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Fredric Brown: Gli strani suicidi di Bartlesville

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Fredric Brown Gli strani suicidi di Bartlesville

Gli strani suicidi di Bartlesville: краткое содержание, описание и аннотация

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Festival Fredric Brown si potrebbe intitolare questo numero che vede il versatilissimo autore dei «racconti concentrati» alle prese con un intreccio di solida consistenza fantascientifica: un tranquillo villaggio americano sconvolto da una serie di inspiegabili «incidenti», e la lunga brancolante lotta dei suoi abitanti impegnati a individuare e cercare l'ignota e mostruosa «mente direttiva» che sola può esserne la causa. Tra Brown romanziere e Brown umorista, al lettore decidere quale sia il più brillante.

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Adesso sapeva anche la cosa più importante: l’uomo era l’unica specie intelligente sulla Terra, e la sua scienza molto progredita. Mentre le conoscenze di Tommy erano quasi nulle (conosceva l’elettricità quel tanto da permettergli di attaccare i due fili di un campanello), risultava però che scienza e scienziati esistevano sulla Terra, e che, cosa importantissima, la scienza comprendeva l’elettronica. Tommy possedeva un apparecchio radio. E aveva visto la televisione. E non ignorava l’esistenza del radar. Dove esistevano questi strumenti si doveva conoscere anche l’elettronica.

Era importante per la mente riuscire a controllare un tecnico elettronico. Ma non una persona che conoscesse perfettamente la materia. Bastava qualcuno a cui fosse possibile accedere alle varie attrezzature elettroniche. Con tutta probabilità avrebbe dovuto procedere a gradi, passare per diversi ospiti-schiavi intermedi, prima di raggiungere la persona adatta. Ma se avesse elaborato i suoi piani con molta attenzione, la cosa sarebbe stata possibile. E doveva riuscire. Perché la mente voleva tornare al suo mondo.

Veniva dal pianeta di un sole distante settantatré anni-luce dalle parti della costellazione di Andromeda. Era un sole troppo piccolo e per quanto fosse contrassegnato da un numero sulle carte astronomiche, gli scienziati non avevano ritenuto di dovergli dare un nome.

La mente non era venuta sulla Terra di sua volontà. Era stata mandata. Non per esplorare o come l’avanguardia di una invasione, ma in esilio. Era una creatura criminale. Per spiegare il suo delitto bisognerebbe spiegare un sistema sociale così differente dal nostro da risultare incomprensibile. Basta dire quindi che aveva commesso un delitto per il quale, sul suo mondo, la pena era l’esilio.

Non era venuta con un’astronave. Era stata mandata lì lungo un… chiamiamolo raggio di forza. È una descrizione inadeguata, ma è abbastanza precisa e vale qualsiasi altra frase simile detta nel nostro linguaggio, la trasmissione era stata istantanea. Un secondo prima era nel proiettore, sul suo pianeta, e il secondo successivo stava al margine di un sentiero che attraversava il bosco a nord di Bartlesville, nel Wisconsin.

Il pianeta del suo esilio era stato scelto a caso, senza sapere se fosse abitato o disabitato, tra i miliardi di pianeti delle galassie che la sua razza aveva catalogati ma che non aveva mai esplorati. Erano innumerevoli i pianeti, e non sarebbero mai riusciti a esplorarne che una piccola parte. La ragione per cui riuscivano a numerare i pianeti con la facilità con cui noi numeriamo le stelle era dovuta al fatto che il loro equivalente di telescopio era basato sull’ingrandimento del senso di percezione anziché della vista, senso nettamente inferiore, e permetteva loro di «vedere» i pianeti con la stessa facilità con cui noi vediamo le stelle.

Così si trovava sulla Terra, e voleva tornare a casa. Il che non era del tutto impossibile.

Era stata estremamente fortunata a capitare in un mondo che non solo ospitava esseri di una certa intelligenza, ma che avevano anche, per quanto inferiori alla sua, una scienza e una tecnica sviluppate. Le possibilità erano state, diciamo, centomila contro una. Se fosse arrivata su un pianeta disabitato non avrebbe avuto alcuna speranza. Se il pianeta avesse avuto una vita di intelligenza non ancora sviluppata (come la Terra un milione di anni prima) avrebbe potuto cercare di costruire il proiettore capace di farla tornare sul suo pianeta, ma le probabilità sarebbero state sempre molto scarse.

Sul pianeta sarebbe stata accolta con il benvenuto e perdonata… e anche onorata, se fosse riuscita a tornare. Agli esiliati era concessa questa possibilità, ma soltanto uno su mille riusciva in quell’impresa.

Se un esiliato riusciva a tornare portando notizie di nuovi esseri più utili come ospiti-schiavi della razza usata in quel momento, veniva proclamato eroe. Ecco una cosa che la mente poteva fare. Quando Tommy aveva trasportato il guscio, la creatura si era accorta del pollice opponibile alle altre dita. Questa era una particolarità unica in tutta la galassia. Rendeva possibile afferrare e maneggiare gli oggetti con maggiore facilità. Forse la mente avrebbe potuto costruire un proiettore capace di trasportare un campione umano. Se ci fosse riuscita, la sua razza avrebbe potuto mandare, in seguito, una spedizione esplorativa e fare il primo viaggio in forze per procurarsi degli ospiti-schiavi.

Se avesse agito con prudenza, e non avesse fatto errori, avrebbe avuto il successo a portata di mano. In quel momento però si accorse di aver già commesso un errore. Aveva attirato l’attenzione sul suo prigioniero. Per un po’ almeno Tommy sarebbe stato guardato con curiosità e sospetto, cosa che avrebbe senz’altro limitato la sua utilità.

Ciò che avrebbe dovuto fare, e che avrebbe fatto se si fosse soffermata qualche minuto a studiare il cervello di Tommy, era questo: farsi spostare dalla posizione troppo in vista e troppo pericolosa, ma non farsi portare fino alla grotta. L’erba alta che cresceva a pochi metri dal sentiero poteva essere un ottimo nascondiglio temporaneo. Poi doveva riportarlo vicino alla ragazza addormentata perché fingesse a sua volta di dormire. Così avrebbe avuto il tempo di studiare Tommy e la ragazza, e conoscere le azioni e le emozioni umane, in modo da farlo apparire normale quando si fossero svegliati.

Poi doveva lasciarli tornare a casa come era nelle loro intenzioni. (Una volta penetrata nella mente di uno schiavo avrebbe potuto controllarlo anche da una notevole distanza.) Il mattino seguente Tommy poteva tornare nel bosco, solo, andare a nasconderla nella grotta, e rientrare a casa senza aver destato la curiosità di nessuno.

Questo, avrebbe dovuto fare, ma ormai era troppo tardi. Adesso doveva semplicemente fare affidamento sul piano di emergenza che aveva studiato. Era basato su qualcosa trovato nella mente di Tommy, l’esistenza di una infermità più o meno temporanea, definita amnesia.

Tommy poteva benissimo rimanere di guardia all’ingresso della caverna tutta la notte. Il mattino presto sarebbe andato a prendere la giacca e le scarpe (la ragazza doveva essersi spaventata parecchio e averle lasciate nel luogo in cui si trovavano), poi avrebbe fatto ritorno a casa. La sua storia sarebbe stata semplice. Lui e la ragazza si erano stancati e avevano pensato di dormire. All’alba si era svegliato in un posto diverso, a circa un chilometro di distanza, e non riusciva a ricordare come ci fosse arrivato. Era impossibile che si fosse spostato di tanto camminando nel sonno, anche perché non aveva mai sofferto di sonnambulismo. Doveva quindi aver avuto un motivo per spingersi così lontano, ma non poteva ricordare quale fosse. In questo modo, se non altro, Tommy sarebbe apparso agli occhi degli altri come un essere normale… fino al momento in cui fosse cessata l’utilità di averlo come schiavo. Poi si sarebbe ucciso, magari in modo che la sua morte sembrasse avvenuta per disgrazia.

Improvvisamente i suoi ragionamenti vennero interrotti. Per mezzo degli occhi di Tommy che scrutavano nell’oscurità da dietro il cespuglio che mascherava l’ingresso, la mente vide avanzare due luci ondeggianti. E per mezzo delle orecchie del ragazzo sentì l’abbaiare furioso di un cane che seguiva una pista. E riconobbe la voce di Buck, il cane del padre di Tommy.

Capì subito cosa doveva essere accaduto. Il padre di Tommy si era preoccupato più di quanto lui non avesse immaginato. Tommy aveva pensato (o meglio, la mente di Tommy avrebbe pensato se fosse stato lui a usarla) che sarebbero venuti a cercarlo l’indomani mattina, non certo quella notte stessa. Si era dimenticato della possibilità che mettessero Buck sulle sue tracce.

Ma ora si stavano avvicinando.

Due uomini e un cane. Uno dei due doveva essere il padre di Tommy, l’altro, con tutta probabilità, il padre di Charlotte.

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