Fredric Brown - L'angelico lombrico

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L'angelico lombrico: краткое содержание, описание и аннотация

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Questo lungho e splendido racconto di Fredric Brown è stato scritto nel lontano 1943. Ma, per la ragione che il lettore troverà indicata nelle “note”, non era mai stato tradotto in italiano. Le difficoltà di traduzione sembravano insormontabili. E invece la soluzione era semplice. Bastava pensarci. E bastava, soprattutto, aver fiducia nei lettori: i quali, specialmente se l’inglese non lo sanno ancora, saranno ben lieti di imparare una decina di “parole chiave” in quella utilissima lingua e in questa singolarissima storia.

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— Ma la bacheca…

— Al diavolo la bacheca! Possono aver trovato qualche espediente. Mica l’hai controllata coi tuoi occhi, e sai benissimo come sono i giornali. Guarda che cosa sono capaci di fare certi prestigiatori. Oppure, non è stato soltanto uno scherzo. Forse qualcuno l’ha messa lì dentro con uno scopo preciso; ma perché pensare che quello scopo abbia qualche relazione con te? Sei un egocentrico, ecco cosa sei.

Charlie sospirò. — Sì, ma … Prendi le tre cose insieme e…

— Ma perché “insieme”? Senti, stamattina ho visto un tipo scivolare su una buccia di banana e finire lungo disteso; questo pomeriggio mi è venuto un leggero mal di denti; stasera ho ricevuto una telefonata da una ragazza che non vedevo da anni. Perché dovrei prendere questi tre fatti e spremermi le meningi per trovare una causa comune a tutti e tre? Un motivo segreto per tutti e tre? Diventerei matto, se mi ci provassi.

— Uhm! — disse Charlie. — Forse non hai tutti i torti, ma…

Malgrado il “ma …”, se ne tornò a casa più sereno. E decise di sposarsi lo stesso, proprio come se non fosse successo niente. In fondo non era successo niente d’importante. Pete era pieno di buonsenso.

Dormì come un sasso, quella notte, e il sabato mattina si svegliò che era quasi mezzogiorno.

Sabato non accadde niente.

9

Niente, cioè, se si considera che la sparizione di una palla da golf non ha importanza. E Charlie decise che non l’aveva. Le palle da golf scompaiono spessissimo. È normale che un giocatore inesperto ne perda almeno una su diciotto buche.

Su per giù andò così.

Charlie aveva sparato la palla con un colpo lungo dalla piazzuola di partenza e l’aveva vista uscire di pista, urtare, rimbalzare e andare a fermarsi dietro un grosso albero, che così era venuto a trovarsi proprio tra lei e la buca della piazza d’arrivo.

L’imprecazione di Charlie era stata particolarmente calorosa, perché se la pallina fosse entrata in quella buca, lui avrebbe avuto eccellenti probabilità di fare cento. Così doveva, invece, perdere un colpo per rimandarla in pista.

Aveva aspettato che Pete lanciasse a sua volta una palla, che pure era finita tra i cespugli, sul lato opposto del campo, poi si era messo la sacca dei bastoni in spalla e si era diretto verso il punto in cui si era fermata la sua.

Ma era rimasto stupito.

Dietro l’albero, suppergiù dove avrebbe dovuto trovarsi la palla, c’era invece una ghirlanda di fiori appassiti, intrecciati a un cordoncino rosso che spuntava a tratti. Charlie l’aveva sollevata per guardarci sotto, ma la palla non c’era. Doveva essere finita più lontano. Aveva cercato ancora, senza riuscire a trovarla. Pete, intanto, aveva ripescato la sua e sparato il colpo di ricupero. Poi era andato in aiuto di Charlie, e insieme avevano fatto segno al quartetto seguente di continuare a giocare.

— Mi pareva che fosse proprio qui — aveva detto Charlie — ma dev’essere rotolata più avanti. Be’, se non la troviamo prima che quelli abbiano finito, ne lancerò un’altra. Ehi, com’è arrivata qui questa roba? — aveva aggiunto, accorgendosi di tenere ancora in mano la ghirlanda.

Pete l’aveva guardata con disgusto. — Santo Cielo, che combinazione di colori! Viola, rosso e verde, con un nastro rosso. Fa allegare i denti!

— Sì, ma che cos’è? Come è finita qui?

Pete aveva riso. — Ha l’aria di una di quelle ghirlande che gli hawaiani mettono intorno al collo ai turisti. “Lei”, la chiamano, no?… Ehi!

Aveva notato l’espressione di angoscia apparsa all’improvviso sulla faccia di Charlie. Allora, strappatagli di mano la ghirlanda, l’aveva gettata lontano, tra gli arbusti.

— Senti, ragazzo mio — aveva detto — adesso non aggiungerai anche questa al tuo rosario di fatti strani! Cosa importa chi l’ha buttata qui e perché? Andiamo, cerchiamo la palla e prepariamoci. Gli altri hanno già finito.

Non l’avevano trovata.

Charlie aveva dovuto sostituirla. Aveva lanciato la nuova palla in mezzo alla pista con il “niblick”, poi con un colpo di “brassie” l’aveva mandata a finire a trenta metri dal piolo. Infine un “putt” l’aveva fatta entrare nel buco. E aveva fatto cento, nonostante la penalità per la palla perduta.

Più tardi, nello spogliatoio del club, mentre si rivestivano, Charlie aveva detto a Pete: — Senti, tornando alla palla che ho perso… Non ti sembra un po’ strano che…

— Sciocchezze! — aveva grugnito l’altro. — Mai perso una palla, prima d’ora? A volte sembra di vedere dove vanno a finire, e poi sono sessanta, ottanta metri più in là. La prospettiva inganna spesso.

— Sì, ma…

Ancora quel “ma”. Sembrava l’ultima parola adatta a concludere tutto quello che gli capitava da un po’ di tempo a quella parte. Fatti bizzarri che si susseguivano l’uno all’altro; ciascuno aveva una sua spiegazione, se considerato in se stesso, ma…

— Bevi qualcosa — aveva suggerito Pete, allungandogli una bottiglia.

Charlie aveva ubbidito e si era sentito subito meglio. Aveva mandato giù parecchi bicchieri senza preoccuparsi. Infatti, quella sera Jane andava a un ricevimento tra amiche e non avrebbe sentito l’alito.

— Pete, che progetti hai per stasera? Jane ha un impegno, e questa è una delle mie ultime notti da scapolo…

Pete si era messo a ridere. — Vuoi dire che dovremmo sbronzarci? Va bene, conta pure su di me. Forse possiamo trovare qualche altro buontempone. È sabato e nessuno lavora domani.

10

Una bella fortuna che nessuno di loro dovesse lavorare l’indomani! Pochi sarebbero stati in grado di farlo. Fu una splendida serata d’addio, per soli uomini. Una bevuta da “Tony”, poi una partita di “bowling”, finché l’addetto cominciò a non poterne più di giocatori che tiravano oltre il confine della loro pista per colpire i birilli delle piste adiacenti.

Allora se ne andarono…

Il mattino seguente Charlie cercò di ricordare tutti i posti dove erano stati e tutte le cose che avevano fatto, e si sentì contento di non riuscirci completamente. Prima di tutto ricordava in modo vago di aver attaccato briga con un suonatore di chitarra hawaiano che portava una “lei”, e di averlo insensatamente accusato del furto della sua palla da golf. Ma gli amici lo avevano trascinato fuori dal locale prima che arrivasse la polizia.

Poi, verso l’una, avevano mangiato. Avevano dovuto scartare parecchi ristoranti prima di trovarne uno che servisse anitra, ma Charlie s’era fissato e voleva vendicare la palla da golf mangiando anitra.

Insomma, nell’insieme, era stata una gran bella baldoria. E valeva la pena di sopportare il conseguente mal di testa.

Dopotutto ci si sposa una volta sola nella vita. Almeno, chi è innamorato di una ragazza come Jane.

La domenica non accadde niente di straordinario. Charlie vide di nuovo la fidanzata e cenò ancora coi Pemberton. E ogni volta che guardava Jane o la sfiorava, provava la sensazione di un pilota novello che fa il cerchio della morte con un aereo velocissimo. Ma non c’era niente di strano, in questo: era innamoratissimo, no?

11

Ma il lunedì…

Lunedì cadde la goccia che fece traboccare il vaso. Alle diciassette e cinquantacinque di lunedì, Charlie capì che non c’era più niente da fare.

La mattina era stato dal prete per fissare l’ora della cerimonia, e il pomeriggio fece un mucchio di compere di articoli di vestiario, mettendoci assai più tempo del previsto.

Alle cinque e mezzo, cominciò a temere di non arrivare in tempo a ritirare l’anello nuziale, che era già stato pagato, ma che si trovava ancora dall’orefice per l’incisione delle iniziali.

Era già tardi e lui era ancora dalla parte opposta della città, in attesa che il sarto terminasse di dare alcuni piccoli ritocchi al vestito. Così telefonò a Pete Johnson.

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