Gli dèi sono qui per combattere.
Apollo alza la mano, tornano i rumori, il tempo ricomincia come uno tsunami di polvere e di movimento e le uccisioni riprendono sul serio.
Ada, Harman e Hannah attesero due giorni, l’intervallo minimo ritenuto decente dopo una visita allo spedale, poi si faxarono a Cratere Parigi per trovare Daeman. Era tardi, c’era buio e faceva freddo e (scoprirono non appena misero piede fuori del nodo fax Gare di Leoni) pioveva. Harman trovò una carrozzella coperta e un voynix li tirò in direzione nordovest lungo un letto di fiume asciutto pieno di bianchi teschi, passando davanti a chilometri di edifici diroccati.
«Non sono mai stata a Cratere Parigi» disse Hannah. Alla giovane donna, cui mancavano solo due mesi per compiere la prima Ventina, non piacevano le grandi città. Cratere Parigi, uno dei nodi fax più popolosi, contava venticinquemila residenti.
«È una ragione per cui ci siamo faxati al nodo Gara di Leoni anziché all’Hotel Invalido che è più vicino al bordo, dove abita Daeman» disse Ada. «Tutto, in questa città, è antico. Vale la pena di prendersela comoda e dare un’occhiata in giro.»
Hannah annuì, con aria dubbiosa. Le file e file di edifici di pietra e di ferro, in gran parte rivestiti di luccicante eterplast, parevano vuoti e bui e lucidati alla buona sotto la pioggia. Servitori e globi luminosi si libravano qua e là per le vie buie, voynix silenziosi e immobili erano fermi agli angoli, ma si vedevano poche persone. D’altra parte, come notò Hannah, erano le dieci di sera passate. Anche una città cosmopolita come Cratere Parigi doveva dormire.
«Quella sì che è interessante» disse Hannah, indicando la struttura che si alzava di trecento mètri sopra la città.
Harman annuì. «Inizio dell’Età Perduta. Alcuni dicono che sia antica come Cratere Parigi, forse addirittura antica come la città che sorgeva qui prima del cratere. È un simbolo della città e della gente che la costruì, moltissimo tempo fa.»
«Interessante» disse di nuovo Hannah. Alta trecento metri, la rozza figura di donna nuda pareva fatta di polimero trasparente. La testa era a tratti velata da basse nubi, poi compariva per breve tempo e Hannah vide che la faccia era priva di lineamenti, a parte le rosse labbra socchiuse in un sogghigno. Nere molle ritorte, lunghe quindici metri, scendevano a spirale come riccioli dalla testa sferica. Le gambe erano allargate, i piedi nascosti dagli edifici scuri a ovest, ma le cosce unite erano larghe come villa Ardis. I seni enormi, globulari, da fumetto, alternativamente si riempivano e si vuotavano di liquido rosso ribollente e fotoluminescente, che ora saliva ora scendeva di livello e ora si riversava a cascata nel ventre e nell’interno delle gambe, per poi risalire fino alle braccia alzate e alla faccia sorridente. La luce emessa dal ventre luccicante, dai seni e dalle massicce natiche dipingeva di rosso rubino la parte superiore di strutture più alte intorno al cratere.
«Come si chiama?» domandò Hannah.
« La putaine énorme » rispose Ada.
«Cosa significa?»
«Nessuno lo sa» rispose Harman. Disse al voynix di girare a sinistra su un ponte traballante e si diressero con rumore di zoccoli su quello che era stato un isolotto quando l’acqua scorreva nel fiume di teschi secchi, verso le rovine di un edificio che un tempo era di sicuro molto largo. Ora una bassa cupola che brillava di luce violacea sporgeva fra le mura diroccate come un bizzarro uovo in un nido di sassi sparsi.
«Aspetta qui» disse Harman al voynix e guidò le due donne fra le rovine invase d’erbacce e poi nella cupola luminosa.
Al centro c’era una lastra di pietra bianca, alta circa un metro e venti. C’erano grondaie alla base della lastra e canali di scolo nel pavimento di pietra. Dietro la lastra si alzava una rozza statua di un uomo nudo, scolpita nella stessa pietra bianca. L’uomo reggeva un arco con la freccia incoccata.
«Questo è marmo» disse Hannah, toccando il blocco. Lo riconosceva. «Che posto è?»
«Un tempio dedicato ad Apollo» spiegò Harman.
«Ho sentito parlare di questi nuovi templi» disse Ada «ma non ne avevo mai visto uno. Credevo che fossero rari… qualche altare nella foresta, eretto come una trovata scherzosa, questo genere di cose.»
«Ci sono templi come questo in tutto Cratere Parigi e nelle altre grandi città» disse Harman. «Dedicati ad Atena, Zeus, Ares… a tutti gli dèi che compaiono nel lino.»
«Le grondaie e i canali di scolo…» cominciò Hannah.
«Raccolgono il sangue degli animali offerti in sacrificio» spiegò Harman. «In genere pecore e vitelli.»
Hannah si allontanò dalla lastra e incrociò le braccia. «Non mi dirai che la gente… uccide gli animali?»
«No» ammise Harman. «Ci pensano i voynix. Per ora.»
Ada si fermò nel vano della porta. La pioggia gocciolava nel portale luminoso, formando una cascata d’acqua colorata di viola. «Cos’era, prima, questo posto? Queste rovine?»
«Sono abbastanza sicuro che fosse un tempio dell’Età Perduta» disse Harman.
«Dedicato ad Apollo?» chiese Hannah. Teneva le braccia strette intorno al corpo irrigidito.
«Non credo. Nelle macerie ci sono frammenti di statue. Figure non di dèi, non di persone, non di voynix… di demoni, credo. C’è un’antica parola per indicarli, "garguglie", ma non so bene che cosa volesse significare.»
«Usciamo di qui» disse Ada. «Andiamo a trovare Daeman.»
Dall’altra parte del fiume di teschi e di nuovo a ovest, verso il cratere, gli ampi viali terminavano dove gli edifici dell’Età Perduta erano coronati da strutture più nuove (alcune nuovissime, forse meno di un migliaio d’anni) e più alte, un crescente intreccio di buckycarbonio nero e di bambù-3 luccicante di pioggia. Hannah richiamò la funzione di ricerca per trovare Daeman: il rettangolo luminoso sospeso sulla sua palma sinistra divenne ora color ambra, ora rosso, poi di nuovo verde, mentre loro prendevano scale e ascensori dal livello stradale all’ammezzato e da lì alla spianata pensile, quindici piani sopra i vecchi tetti, poi salivano ancora, dalla spianata alle torri residenziali. Hannah si soffermò sulla spianata per guardare giù dal parapetto, ipnotizzata come quasi tutti quelli che vedevano per la prima volta il rosso occhio immobile, chilometri e chilometri nel nero cerchio del cratere senza fondo; Ada dovette tirarla via, prendendola per il braccio, e guidarla all’ascensore e alla scala seguenti.
A sorpresa, fu una persona, non un servitore, a venire alla porta del domi di Daeman. Ada presentò il gruppetto e la donna, che pareva sui quarantacinque anni come tutti quelli della terza e della quarta Ventina, disse di essere Marina, madre di Daeman. Li guidò per corridoi dai caldi colori e per scale interne e per stanze comuni, fino alle aree private del complesso del domi sul fianco del cratere.
«Il servitore ci ha portato il messaggio che annunciava il vostro arrivo, naturalmente» disse Marina, fermandosi davanti a una porta di mogano dai magnifici intagli. «Ma a Daeman non ne ho parlato. È ancora, be’… scosso per l’incidente.»
«Ma lo ricorda?» domandò Harman.
«Oh, no, certo» rispose Marina. Era una bella donna e Ada notò che somigliava molto al figlio, aveva gli stessi capelli rossi e la stessa corporatura robusta. «Sapete però cosa si suol dire in questi casi… le cellule ricordano.»
"Non sono le stesse cellule!" pensò Ada. Ma tacque.
«Rimarrà turbato, vedendoci?» chiese Hannah. Alle orecchie di Ada parve più curiosa che preoccupata.
Con un gesto aggraziato Marina si strinse nelle spalle, quasi a dire: "Staremo a vedere". Bussò alla porta e l’aprì quando udì, soffocato, l’invito di Daeman a entrare.
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