Fredric Brown - Il topo stellare

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Il topo stellare: краткое содержание, описание и аннотация

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Anche pubblicato come “Mickie, il topolino spaziale”, “Astrotopolino” e “Il topo delle stelle”.

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Klarloth scosse il capo. — Osserviamolo bene. Potrebbe risparmiarci un viaggio fino alla Terra: giudicheremo il loro stato attuale di evoluzione basandoci sul razzo.

— Ma allora dovremo…

— Certamente. Chiama la Stazione, di’ loro che puntino gli attratto-repulsori sul razzo e lo inseriscano in un’orbita temporanea, mentre preparano un supporto per l’atterraggio. E che non dimentichino di neutralizzare l’esplosivo, prima di farlo scendere.

— Un campo di forza temporaneo intorno al punto d’atterraggio… per ogni eventualità?

— Naturalmente.

Perciò, nonostante l’assenza quasi totale di un’atmosfera che avrebbe permesso alle ali di funzionare, il razzo atterrò sano e salvo, e così dolcemente che Mitkey, nel compartimento buio, notò soltanto che il baccano tremendo era cessato.

Mitkey si senti meglio. Mangiò ancora un po’ del formaggio che abbondava nel suo compartimento. Poi riprese i tentativi di aprirsi un varco con i denti nel legno spesso due centimetri che rivestiva quel vano. Quel rivestimento di legno era stato un premuroso pensiero di Herr Professor per la tranquillità mentale di Mitkey. Sapeva che, cercando di rosicchiarlo per uscirne, Mitkey avrebbe avuto qualcosa da fare durante il viaggio e non sarebbe diventato isterico. L’idea aveva funzionato: indaffaratissimo, Mitkey non aveva sofferto mentalmente per la reclusione al buio. E adesso che c’era silenzio, rosicchiò più industriosamente e allegramente che mai, subliminalmente inconsapevole che, quando avesse finito di rosicchiare il legno, avrebbe trovato soltanto il metallo che non poteva rodere.

Ma anche persone assai migliori di Mitkey hanno trovato spesso cose troppo dure per i loro denti.

Nel frattempo Klarloth, Bemj e molte altre migliaia di prxliani stavano a guardare l’enorme razzo che, sebbene fosse posato sul fianco, torreggiava altissimo sopra le loro teste. Alcuni dei più giovani, dimentichi dell’invisibile campo di forza, si avvicinarono troppo e tornarono indietro massaggiandosi la testa ammaccata.

Klarloth s’era piazzato davanti allo psicografo.

— C’è vita, nel razzo, — disse a Bemj. — Ma le impressioni sono confuse. C’è un solo essere, ma non riesco a seguire i suoi processi di pensiero. In questo momento, sembra che stia facendo qualcosa con i denti.

— Non può essere un terrestre, un membro della razza dominante. Sono molto più grossi di questo razzo enorme. Esseri giganteschi. Forse, incapaci di costruire un razzo abbastanza grande per contenere uno di loro, hanno inviato un animale sperimentale, come i nostri woorath.

— Credo che la tua intuizione sia esatta, Bemj. Bene, quando avremo esplorato la sua mente, potremo comunque apprendere abbastanza per risparmiarci un viaggio d’accertamento alla Terra. Aprirò il portello.

— Ma l’aria… gli esseri terrestri hanno bisogno di un’atmosfera pesante, quasi densa. Non potrebbe sopravvivere.

— Manterremo il campo di forza, naturalmente, e tratterrà l’aria. Ovviamente c’è un apparecchio che fornisce l’aria all’interno del razzo, altrimenti l’essere non sarebbe sopravvissuto al viaggio.

Klarloth azionò i comandi, e il campo di forza estromise pseudopodi invisibili e girò il portello a vite esterno, poi si insinuò e aprì il portello interno che comunicava con il compartimento.

Tutti i prxliani osservarono trattenendo il respiro, quando una mostruosa testa grigia apparve nell’enorme apertura, lassù. Baffi folti, ognuno dei quali era lungo quanto il corpo di un prxliano…

Mitkey saltò giù, avanzò di un passo e andò a sbattere duramente il naso nero… contro qualcosa che non c’era. Squittì, e balzò indietro, contro il razzo.

Bemj alzò lo sguardo verso il mostro. — Evidentemente è molto meno intelligente di un woorath. Tanto vale attivare il raggio.

— No certo, — l’interruppe Klarloth. — Tu dimentichi certi fatti chiarissimi. L’essere non è intelligente, è ovvio, ma il subconscio di ogni animale conserva ogni impressione, ogni immagine sensoriale che ha ricevuto. Se questo essere ha avuto modo di udire il linguaggio dei terrestri, o ha visto qualcuna delle loro opere, oltre a questo razzo, ogni parola e ogni immagine gli sono rimaste impresse incancellabilmente. Capisci che cosa intendo?

— Certo. Che stupido sono stato, Klarloth. Bene, una cosa possiamo dedurla dallo stesso razzo: non avremo nulla da temere dalla scienza terrestre, almeno per qualche millennio. Quindi non c’è fretta, ed è una vera fortuna. Perché far ritornare la memoria dell’essere al tempo della nascita, e seguire ogni impressione sensoriale attraverso lo psicografo… ecco, occorrerà un tempo equivalente almeno all’età dell’essere, quale che sia, più il tempo che ci sarà necessario per interpretarle e assimilarle.

— Ma questo non sarà necessario, Bemj.

— No? Oh, vuoi dire le onde X-19?

— Precisamente. Puntate sul centro cerebrale dell’essere, possono, senza alterare i suoi ricordi, venire regolate delicatamente in modo di accrescere la sua intelligenza — ora senza dubbio intorno al valore di 0,0001 — fino al punto di renderlo ragionante. Quasi automaticamente, durante il processo, assimilerà i propri ricordi, e li comprenderà come li comprenderebbe se fosse stato intelligente al tempo in cui ha ricevuto quelle impressioni.

— Capisci, Bemj? Scarterà automaticamente i dati non pertinenti e potrà rispondere alle nostre domande.

— Ma vorresti renderlo intelligente quanto…?

— Quanto noi? No, le onde X-19 non avrebbero un simile effetto. Direi che arriverebbe a un valore di 0,2. E questo, a giudicare dal razzo e da ciò che ricordiamo dei terrestri dal nostro ultimo viaggio sul pianeta, è all’incirca il loro posto attuale sulla scala dell’intelligenza.

— Uhm, si. Su quel livello, lui comprenderebbe le sue esperienze sulla Terra quanto basta per non diventare pericoloso per noi. Eguale a un terrestre intelligente.

Andrebbe benissimo per il nostro scopo. Allora, gli insegneremo la nostra lingua?

— Aspetta, — disse Klarloth. Studiò attentamente lo psicografo per qualche istante. — No, non credo. Avrà un suo linguaggio. Vedo, nel suo subconscio, i ricordi di molte, lunghe conversazioni. Stranamente, sembrano tutti monologhi di una sola persona. Ma avrà un linguaggio… molto semplice. Impiegherebbe un tempo lunghissimo, anche con l’aiuto di un trattamento, per afferrare i concetti del nostro metodo di comunicazione. Però noi possiami imparare il suo, mentre viene sottoposto alla macchina X-19, in pochi minuti.

— Adesso capisce quella lingua?

Klarloth studiò di nuovo lo psicografo. — No, non credo che… Aspetta, c’è una parola che sembra significare qualcosa, per lui. La parola ‘Mitkey’. Sembra che sia il suo nome e ritengo che, avendola sentita molte volte, l’associ vagamente a se stesso.

— E ci vorrà un alloggio per lui… con portelli stagni e camere di compensazione e tutto il resto?

— Naturalmente. Dai l’ordine di costruirlo.

Dire che per Mitkey fu un’esperienza strana è dir poco. La conoscenza è una cosa strana, anche quando viene acquisita gradualmente. Ma vedersela imposta così all’improvviso…

E c’erano tante piccole cose da risolvere. Per esempio, il problema delle corde vocali. Le sue non erano adatte alla lingua che adesso scopriva di sapere. Bemj sistemò tutto: non si poteva neppure parlare di un’operazione perché Mitkey — anche con la sua nuova sensibilità — non comprese che cosa succedesse, sebbene rimanesse ben sveglio. E i prxliani non spiegarono a Mitkey la dimensione J, attraverso la quale si può arrivare all’interno delle cose senza penetrarne l’esterno.

Idearono molte cose che non rientravano nella linea di Mitkey, e del resto erano interessati a imparare da lui, più che a’d insegnargli. Bemj e Klarloth e una dozzina d’altri ebbero quel privilegio. Facevano a turno per parlargli.

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