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Fritz Leiber: Alea iacta est

Здесь есть возможность читать онлайн «Fritz Leiber: Alea iacta est» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 1991, ISBN: 88-04-34851-8, издательство: Mondadori, категория: Фантастика и фэнтези / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Fritz Leiber Alea iacta est

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Anche pubblicato come “Per muovere le ossa”, “Le ossa devono rotolare” e “Far rotolare le ossa”. I premi Hugo e Nebula in 1968.

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— Accetto — disse.

— Lottie, i dadi.

Joe concentrò la sua mente come mai aveva fatto in passato, e avvertì la forza che gli pulsava trionfante nella mano mentre effettuava il lancio.

I dadi non urtarono mai il feltro. Scesero in picchiata e poi risalirono in una curva impossibile al di là della sponda e piroettarono indietro, sfrecciando come minuscole meteore sanguigne verso la faccia del Grande Giocatore nelle cui nere orbite si incastonarono, mostrando ognuno un rosso asso luccicante.

Gli occhi del serpente.

Il sussurro, mentre quello sguardo di dadi lucenti lo fissava beffardo, disse: — Joe Slattermill, ha perso.

Poi, col pollice e il medio delle mani, o meglio con le ossa delle mani, il Grande Giocatore si cavò i dadi dalle orbite e li lasciò cadere nella mano guantata di Lottie.

— Sì, lei ha perso, Joe Slattermill, e ora può spararsi — disse in tono pacato, toccando la pistola d’argento. — Oppure tagliarsi la gola — continuò, estraendo dalla giacca un bowie knife dall’impugnatura d’oro — o anche avvelenarsi — e aggiunse alle due precedenti armi un flaconcino nero con il simbolo di teschio e tibie. — Oppure Miss Flossie la potrà uccidere con un bacio. — Così dicendo attirò accanto a sé la più carina delle ragazze, che era quella dallo sguardo più perfido e lei si pavoneggiò, facendo svolazzare il gonnellino viola, e rivolse a Joe un’occhiata provocante e affamata, schiudendo le labbra scarlatte sui candidi canini.

— O ancora — aggiunse infine il Grande Giocatore, indicando con un significativo cenno del capo il tavolo dei dadi dal fondo nero — può fare il Grande Tuffo.

— Accetto il Grande Tuffo — disse Joe, calmo.

Appoggiò il piede destro sul tavolino vuoto delle fiches, il sinistro sul bordo nero del tavolo, e si gettò in avanti… scalciandosi improvvisamente lontano dalla sponda e, con un balzo felino, attraversò il tavolo e si avventò alla gola del Grande Giocatore, confortato dal pensiero che il poeta non era sembrato soffrire molto.

Mentre sorvolava il centro esatto del tavolo ebbe una fotografia istantanea di quel che c’era realmente al di sotto, ma il suo cervello non ebbe il tempo di sviluppare quell’istantanea, perché era ormai addosso al Grande Giocatore.

Costui lo colpì alla tempia con una mossa di judo, con il taglio di una mano brunita… e le dita scure, le ossa, schizzarono via come popcorn. La mano sinistra di Joe attraversò il torace del Grande Giocatore, come se non ci fosse nulla sotto la giacca di nero satin, mentre con la destra tesa in avanti gli artigliava il cranio sotto il cappello e lo riduceva in briciole. Un istante dopo, Joe si trovò a terra tra abiti neri e frammenti di brune ossa frantumate.

Allora balzò in piedi come un fulmine per afferrare le piramidi di fiches del Grande Giocatore. Aveva tempo solo per agguantarne una manata e non riuscendo a vedere né argento né oro né fiches nere, si riempì la tasca sinistra dei pantaloni di una manata di fiches pallide. Poi fuggì.

All’istante l’intera marmaglia del Boneyard lo assalì, tra un balenare di denti, coltelli e tirapugni. Fu colpito da calci, pugni, straziato da unghiate, sgambettato e calpestato da tacchi a spillo. Una tromba dorata, dietro cui stava una faccia nera dagli occhi iniettati di sangue, lo colpì alla testa. Quando intravide per un attimo il biancore della ragazza del cambio dell’oro fece per afferrarla, ma lei gli sfuggì. Qualcuno tentò di spegnergli un sigaro in un occhio, mentre Lottie si dibatteva come un boa constrictor e per poco non lo straziava con un paio di forbici dopo averlo afferrato per la gola. Flossie, soffiando come una furia, gli tirò in viso il contenuto di una bottiglietta che sapeva d’acido, ma senza colpirlo. Mister Bones tempestò di colpi tutt’attorno a lui con il revolver d’argento del Grande Giocatore. Joe fu aggredito a pugnalate, preso a pugni, a ginocchiate, a calci, morsicato, stritolato, graffiato, battuto e calpestato.

Ma, stranamente, né percosse, né calci né pugni avevano in realtà molta forza. Era come battersi contro una turba di fantasmi. Tutta la popolazione del Boneyard nel suo complesso sembrava solo poco più forte di lui. Alla fine Joe si sentì sollevare da una moltitudine di mani e scaraventare fuori dalle porte mobili, per finire con un tonfo sul marciapiede di legno. Neanche quella caduta gli fece molto male. Anzi, era quasi un gesto di incoraggiamento.

Sospirò a fondo, tastandosi e controllandosi le ossa, ma evidentemente non aveva subito lesioni serie. Allora si alzò guardandosi attorno. Il Boneyard era buio e silenzioso come una tomba o il pianeta Plutone o la stessa Ironmine. Poi i suoi occhi si abituarono alla luce delle stelle e ai riflessi delle astronavi che passavano sopra di lui e scorse una porta di ferro, chiusa da un lucchetto, là dove prima la c’era la porta ad ante mobili da cui era stato buttato fuori.

Si accorse di masticare qualcosa di croccante che aveva continuato a stringere nella mano destra durante tutta la confusione. Qualcosa di molto gustoso, come il pane che sua Moglie cuoceva per i clienti migliori. In quell’istante il suo cervello sviluppò l’istantanea scattata quando aveva guardato il feltro del tavolo da gioco mentre lo sorvolava. Una sottile muraglia di fiamme che si muoveva trasversalmente attraverso il tavolo e appena al di là di esse c’erano i volti di sua Moglie, della Mamma e di Mister Guts, tutti quanti con un’espressione attonita. Si avvide allora che quello che masticava era un frammento del teschio del Grande Giocatore e ricordò la forma delle tre pagnottelle che sua Moglie aveva infilato nel forno quando lui era uscito di casa. Capì allora che era stata lei a fare quella magia, per farlo allontanare un po’ da casa e farlo sentire quasi un uomo, per poi farlo tornare a casa con le dita scottate.

Sputò allora il frammento che aveva in bocca e gettò il resto della pagnotta-cranio dall’altra parte della strada.

Le fiches pallide che aveva in tasca si erano quasi tutte frantumate nella zuffa, ma riuscì a trovarne una ancora intatta e ne esplorò la superficie con la punta delle dita. Il simbolo inciso sopra era una croce. La portò alle labbra e diede un morso. Il sapore era delicato, ma gradevole. La mangiò e si sentì di nuovo in forze. Con la mano diede una pacca alla tasca sinistra rigonfia. Se non altro, sarebbe partito ben rifornito.

Allora si girò, diretto verso casa, ma invece della solita strada, prese quella più lunga, quella che faceva il giro attorno al mondo.

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