— Mi spiace che abbiate avuto quell’impressione.
— Oh no, non dispiacetevi… Non intendevo rattristarvi. Be’, capisco come possa esservi sembrato… Insomma, so benissimo di esservi d’impaccio. — E si alzò per andarsene.
Leoh gli indicò un’altra volta il divano. — Rilassatevi, ragazzo mio. Sono rimasto seduto qui tutto il pomeriggio domandandomi cos’altro potessi fare e, bene o male, proprio ora sono giunto a una conclusione.
— Sì?
— Ho deciso di lasciare l’Ammasso d’Acquatainia e di tornare a Carinae.
— Cosaa??? Ma non potete! Voglio dire…
— E perché no? Qui non concludo niente di buono. Quello che hanno fatto Odal e Kanus è, fondamentalmente, un problema politico, non scientifico. Prima o poi l’équipe che si occupa della macchina scoprirà i loro trucchi.
— Ma, signore, se non ci riuscite voi a trovare una risposta, come faranno loro?
— Francamente non lo so. Ma, ve l’ho già detto, questo è un problema politico più che scientifico. Sono stanco, deluso e sento il peso degli anni. Voglio tornarmene a Carinae e trascorrere i prossimi mesi nella meditazione di problemi meravigliosamente astratti, come quel riguardanti, per esempio, i sistemi di trasporto istantaneo. Di Kanus se ne occuperanno Massan e la Guardia Spaziale.
— Oh! Ero proprio venuto a dirvi questo. Massan è stato sfidato a duello da Odal.
— Cosaa???
— Questo pomeriggio Odal si è recato al Palazzo del Governo, ha attaccato briga con lui proprio nel corridoio principale, poi lo ha sfidato.
— E Massan ha accettato?
Hector annuì. Leoh si allungò sulla scrivania e agguantò il telefono. Dopo alcuni minuti, persi tra un carosello di segretari e aiutanti, la faccia scura e barbuta di Massan apparve finalmente sullo schermo.
— Sicché avete accettato la sfida di Odal — esclamò il professore, senza tanti preamboli.
— Ci incontreremo la settimana prossima — rispose l’altro, gravemente.
— Avreste dovuto rifiutare.
— Con quale pretesto?
— Nessun pretesto. Un rifiuto chiaro e tondo, basato sulla certezza che Odal, o qualcun altro di Kerak, ha manomesso la macchina.
Massan scosse la testa, avvilito. — Caro il mio scienziato, voi non capite la situazione politica. Il governo di Acquatainia è più prossimo a disgregarsi di quanto io sia disposto ad ammettere pubblicamente. La coalizione di nazioni stellari che Dulaq aveva costituito per neutralizzare Kerak si è frantumata e Kerak sta già riarmandosi. Stanotte Kanus ha annunciato che annetterà Szarno e tutta la sua possente industria bellica. Questo pomeriggio Odal mi ha sfidato.
— Credo di capire…
— Già. Il governo d’Acquatainia è paralizzato finché non si saprà l’esito del duello. Non possiamo intervenire nella crisi di Szarno finché non sapremo chi sarà a capo del governo la settimana ventura. E, in verità, già parecchi membri del gabinetto appoggiano apertamente Kanus e sostengono che si dovrebbero stabilire relazioni amichevoli con lui, prima che sia troppo tardi.
— Ragione di più per rifiutare di battersi — insisté Leoh.
— Ed essere accusato di vigliaccheria durante le riunioni di Gabinetto? — Massan scosse la testa. — In politica, mio caro signore, l’apparenza di un individuo ha lo stesso valore, e a volte anche maggiore, della sua sostanza. Come vigliacco sarei presto messo da parte. Ma forse, come vincitore di un duello contro l’invincibile Odal, oppure come martire, potrei servire a qualcosa di utile.
Leoh non rispose.
— Ho rimandato l’incontro di una settimana — continuò Massan — cioè per il periodo più lungo che mi è stato possibile. Spero che in questi sette giorni riusciate a scoprire il segreto di Odal. La situazione politica potrebbe precipitare da un momento all’altro.
— Smonterò la macchina e la ricostruirò, molecola per molecola — promise Leoh.
Quando l’immagine di Massan svanì dallo schermo, il professore si rivolse a Hector. — Abbiamo una sola settimana per salvargli la vita.
— E per impedire lo scoppio di una guerra — aggiunse il giovane.
— Sì. — Leoh si appoggiò allo schienale della poltrona e fissò lo sguardo nel vuoto.
Hector strascicò i piedi, si stropicciò il naso, fischiettò stonato qualche brano di una canzone notissima e, finalmente, esplose:
— E come farete a smontare la duellomacchina?
— Eh? — Leoh si strappò bruscamente alle sue fantasie.
— Come farete a smontare la duellomacchina? — ripeté l’altro. — Insomma, voglio dire che è un lavoro troppo gravoso per riuscire a finirlo in una sola settimana.
— È vero, ragazzo mio. Ma forse noi due, riunendo i nostri sforzi, ce la faremo.
Hector si grattò la testa. — Be’, signore. Io non sono molto… All’Accademia, i miei voti in meccanica…
— Non è necessaria la conoscenza della meccanica, ragazzo mio — disse Leoh sorridendo. — Siete stati educati alla lotta, no? Ebbene, dovremo lottare mentalmente.
Fu la settimana più strampalata della loro vita.
Il piano di Leoh era semplice: controllare la duellomacchina spingendola ai limiti delle sue possibilità con duelli continui.
Prima i due uomini si limitarono a esercitare i loro muscoli mentali. Leoh aveva usato parecchie volte la macchina in passato, ma solo per controlli di ordinaria amministrazione, mai in veri e propri duelli contro un altro essere umano. Per Hector, invece, era un’esperienza completamente nuova.
Cominciarono, dunque, col giocare a nascondino. Uno dei due sceglieva un posto, si nascondeva e l’altro si dava da fare per scovarlo. Vagarono così attraverso giungle e città, percorsero ghiacciai e distanze interplanetarie senza mai abbandonare le cabine della macchina.
Poi, quando Leoh fu sicuro che quest’ultima era in grado di riprodurre e amplificare con grande fedeltà schemi di pensiero, cominciarono a battersi con duelli facili, tirando di scherma con fioretti spuntati, coadiuvati dall’équipe acquatainiana che forniva un aiuto preziosissimo nel controllo e nell’analisi degli incontri. Leoh combatteva malissimo perché ne sapeva ben poco di scherma e i suoi riflessi erano molto più lenti di quelli del suo avversario. La duellomacchina non alterava le conoscenze o le capacità fisiche di un individuo, le proiettava semplicemente nel sogno che lui divideva con un altro uomo, poneva l’abilità e la scienza di Leoh contro quelle di Hector. Poi tentarono con altre armi: pistole, raggi sonici, granate, ma usando sempre la precauzione di immaginarsi dentro una tuta protettiva. Strano a dirsi, malgrado Hector fosse allenato nell’uso di tutte le armi, Leoh vinceva quasi sempre gli incontri. Quando tiravano a un bersaglio il professore non era certo il più veloce e preciso dei due ma, quando poi si trovavano faccia a faccia, vinceva sempre, inspiegabilmente.
Leoh cominciò a rendersi conto che la macchina proiettava qualcosa di più dei pensieri di un individuo: ne proiettava la personalità.
Ora lavoravano notte e giorno, restando chiusi nelle cabine più di dodici ore al giorno e rasentando l’esaurimento insieme col personale addetto alla macchina. Quando mandavano giù un boccone, tra un duello e l’altro, erano nervosissimi e stremati. Generalmente finivano per addormentarsi nello studio del professore, mentre discutevano i risultati ottenuti durante la giornata di lavoro.
Pian pianino i duelli si fecero più seri. Ora Leoh spingeva i meccanismi al massimo, diventando sempre più esigente ad ogni incontro. Pur sapendo con esattezza che cosa voleva, spesso doveva fare uno sforzo per ricordarsi che i duelli erano del tutto immaginari.
Quando poi questi diventarono pericolosi e le allucinazioni ampliate artificialmente sfociarono nel sangue e nella morte, Leoh si accorse di vincere con frequenza sempre maggiore. E, mentre una parte della sua mente analizzava le cause del successo, l’altra cominciava a gustare la vittoria.
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