— Avrei dovuto registrarlo — disse Terry. — Si ripete ogni cinque minuti. Sarà per la prossima volta.
Davis si allontanò come se volesse dimenticare il suono e la decisione che desiderava prendere. Terry tornò a ripetersi, ostinato, che non c’era motivo per collegare quel suono con i pesci impazziti a mezzo miglio da lì. Eppure non poteva fare a meno di pensarci.
La campana di bordo suonò sette rintocchi. Deirdre disse: — Il cerchio luminoso si è ridotto ancora! È quasi la metà, adesso.
Terry premette il tasto del registratore e si rizzò per vedere meglio. In quell’attimo, Deirdre gridò: — Ascoltate! — Nel registratore si sentiva un suono nuovo, completamente diverso dal muggito di prima.
— Chiamate vostro padre — le ordinò Terry. — Arriva qualcosa!
Deirdre attraversò di corsa il ponte. Terry si spostò per manovrare il microfono che pendeva dalla murata dello yacht. E arrivò Davis. Parlò con voce aspra: — Qualcosa in arrivo? — domandò. — Sentite un rumore di macchine?
— Ascoltate — disse Terry. — Io cercherò di determinare la direzione.
Girò il cavo che reggeva il ricevitore subacqueo. Squittii e fruscii cambiarono volume man mano che il microfono ruotava. Il nuovo rumore, invece, come di qualcosa che fendesse le acque a grande velocità, non mutava. Terry fece fare un giro completo al microfono. Le voci dei pesci si affievolirono, quasi scomparvero, poi di nuovo aumentarono. Contemporaneamente variava l’intensità del ronzìo. L’altro suono restava costante. O meglio, sembrava aumentare, avvicinarsi, ma era lo stesso da nord, est, sud e ovest. Un rombo, come se un oggetto si muovesse in acqua a velocità spaventosa. Non un rumore di motori, ma qualcosa ugualmente lanciato con impeto attraverso l’oceano. E aumentava sempre di intensità.
— Non arriva da un punto cardinale — disse brevemente Terry. — Che profondità abbiamo in questo punto?
— Siamo ai margini della Fossa di Luzon — rispose Davis. — Otto, novemila metri. Forse dieci.
— Allora non può arrivare che dall’abisso — disse Terry. — Sta salendo.
Per un istante Davis non parlò. Poi, in tono aspro, disse: — Dal momento che ne avete parlato voi posso confermarvi che poteva essere solo così. — Quindi si volse e impartì brevi ordini, ai quali i ragazzi obbedirono di corsa. La prua dello yacht ruotò nel vento. Terry ascoltava : si sentiva un pulsare regolare che non era il ronzìo di un motore.
— I bazooka tengono in soggezione chiunque — disse Davis freddamente. — Se attacca, usateli. Ma prima cercate di scattare qualche fotografia.
La prua dell’“ Esperance ” si alzava e abbassava. Le vele erano nere contro il cielo stellato. Due dei giovani stavano appoggiati al parapetto di tribordo, con in mano dei lunghi tubi, che non si capiva bene che cosa fossero. Il vento frusciava fra le sartie e i terzaruoli sbattevano. Presso il parapetto di poppa, l’apparecchio di Terry emetteva, amplificati, i suoni trasmessi dal microfono immerso in mare.
Il frastuono della cosa in arrivo si faceva sempre più forte, superava ogni altro suono. Le onde si gonfiavano sotto la spinta di ciò che saliva alla superficie da abissi inimmaginabili.
Doug posò due armi vicino a Terry e a Deirdre e si allontanò. La ragazza teneva in pugno uno strano oggetto simile a un fucile con la canna del diametro di quindici centimetri, e molto corta. L’obiettivo vero e proprio era all’estremità della canna, piccola, simile a un mirino.
— Prima punteremo questi su qualunque cosa compaia — disse Deirdre calma, — e premeremo il grilletto. Poi prenderemo le armi e vedremo se sarà il caso di far fuoco. D’accordo?
Parlava rivolta al cerchio luminoso sull’oceano. In quella direzione c’erano Davis e il giovanotto al timone, poi Tony e Jug che impugnavano i tozzi bazooka. Più avanti, Doug aveva in mano la macchina fotografica, e un fucile posato accanto a sé.
Sembrava che fossero trascorse ore, ed erano passati appena pochi minuti. Niente di nuovo. La luna era bassa in cielo e un fiocco di nuvole brillava tra le stelle. Le creste delle onde si rincorrevano, e lo yacht rollava. A bordo gli uomini aspettavano con strane armi in pugno. Dal registratore veniva un rombo, un fruscio di acque smosse, sempre più forte, sempre più veloce.
Poi, al centro del cerchio luminoso fosforescente, si sentì come uno schianto spaventoso, dalle onde balzò in alto una colonna fosforescente, l’acqua ricadde e… qualcosa si librò in aria. Subito ‘si accesero dei bagliori bianchissimi, accecanti. Le macchine fotografiche erano entrate in azione, silenziose.
Allora Terry vide la cosa, là, a mezz’aria. Brandì la macchina e puntò. Premette il grilletto. Il lampo illuminò la cosa di luce vivissima. E di nuovo il buio.
Una forma a torpedine, sottile e lunghissima. Forse un essere vivente. Forse un oggetto metallico. Balzò a una cinquantina di metri, in alto, sulle onde, e ricadde nell’oceano sollevando uno spruzzo gigantesco. Solo in quel momento Terry pensò che di solito i panfili non sono armati di bazooka. — Non… non era una balena — disse Deirdre, con voce incerta.
All’improvviso il registratore ronzò. Di nuovo il suono di prima, quel ronzìo ossessionante di sessanta cicli che teneva prigionieri i pesci. Stavolta, dieci, venti, cinquanta volte più forte di prima. In acqua i pesci si dibattevano, impazziti e il mare si copriva di schiuma come se i suoi abitanti stessero tentando freneticamente di balzar fuori dalle onde che pungevano e bruciavano.
Poi, stranamente, quel brulichìo frenetico cessò. Il luccichio del mare s’affievolì e un istante dopo il suono ossessionante diminuì fino a diventare un mormorio appena percettibile.
Si alzò il vento e il mare si gonfiò.
‘La prua dell’“ Esperance ” si alzava e si abbassava. I suoni del trasmettitore, le voci del mare, erano sempre più deboli. Di nuovo si sentivano gli squittii e i fruscii dei pesci. Ma sempre meno forti, finché scomparvero, e rimasero solo i normali rumori, e il debolissimo ronzìo proveniente dal fondo.
Davis si avvicinò a Terry.
— I pesci non ci sono più — disse, con voce stanca. — Non si sono sparpagliati, sono scomparsi. Dove? Terry fece un cenno.
— Verso l’abisso. Volete una spiegazione possibile?
— Ne ho trovate anch’io alcune — disse Davis.
Arrivò Doug a ritirare le macchine usate da Terry e Deirdre.
— Si tratta di suoni che i pesci non possono sopportare — disse Terry, — e che li fa scappare lontano.
— Scapperei anch’io, se fossi in acqua — mormorò Deirdre.
— In acqua e in aria — riprese Terry, — un suono può essere diretto proprio come la luce. Un megafono dirige la voce in un dato punto, come fanno i riflettori per la luce.
— Già — disse Davis, con un tono tra lo scettico e l’ironico. — Perché no?
— Se la cosa fosse realizzabile in acqua — continuò Terry, — allora i pesci che si trovassero entro il raggiò sonoro sarebbero chiusi in una specie di rete a forma di cono. Immaginiamo che il cono sonoro si restringa, che le sue pareti si avvicinino sempre di più : il pesce si pigia nella rete quasi verticale, non fatta da fili di canapa bensì da un ronzìo insopportabile. Insomma, come se il mare fosse carico di elettricità e i pesci prendessero la scossa ogni volta che tentassero di oltrepassare un dato punto… Supponiamo adesso che qualcosa in cima al cono sonoro formi una specie di coperchio. I pesci non possono superare la barriera sonora né lateralmente né dall’alto. Quindi non hanno altra scelta che calarsi negli abissi.
— Chiarissimo — disse Davis, — però voi non ci credete di sicuro.
— Non riesco a immaginare che cosa produca quel suono e crei quella specie di trappola e non ne indovino nemmeno gli scopi, perciò non posso dire di crederci — rispose Terry.
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