Fredric Brown - L'angelico lombrico

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L'angelico lombrico: краткое содержание, описание и аннотация

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Questo lungho e splendido racconto di Fredric Brown è stato scritto nel lontano 1943. Ma, per la ragione che il lettore troverà indicata nelle “note”, non era mai stato tradotto in italiano. Le difficoltà di traduzione sembravano insormontabili. E invece la soluzione era semplice. Bastava pensarci. E bastava, soprattutto, aver fiducia nei lettori: i quali, specialmente se l’inglese non lo sanno ancora, saranno ben lieti di imparare una decina di “parole chiave” in quella utilissima lingua e in questa singolarissima storia.

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Aveva promesso di tornare dal dottor Palmer regolarmente per alcune settimane.

Ma era libero.

17

Pioggia e tenebre. Una pioggerellina fredda e spiacevole, che cominciò a penetrargli negli abiti, a corrergli giù per la nuca e a bagnargli le scarpe, appena lui scese dal treno sulla banchina semideserta.

Ma la stazione era quella, e lì accanto c’era il cartello col nome della città. Charlie lo guardò, rise ed entrò nella sala d’aspetto; c’era un’allegra stufetta a carbone, al centro della sala, e poiché aveva tempo di riscaldarsi un poco prima di andarsene, allungò le mani intirizzite.

In fondo al locale, un tipo dai capelli brizzolati lo guardò con curiosità attraverso il vetro della biglietteria. Charlie salutò con un cenno del capo, e la testa brizzolata rispose allo stesso modo.

— Siete qui per turismo? Vi fermate un po’ nella nostra cittadina?

— No — rispose lui — almeno spero di no. Voglio dire… — Dopo tutte le storie che aveva raccontato allo psichiatra, là in ospedale, non ci pensava su due volte a menare per il naso il bigliettaio di una modesta cittadina. — Volevo dire, non credo.

— Non partono altri treni, stasera. Sapete dove alloggiare? Se no, posso indicarvi un’ottima pensione.

— Grazie — disse Charlie. — So già dove andare. — Fu lì lì per aggiungere “almeno spero”, poi pensò che avrebbe avviato una nuova discussione.

Guardò l’orologio della sala, poi il suo da polso, e constatò che tutti e due segnavano mezzanotte meno un quarto.

— È grande, la vostra cittadina? — domandò. — Voglio dire, quanto c’è da qui alla strada nazionale?

— Non molto. Un chilometro, forse. Anche meno. Andate alla fattoria dei Tolliver? Ho saputo che cercavano un… Ma no, voi non avete l’aria di un bracciante.

— Infatti — disse Charlie — non lo sono. — Lanciò un’altra occhiata all’orologio e si avviò alla porta. — Arrivederci — disse.

— Andate da…

Ma Charlie era già uscito e aveva imboccato la strada dietro la stazione ferroviaria. Verso il buio, l’ignoto e… Be’, non poteva mica dire precisamente a quel tizio dove era diretto, no?

Ecco il viale che usciva dalla cittadina. Un altro isolato, poi il marciapiede finì e dovette camminare in mezzo alla strada, bagnandosi ancora di più. Ma che importava?

Arrivò all’incrocio con la strada nazionale. Su un cartello al lato della carreggiata, come in tutte le località turistiche, c’era la solita scritta di benvenuto. E dato che la cittadina si chiamava Haveen, la scritta naturalmente diceva:

BENVENUTI IN HAVEEN

Charlie la oltrepassò, poi si voltò. E restò ad aspettare, gli occhi fissi., sull’orologio da polso.

Sarebbe entrato alle dodici e quindici. Erano già le dodici e dieci. Due giorni, tre ore, dieci minuti da quando aveva trovato una moneta di rame nella scatola della liscivia; fatto avvenuto due giorni, tre ore e dieci minuti dopo che era rimasto anestetizzato sulla soglia della gioielleria; esattamente due giorni, tre ore e dieci minuti dopo che…

Guardò l’orologio che aveva accuratamente regolato: prima fissò la lancetta dei minuti, e quando questa segnò le dodici e quattordici, seguì quella dei secondi.

Quando mancò un secondo alle dodici e quindici alzò il piede e, al momento fatale, oltrepassò con decisione il cartello:

BENVENUTI IN…

18

Come sempre, non ci fu preavviso. Ma tutt’a un tratto…

Non pioveva più. C’era una luce abbagliante, che però non veniva da alcuna fonte visibile, e la strada sotto i suoi piedi non era più piena di fango, ma liscia come il vetro e candida come l’alabastro. L’essere vestito di bianco che stava presso il cancello fissò Charlie, stupito.

— Come siete entrato qui? — domandò. — Non siete neppure…

— No — disse Charlie — non sono neppure morto. Ma sentite, devo assolutamente vedere il… Chi è il responsabile della stampa?

— Il Compositore Capo, naturalmente. Ma non potete…

— Devo vederlo.

— Ma il regolamento proibisce…

— Sentite, è importante. Qui si stanno facendo degli errori tipografici! È anche nell’interesse di voialtri quassù, e non solo nel mio, che vengano corretti. No?

— Errori? Impossibile. State scherzando.

— Allora — disse Charlie — come ho fatto a entrare in Paradiso senza essere morto?

— Ma…

— Io, un minuto fa, avrei dovuto entrare in una cittadina chiamata Haveen. E invece mi sono trovato qui [2] Paradiso, in inglese, si dice “Heaven”. ( N.d.T .) . Come lo spiegate?… Secondo me, nella vostra tipografia, c’è una matrice delle “e” che…

— Venite — disse l’essere vestito di bianco.

19

La tipografia aveva un’aria cordiale e familiare. Non era molto diversa da quella di Charlie, alla Hapworth Printing Co. C’era una scrivania di legno malandata, cosparsa di carte, e dietro ad essa sedeva un Compositore Capo dalla testa calva, con le mani macchiate di inchiostro da stampa e una ditata dello stesso sulla fronte. Dalla porta chiusa veniva il fragore assordante delle compositrici e delle rotative.

— Certo — diceva Charlie — sono macchine perfette, tanto perfette che non avete neppure bisogno di correttori di bozze. Ma forse una volta su un numero infinito di volte, può capitare qualcosa anche alla perfezione. Sentite un po’: c’è una macchina compositrice e un compositore per il… per il destino di ogni singola persona, no?

Il Compositore Capo annuì. — Esatto, anche se in un certo senso operatore e macchina sono la stessa cosa, in quanto l’operatore rappresenta una funzione della macchina e la macchina è una manifestazione dell’operatore, ed entrambi sono prolungamenti dell’ego del… Ma credo che sia un po’ troppo complicato per voi.

— Credo anch’io. Comunque, i canali in cui scivolano le matrici devono essere imponenti. Nelle nostre “linotype”, alla Hapworth Printing Co., una matrice dell’“e” percorrerebbe il circuito ogni sessanta secondi circa, e una matrice difettosa causerebbe un errore al minuto, ma quassù… Be’, il mio calcolo di cinquantuno ore e dieci minuti è esatto?

— Sì — convenne il Compositore Capo. — E poiché non avreste avuto modo di scoprirlo se non…

— Esattamente. È proprio con quella frequenza che la matrice difettosa si presenta e scende quando l’operatore preme il tasto “e”. Probabilmente è un po’ consumata; comunque percorre un fronte distributore assai lungo, e scende troppo in fretta, fermandosi nella parola prima del previsto, e causando così un errore tipografico. Ad esempio, una settimana fa, domenica, io avrei dovuto prendere un lombrico ( angleworm ), e…

— Aspettate.

Il Compositore Capo premette il pulsante del citofono e diede un ordine. Un attimo dopo, un grosso volume fu deposto sulla scrivania. Prima che lui l’aprisse, Charlie intravide il suo nome scritto sulla copertina.

— Avete detto alle cinque e quindici antimeridiane?

Charlie annuì. Le pagine venivano sfogliate una dopo l’altra.

— Santo Cielo! — esclamò il Compositore Capo. — Un “verme-angelo” ( angelworm )! Doveva essere un bello spettacolo! Non avevo mai sentito parlare di un verme-angelo, prima d’ora! … E poi, che altro c’è stato?

— La “e” è scesa in un punto sbagliato anche nella parola “odio” ( hate ). Mi precipitai, travolto da un’“ondata d’odio” ( hate wave ), verso un uomo che frustava un cavallo, e… be’, ne venne un’“ondata di calore” ( heat wave ). La “e” scese due spazi prima del previsto, quella volta. E io mi presi una scottatura solare in un giorno di pioggia! Questo fu alle otto e venticinque di martedì; e alle undici e trentacinque di giovedì… — Charlie scoppiò a ridere.

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