Arthur Clarke - Preludio allo spazio

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I lettori conoscono già Arthur C. Clarke, che ha inaugurato la serie dei romanzi di Urania con «Le sabbie di Marte». Con lo stesso stile avvincente, la stessa precisione di scienziato, Arthur Clarke ci narra ora come gli esseri umani si preparino al primo volo nello spazio: destinazione Luna. Siamo nel 1980 circa. «Per migliaia d’anni» dice l’Autore «la razza umana si è diffusa sulla Terra, finchè l’intero globo non fu esplorato e colonizzato. Ora è arrivato il momento di fare il passo seguente e attraversare lo spazio. L’umanità deve sempre avere nuovi orizzonti, per non sprofondare nella decadenza. La Terra era grande abbastanza per gli uomini dei giorni della diligenza e della nave a vela, ma ora che possiamo farne il giro in poche ore è diventata troppo piccola… E questa conquista è possibile, perchè gli uomini hanno l’eredità del sapere che conquistarono dalla loro comparsa sulla Terra ad oggi. Durante tutti questi secoli, in lontani mondi, sotto soli stranieri, il Tempo ha preparato per l’Uomo i luoghi dove sorgeranno città nuove e uomini nuovi… Molti dei giovani di questa generazione assisteranno certo alla partenza della prima astronave per la Luna.» Questo libro vi farà vivere il momento che segnerà una nuova era per l’umanità, quando il primo uomo supererà la stratosfera per lanciarsi alla conquista degli spazi e delle stelle!

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Questo, Dirk poteva capirlo, anche se non sapeva nulla delle preoccupazioni domestiche dell’altro. Si lasciò guidare da Hassell fino al bar del Cumberland, dove sedettero con piacere dietro un paio di grosse birre.

«Non so» disse Dirk, dando qualche colpetto di tosse come a scusarsi, «se sapete in cosa consiste il mio lavoro.»

«Si dà il caso di sì» rispose Hassell con un sorriso accattivante. «Ci chiedevamo quando sareste arrivato a noi. Voi siete l’esperto di motivazioni e influssi, vero?»

Dirk fu stupito, nonché un po’ imbarazzato di scoprire fino a che punto si era sparsa la sua fama.

«Ehm… sì» ammise. «Naturalmente» si affrettò ad aggiungere «non sono interessato a casi individuali, ma mi è molto utile appurare quale è stata la motivazione iniziale che ha indotto una persona a occuparsi di astronautica.»

Si chiese se Hassell avrebbe abboccato all’amo, e di lì a un minuto quello cominciò a mordicchiarlo e Dirk si sentì come un pescatore che osservi il suo galleggiante che finalmente comincia a sobbalzare sulla superficie di un placido lago.

«Di questo abbiamo discusso a lungo alla nursery» disse Hassell.

«Non è una risposta facile.»

Dirk mantenne un silenzio incoraggiante.

«Prendete Taine, per esempio. Lui è uno scienziato puro alla ricerca della conoscenza e non molto interessato alle conseguenze. Ecco perché, nonostante il suo cervellone, sarà sempre un uomo più piccolo del D.G. Badate… la mia non è una critica. Un solo Sir Robert probabilmente basta e avanza per un’unica generazione! "

«Clinton e Richards sono ingegneri e amano le macchine per se stesse, pur essendo molto più umani di Taine. Penso abbiate sentito come Jimmy tratta i giornalisti che non gli piacciono…

lo immaginavo! Clinton è un tipo strano e non si sa mai esattamente quello che gli passa per la testa. Comunque loro sono stati scelti per questo compito, non l’hanno cercato.

«Pierre invece è diversissimo da tutti gli altri. E’ il tipo che ama l’avventura in sé, per questo è diventato pilota di razzi.

E’ stato il suo grosso errore, anche se allora non lo capì. Non c’è nulla di avventuroso nel volo missilistico: o va secondo i piani… oppure bang!»

Abbassò il pugno sul tavolo, fermandosi a una frazione di centimetro prima di abbatterlo, cosicché i bicchieri non tintinnarono violentemente. La precisione inconscia di quel gesto riempì Dirk di ammirazione. Non poteva però non controbattere la sua ultima affermazione.

«Mi pare di ricordare» disse «un piccolo contrattempo che vi è capitato e che deve avervi fornito una certa dose di… ehm…

eccitazione.»

Hassell fece un sorriso, per minimizzare l’episodio.

«Questo genere di cose capitano una volta su mille. Le restanti novecentonovantanove occasioni il pilota si limita a essere lì perché pesa meno del macchinario automatico che potrebbe fare il suo stesso lavoro.»

Si interruppe guardando al di sopra della spalla di Dirk e un lento sorriso gli si dischiuse sul volto.

«La celebrità ha le sue compensazioni» mormorò. «Una delle quali si sta avvicinando a noi in questo momento.»

Un dignitario dell’albergo stava spingendo un carrello verso di loro con l’aria di un alto sacerdote che porti l’oggetto sacrificale all’altare. Si fermò accanto al tavolo e sollevò una bottiglia che, se Dirk doveva giudicare dalle ragnatele che la avvolgevano, doveva essere molto più vecchia di lui.

«Con i complimenti della direzione, signore» disse l’impiegato, facendo un inchino a Hassell, che mormorò qualche esclamazione di apprezzamento, ma notò un po’ allarmato che ora sul loro tavolo si era concentrata tutta l’attenzione.

Dirk non era affatto un intenditore di vini, ma non pensava che una maggiore esperienza in quella complicata arte avrebbe potuto fargli scendere più voluttuosamente per la gola quel liquido vellutato. Era un vino così discreto e così di qualità che non esitarono a brindare a se stessi, poi all’Interplanetary e infine alla «Prometheus». Il loro apprezzamento estasiò a tal punto la direzione che fu subito proposta loro un’altra bottiglia, che però Hassell rifiutò garbatamente, spiegando di essere già molto in ritardo, il che era assolutamente vero.

I due si salutarono di ottimo umore sugli scalini della metropolitana, consapevoli che il pomeriggio aveva raggiunto un finale brillante. Solo quando Hassell se ne fu andato, Dirk si rese conto che non gli aveva detto nulla, assolutamente nulla di sé. Modestia… o semplicemente mancanza di tempo? Era stato sorprendentemente disposto a discutere dei suoi colleghi, sembrava fosse stato quasi ansioso di allontanare da sé l’attenzione.

Dirk si soffermò un momento a pensare a questo, poi, fischiettando una canzoncina, prese a dirigersi lentamente verso l’albergo, lungo Oxford Street. Dietro di lui il sole stava calando sulla sua ultima serata in Inghilterra.

20

«Penso sia dura per Alfred» fece notare Dirk «dover restare qui ora che inizia il divertimento.»

McAndrews emise un grugnito non compromettente.

«Non potremmo andare entrambi» rispose. «Attualmente il Quartier Generale è decimato. Troppi sembra che pensino di aver a portata di mano una buona scusa per prendersi un po’ di vacanza.»

Dirk si astenne dal far commenti, sebbene ne avesse molta voglia. In ogni caso, la sua presenza non avrebbe potuto essere considerata strettamente necessaria. Si configurò un’ultima patetica immagine del povero Matthews che fissava cupamente il pigro Tamigi, poi volse la mente ad argomenti più allegri.

La linea costiera del Kent era ancora visibile alle loro spalle, perché l’apparecchio di linea non aveva raggiunto né piena quota né piena velocità. Il movimento si avvertiva appena, ma, ad un tratto, Dirk senti un indefinibile cambiamento. Dovevano averlo notato anche gli altri, perché Leduc, che gli stava seduto di fronte, annuì soddisfatto.

«Gli statoreattori stanno cominciando a funzionare» disse.

«Adesso saranno escluse le turbine.»

«Questo vuol dire» intervenne Hassell «che siamo arrivati oltre mille?»

«Nodi, miglia o chilometri orari? Oppure pertiche per microsecondo?» chiese qualcuno.

«Per amor del Cielo! «gemette uno dei tecnici «non ricominciate con questa storia!»

«Quando arriviamo?» chiese Dirk, che lo sapeva benissimo, ma era ansioso di creare un diversivo.

«Arriveremo a Karachi tra sei ore, faremo un sonno di sei ore e dovremmo essere in Australia venti ore dopo. Naturalmente bisogna aggiungere — o sottrarre- circa mezza giornata per la differenza di fuso, ma questo conto può farlo qualcun altro.»

«Una specie di crollo per te, Vic» disse ridendo Richards, rivolto a Hassell. «L’ultima volta che hai fatto il giro del mondo hai impiegato novanta minuti.»

«Non bisogna esagerare» disse Hassell «Ero là fuori e ce ne sono voluti un buon centinaio. Inoltre ci ho messo un giorno e mezzo prima di riuscire a tornar giù!»

«La velocità va benissimo» commentò filosoficamente Dirk «ma dà un’impressione falsata del mondo. Arrivi di colpo da un posto all’altro in poche ore e ti dimentichi che in mezzo c’è qualcosa.»

«Sono d’accordo» disse inaspettatamente Richards. «Se «devi», viaggia pure in fretta, altrimenti è incomparabile andare sulla buona, vecchia barca a vela! Quando ero ragazzo trascorrevo la maggior parte del mio tempo libero sui Grandi Laghi. Per me vanno bene o cinque o venticinquemila miglia all’ora, ma non mi interessano le diligenze o gli aerei o qualunque altra cosa stia nel mezzo.»

La conversazione poi divenne tecnica e degenerò in un contrasto circa i relativi meriti dei getti degli statoreattori e dei razzi. Qualcuno sottolineò che era ancora possibile vedere in qualche remoto angolo della Cina apparecchi a elica che facevano un buon lavoro, ma fu messo a tacere. Dopo qualche minuto di questa discussione Dirk fu felice quando McAndrews lo sfidò a una partita su una piccola scacchiera.

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