in modalità virtuale e iniziò a comporre un appunto elettronico da inviare al suo fedele interlocutore nell’ultima decina d’anni terrestri, Orphu di Io.
Risuonarono clacson. Luci palpitarono nella vista virtuale di Mahnmut. Per un istante il moravec pensò: "Il kraken!". Ma il kraken non sarebbe mai salito in superficie né sarebbe entrato in un canale sgombro.
Mahnmut ripose il sonetto e gli appunti, cancellò dalla coda di trasmissione l’appunto elettronico e si collegò a sensori esterni.
Il Dark Lady era a cinque chilometri da Chaos Central, nella zona di telecomando delle basi sottomarine. Mahnmut cedette a Chaos Central il comando del sommergibile ed esaminò i dirupi più avanti.
Dall’esterno, Conamara Chaos Central assomigliava a quasi tutto il resto di Europa — un guazzabuglio di creste di pressione che spingevano dirupi di ghiaccio fino a due, trecento metri e una massa di ghiaccio che bloccava il labirinto di canali sgombri e di strati lenticolari — ma poi i segni d’abitazione divennero visibili: le nere fauci delle basi sottomarine che si aprivano, gli ascensori in movimento lungo la parete della scogliera, altre finestre nella muraglia di ghiaccio, luci di navigazione lampeggianti in cima a moduli di superficie, strutture abitabili e antenne; e molto più in alto, dove la scogliera terminava contro il nero del cielo, varie navette interlunari saldamente fissate alla piattaforma d’atterraggio.
"Veicolo spaziale a Chaos Central" pensò Mahnmut. Molto insolito. Mentre terminava la manovra d’attracco, metteva in attesa le funzioni del sommergibile e si staccava dai collegamenti, pensava: "Per cosa diavolo m’hanno fatto venire qui?".
Eseguito l’attracco, Mahnmut affrontò e superò il contraccolpo psicologico delle limitazioni sensoriali e operative impostegli dal goffo corpo più o meno umanoide; lasciò l’imbarcazione, si addentrò nel ghiaccio illuminato d’azzurro e prese l’ascensore ad alta velocità per le strutture abitative poste molto più in alto.
Pasto per dodici persone, al tavolo sotto l’albero illuminato da lanterne: carne di cervo e di cinghiale della foresta, trote del fiume lì vicino, manzo degli armenti al pascolo fra villa Ardis e la piattaforma di teletrasmissione, vino bianco e rosso dei vigneti di Ardis, granturco fresco, zucchine, insalata e piselli dell’orto e caviale faxato da chissà dove.
«Di chi è il compleanno e per quale Ventina?» chiese Daeman, mentre i servitori passavano cibi ai convitati intorno al lungo tavolo.
«Compio io gli anni, ma non la Ventina» rispose il bell’uomo dai capelli ricci, di nome Harman.
«Prego?» Daeman sorrise, senza capire. Prese un po’ di zucchine e passò la terrina alla donna al suo fianco.
«Harman celebra il compimento dei singoli anni» spiegò Ada, seduta a capotavola. Daeman si sentì eccitato dalla bellezza di Ada nell’abito di seta nera e marrone rossiccio.
Scosse la testa: ancora non capiva. Il compimento dei singoli anni non era preso nemmeno in considerazione, altro che festeggiato. «Allora stasera lei non celebra in realtà la Ventina» disse a Harman, facendo cenno al servitore, librato nei pressi, di riempirgli di vino il bicchiere.
«Ma celebro davvero il compleanno» replicò con un sorriso Harman. «Il novantanovesimo.»
Daeman impietrì, sconvolto. Si guardò rapidamente intorno, convinto che si trattasse di una sorta di scherzo tipico di quel gruppo di provinciali… senza dubbio, uno scherzo di cattivo gusto. Non si scherza sul proprio novantanovesimo compleanno. Con un pallido sorriso Daeman aspettò la battuta finale.
«Harman è sincero» disse invece Ada, in tono frivolo. Gli altri ospiti rimasero in silenzio. Nella foresta, uccelli notturni lanciavano richiami.
«Mi… mi spiace» riuscì a dire Daeman.
Harman scosse la testa. «Non vedo l’ora che cominci. Ho un mucchio di progetti.»
«L’anno scorso Harman ha percorso a piedi centocinquanta chilometri della Breccia atlantica» disse Hannah, l’amica di Ada, una donna di colore dai corti capelli neri.
Ora Daeman fu sicuro d’essere preso in giro. «Non si può percorrere a piedi la Breccia atlantica.»
«Ma io l’ho percorsa» replicò Harman, sgranocchiando i chicchi di una pannocchia. «Ho fatto solo una ricognizione. Come ha detto Hannah, più di centocinquanta chilometri verso l’interno e ritorno alla costa del Nord America. Non era certo difficile.»
Daeman sorrise di nuovo per mostrare d’essere uomo di spirito. «Ma come ha raggiunto la Breccia atlantica, Harman Uhr ? Non ci sono nodi fax nelle vicinanze.» Non aveva idea di dove si trovasse la Breccia atlantica, non sapeva che cosa fosse il Nord America, non era affatto sicuro della posizione dell’oceano Atlantico, ma era certo che nessuno dei 317 nodi fax si trovasse nei pressi della Breccia. Era passato più di una volta da ciascuno di quei nodi fax e non aveva mai scorto la leggendaria Breccia.
Harman posò la pannocchia. «Ho camminato, Daeman Uhr. Dalla costa orientale del Nord America, la Breccia corre direttamente lungo il quarantesimo parallelo fino a quella che nell’Età Perduta si chiamava Europa. La Spagna era l’ultìma nazione dove la Breccia tocca terra, credo. Le rovine dell’antica città di Filadelfia, forse la conosce come Nodo 124, la tenuta di Loman Uhr , sono solo a qualche ora di cammino dalla Breccia. Se avessi avuto coraggio e mi fossi portato provviste sufficienti, sarei potuto arrivare fino alla Spagna.»
Daeman annuì e sorrise e continuò a non avere la più pallida idea delle cose di cui quell’uomo blaterava. Prima la sconcezza di vantarsi del novantanovesimo anno, poi tutte quelle chiacchiere di paralleli e di posti dell’Età Perduta e di camminate. Nessuno camminava per più di un centinaio di metri. A che scopo? Tutto ciò che poteva interessare una persona sì trovava nei pressi di un nodo fax e le stranezze un po’ più distanti, come villa Ardis di Ada, si potevano raggiungere in calessino o in troika. Conosceva Loman, certo; di recente aveva partecipato alla festa per la terza Ventina di Ono, nella grande tenuta di Loman, ma tutto il resto del monologo di Harman gli era incomprensibile. Quell’uomo era di sicuro rimbambito nei suoi giorni finali. Be’, il fax conclusivo nello spedale e l’Ascensione presto si sarebbero presi cura di lui.
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