Arthur Clarke - Preludio allo spazio

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I lettori conoscono già Arthur C. Clarke, che ha inaugurato la serie dei romanzi di Urania con «Le sabbie di Marte». Con lo stesso stile avvincente, la stessa precisione di scienziato, Arthur Clarke ci narra ora come gli esseri umani si preparino al primo volo nello spazio: destinazione Luna. Siamo nel 1980 circa. «Per migliaia d’anni» dice l’Autore «la razza umana si è diffusa sulla Terra, finchè l’intero globo non fu esplorato e colonizzato. Ora è arrivato il momento di fare il passo seguente e attraversare lo spazio. L’umanità deve sempre avere nuovi orizzonti, per non sprofondare nella decadenza. La Terra era grande abbastanza per gli uomini dei giorni della diligenza e della nave a vela, ma ora che possiamo farne il giro in poche ore è diventata troppo piccola… E questa conquista è possibile, perchè gli uomini hanno l’eredità del sapere che conquistarono dalla loro comparsa sulla Terra ad oggi. Durante tutti questi secoli, in lontani mondi, sotto soli stranieri, il Tempo ha preparato per l’Uomo i luoghi dove sorgeranno città nuove e uomini nuovi… Molti dei giovani di questa generazione assisteranno certo alla partenza della prima astronave per la Luna.» Questo libro vi farà vivere il momento che segnerà una nuova era per l’umanità, quando il primo uomo supererà la stratosfera per lanciarsi alla conquista degli spazi e delle stelle!

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Contro questa obiezione non ci poteva essere alcuna risposta del tutto convincente: solo uno scontro di fedi contrastanti — l’antico conflitto tra pessimismo e ottimismo, tra coloro che credevano nell’Uomo e quelli che non vi credevano. Però gli astronomi avevano dato un contributo al dibattito, sottolineando la falsità dell’analogia storica. L’uomo, la cui civiltà aveva occupato solo un periodo equivalente a un milionesimo della vita del pianeta, probabilmente non avrebbe trovato su altri mondi razze abbastanza primitive da poter sfruttare o rendere schiave.

Qualunque nave si fosse apprestata ad attraversare lo spazio con l’idea di costruire un impero interplanetario, avrebbe potuto trovarsi alla fine del viaggio con le stesse speranze di conquista di una flotta di canoe da guerra piene di selvaggi che entrasse lentamente nel porto di New York.

L’annuncio del probabile lancio della «Prometheus» di lì a poche settimane aveva riacceso tutte quelle speculazioni e molte altre. Stampa e radio parlavano quasi esclusivamente di questo e per qualche tempo gli astronomi guadagnarono non poco scrivendo articoli cautamente ottimistici sul Sistema Solare. Un’indagine della Gallup svolta in Gran Bretagna in quel periodo mostrò che il quarantun per cento del pubblico considerava una buona cosa il viaggio interplanetario, il ventisei per cento era contrario e il trentatré per cento non aveva opinioni. Queste cifre — in particolare quel trentatré per cento — provocarono un certo sconforto a Southbank e molte riunioni nel Dipartimento delle Pubbliche Relazioni, ora più indaffarato che mai.

Il solito esiguo rivolo di visitatori dell’Interplanetary ora si era ingrossato fino a diventare una poderosa ondata che portava con sé alcuni personaggi molto strani. Matthews aveva elaborato una procedura standard per trattare con la maggior parte di costoro. Alla gente che voleva fare il primo viaggio veniva offerto un giro nella gigantesca centrifuga del Settore Medico, dove si raggiungevano accelerazioni pari a dieci volte la gravità. Pochissimi avevano accettato quell’offerta e quelli che lo avevano fatto, quando si erano ripresi, erano stati consegnati al Settore Dinamica, dove i matematici avevano inferto il colpo di grazia ponendo loro domande alle quali era impossibile rispondere.

Tuttavia nessuno aveva trovato un modo efficace per trattare i veri pazzi — anche se a volte era possibile neutralizzarli mediante una sorta di reazione reciproca. Uno dei desideri inappagati di Matthews era quello di ricevere contemporaneamente la visita di qualcuno convinto che la Terra fosse piatta e di qualcuno di quei pazzi ancora più stravaganti persuasi che il mondo stia all’interno di una sfera vuota. Era sicuro che questo avrebbe scatenato un dibattito oltremodo divertente.

Ben poco si poteva fare per quegli aspiranti esploratori balzani — di solito zitelle di mezza età — che già avevano una conoscenza perfezionata del Sistema Solare ed erano fin troppo ansiosi di impartirla agli altri. Matthews era stato abbastanza ottimista nello sperare — ora che l’attraversamento dello spazio era così imminente — che non sarebbero stati tanto ansiosi di vedere le proprie idee messe alla prova della realtà.

In questo fu deluso. E uno sfortunato membro del suo staff venne adibito a tempo pieno a dar retta a quelle signore che davano resoconti molto vivaci e contrastanti delle cose lunari.

Più serie e significative erano le lettere e i commenti pubblicati sui grandi quotidiani, lettere delle quali molte esigevano risposte ufficiali. Un oscuro canonico della Chiesa d’Inghilterra scrisse una lettera vigorosa e molto pubblicizzata su «The Time», in cui denunciava l’Interplanetary e il suo operato. Sir Robert Derwent passò prontamente all’azione dietro le quinte e, come spiegò poi, «buttò sul tavolo» un arcivescovo.

Correva voce che avesse di riserva anche un cardinale e un rabbino, nel caso gli attacchi fossero provenuti da altri quartieri.

Nessuno rimase particolarmente sorpreso allorché un generale di brigata in pensione, che negli ultimi trent’anni doveva essere vissuto in stato di dormiveglia, quasi «comatoso» alla periferia di Aldershot, chiese di sapere quali passi venivano fatti per annettere la Luna al Commonwealth. Simultaneamente un generale era uscito da un lungo letargo ad Atlanta per chiedere al Congresso di fare della Luna il Cinquantesimo Stato. Analoghe richieste venivano fatte in quasi tutti i Paesi del mondo — con la possibile eccezione della Svizzera e del Lussemburgo —, mentre gli specialisti di diritto internazionale si rendevano conto che stavano per essere travolti da una crisi da molto tempo preannunciata.

A questo punto Sir Robert Derwent diffuse il famoso manifesto che era stato approntato molti anni prima proprio in previsione di quel giorno.

Diceva: «Speriamo di poter lanciare entro poche settimane la prima nave spaziale. Non sappiamo se avremo successo, ma ormai la possibilità di raggiungere i pianeti è quasi nelle nostre mani. Questa generazione si trova sull’orlo dell’oceano dello spazio e si sta preparando alla più grande avventura di tutta la storia.

«C’è chi è ancora radicato a tal punto nel passato da credere che il pensiero politico dei nostri antenati possa essere applicato su altri mondi. Costoro parlano addirittura di annettere la Luna nel nome di questa o quella nazione, dimenticando che l’attraversamento dello spazio ha richiesto lo sforzo congiunto di scienziati di tutti i Paesi del mondo.

«Oltre la stratosfera non ci sono nazionalità: gli ipotetici mondi che potremo raggiungere saranno eredità comune a tutti gli uomini — a meno che altre forme di vita non se ne siano già appropriate.

«Noi che ci siamo sforzati di mettere l’umanità sulla strada che porta alle stelle facciamo la seguente solenne dichiarazione, ora e per il futuro:

«Non porteremo frontiere nello spazio».»

14

«Suppongo di poter presumere» disse Collins in tono un po’ dubbioso «che avete afferrato tutto riguardo ai comuni razzi e capite come funzionano nel vuoto.»

«Mi rendo conto» rispose Dirk «che buttandosi alle spalle molta materia, quando si è a grande velocità, c’è necessariamente un rinculo.»

«Bene. E’ sorprendente vedere quante persone sono tuttora convinte che un razzo debba avere «qualcosa contro cui si spinga», come sostengono invariabilmente tutti. Capirete quindi il motivo per cui un disegnatore di razzi cerca sempre di ottenere il massimo possibile di velocità — e un po’ di più — dal getto che porta in avanti il veicolo. Ovviamente, la velocità dello scarico determina la velocità che il razzo raggiungerà.

«I vecchi razzi chimici, come la «V-2», avevano velocità di getto di una o due miglia al secondo. Con prestazioni del genere portare un carico di una tonnellata alla Luna e ritorno avrebbe richiesto svariate migliaia di «tonnellate» di combustibile, il che non era fattibile. Ciò che tutti volevano era poter disporre di combustibile senza peso. Il che virtualmente è stato reso possibile grazie alle reazioni atomiche, che sono più potenti di quelle chimiche di un milione o più di volte. L’energia rilasciata dalle poche libbre di materia delle prime bombe atomiche avrebbe potuto portare un migliaio di tonnellate sulla Luna — e ritorno.

«Ma sebbene l’energia sia stata rilasciata, nessuno sapeva con esattezza come usarla ai fini della propulsione. Questo piccolo problema è stato risolto solo recentemente, e ci sono voluti trent’anni per produrre i razzi atomici molto inefficienti che abbiamo oggi.

«Considerate il problema da questo punto di vista: nel razzo chimico otteniamo lo scarico bruciando un combustibile e lasciando che i gas caldissimi acquistino velocità espandendosi attraverso un ugello. In altre parole, scambiamo il calore con la velocità: più sarà calda la camera di combustione, più rapidamente il getto uscirà da essa. Otterremmo lo stesso risultato anche senza bruciare combustibile, ma limitandoci a scaldare la camera di combustione con qualche fonte esterna. In altre parole, potremmo fare un razzo pompando in un’unità di riscaldamento qualunque gas volessimo — persino l’aria — e lasciando poi che si espanda attraverso un ugello. D’accordo?»

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