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A. Chandler: L'uccisore di giganti

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A. Chandler L'uccisore di giganti

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Senza-Pelo bevve a lungo e con soddisfazione.

Poi, ancora imbrattato di sangue, scrutò, ansante, il Popolo davanti a lui.

«Io sono il capo», dichiarò.

«Tu sei il capo!» gli risposero in coro.

«E Wesel è la mia compagna».

Questa volta il Popolo esitò.

Il nuovo capo udì levarsi i mormorii tra la folla… « Il banchetto… Zanna-Grossa è vecchio e duro… Dobbiamo esser defraudati, dunque?… »

«Wesel è la mia compagna», ripeté. Poi… «Ecco il vostro banchetto».

Pur all’apice del suo potere, quasi non sopportò gli occhi afflitti di Senza-Coda, la tremenda sensazione di essersi posto, con le sue parole, fuori di tutte le tradizioni, di tutte le Leggi.

« Al di sopra della legge», gli bisbigliò Wesel.

Temprò il proprio cuore.

«Ecco il vostro banchetto», ripeté.

Fu Grosse-Orecchie che, strappata una lancia a una delle guardie, con un rapido colpo liquidò la tremante Senza-Coda.

«Sono la tua compagna», disse Wesel.

Senza-Pelo la prese tra le braccia. Si sfregarono i nasi. Non fu il sangue del vecchio capo, che ancora l’imbrattava, a causarle un lieve tremore. Fu la sensazione di quel corpo disgustosamente glabro contro il suo.

Già il Popolo stava squartando e dividendo i due corpi e litigava per la spartizione delle succulente spoglie.

C’era una, fra quelle del Nuovo Popolo, che, se le differenze dal ceppo razziale fossero state soltanto psicologiche, sarebbe stata trucidata già da tempo. Malgrado i suoi tre occhi, se avesse esercitato il suo dono in maniera imprudente, avrebbe senz’altro conosciuto la morte. Ma, come le sue simili in società ben più civilizzate, faceva bene attenzione a raccontare, a quanti venivano da lei, soltanto ciò che desideravano sentire. Ma anche qui esercitava il suo riserbo.

L’esperienza le aveva insegnato che la conoscenza anticipata degli eventi futuri spesso dava risultati del tutto imprevisti, nella gente. Ciò la infastidiva. Meglio la sventura nel flusso principale del tempo che il benessere in una diramazione secondaria.

Per questo Tre-Occhi andò da Senza-Pelo e Wesel.

Prima che il capo potesse fare anche una sola domanda, la veggente sollevò una mano scarna.

«Tu sei Shrick», gli disse. «Così ti chiamò tua madre. Shrick, l’Uccisore-di-Giganti».

«Ma…»

«Aspetta. Tu vuoi chiedermi della tua guerra contro il Popolo di Tekka. Continua con i tuoi piani. Vincerai. Poi combatterai contro la tribù di Sterret il Vecchio. E ancora una volta vincerai. Diverrai il Signore dell’Esterno. E poi…»

«E poi?»

«I giganti sapranno del Popolo. Molti del Popolo, ma non tutti, morranno. Tu combatterai contro i giganti. E tu ucciderai l’ultimo dei giganti, ma lui precipiterà il mondo in… Oh, se soltanto potessi farti vedere! Non abbiamo parole per descriverlo!»

«Cosa?»

«No, non c’è alcun modo per fartelo sapere… Non lo saprai finché la fine non sarà su di te. Ma questo posso dirti: il Popolo è condannato. Niente, che tu o loro possiate fare, apporterà la salvezza. Ma tu ucciderai quelli che uccideranno noi, e questo è bene».

Ancora una volta Senza-Pelo implorò lumi. D’un tratto le sue implorazioni divennero minacce. La rabbia saliva rapida in lui, preparando uno dei suoi tremendi attacchi di furore. Ma Tre-Occhi era dimentica della sua presenza. I suoi due occhi esterni erano serrati, e quel suo strano e temuto occhio interno stava fissando qualcosa… qualcosa al di là dei limiti della caverna, ben fuori della struttura delle cose-come-sono.

Il capo ringhiò dal profondo della gola.

Alzò la bella lancia che era il simbolo del suo potere e la conficcò ben dentro il corpo della vecchia femmina. L’occhio interno si chiuse, e i due esterni si aprirono con un guizzo per l’ultima volta.

«Mi è stata risparmiata la Fine…» esalò.

Fuori della piccola caverna, il fedele Grosse-Orecchie era in attesa.

«Tre-Occhi è morta», gli disse il suo padrone. «Prendine ciò che vuoi, e dà il resto al Popolo…»

Per un po’ ci fu silenzio.

Poi… «Sono lieta che tu l’abbia uccisa», disse Wesel. «Mi spaventava. Sono stata dentro la sua testa… e mi ci sono smarrita!» La sua voce aveva una sfumatura isterica. «Ero sperduta! Era un posto… e c’erano l’ adesso e quello che sarà. E ho visto la Fine».

«Cosa hai visto?»

«Non ho visto. Ero smarrita. Tutto quello che ho visto è stata la Fine».

Senza-Pelo rimase silenzioso. La sua mente agile e viva correva veloce intorno a tutto quello che gli aveva detto la profetessa morta. Uccisore-di-Giganti, Uccisore-di-Giganti. Perfino nei suoi sogni più grandiosi non si era mai visto in quella veste. E cos’era mai quel nome: Shrick? Lo ripeté fra sé… Shrick, l’Uccisore-di-Giganti. Aveva un bel suono. Il quanto all’altra cosa, la Fine, se lui poteva uccidere i giganti, allora certamente avrebbe potuto evitare quella condanna che la sorte avrebbe elargito al Popolo. Shrick, l’Uccisore-di-Giganti…

«È un nome che preferisco a Senza-Pelo», dichiarò Wesel.

«Shrick, signore dell’Esterno. Shrick, Signore del Mondo. Shrick, l’Uccisore-di-Giganti…»

S’interruppe. Poi disse, lentamente: «Ma la Fine…»

«Varcherai quella porta quando ci arriverai».

La guerra contro il Popolo di Tekka era cominciata.

Lungo le caverne e le gallerie si riversarono le orde da incubo di Shrick. La fioca luce rivelava soltanto in parte i loro corpi sgraziati, gli arti che spuntavano dove non avrebbe dovuto essercene nessuno, teste simili a qualcosa uscito da sogni semi-dimenticati.

Erano tutti armati. Ogni maschio e ogni femmina portava una lancia, e già questa era un’innovazione sorprendente nelle guerre del Popolo, poiché il metallo tagliente, col quale venivano fatte le punte delle armi, era difficile da trovare. Era vero che un’asta del materiale con cui era fatta una Barriera poteva venir affilato, ma in una battaglia campale era più un peso che un vantaggio. Al primo colpo la punta si sarebbe rotta, lasciando il combattente con un’arma assai inferiore allo stesso armamentario naturale dei denti e degli artigli.

Il fuoco era una novità per il popolo — ed era stato Shrick a portare il fuoco. Per lunghi periodi aveva spiato i giganti nel Luogo-delle-Piccole-Luci, li aveva visti tirar fuori dalle borse delle loro pellicce piccoli congegni luccicanti, dai quali, quando una piccola sporgenza veniva premuta, usciva una minuscola fiammella luminosa. E li aveva visti portare questa luce fino all’estremità di strani bastoni bianchi che essi parevano succhiare. E l’estremità del bastone ardeva, e c’erano nuvole… simili alle nuvole che uscivano dalla bocca di quelli del Popolo in alcune delle caverne del Lontano Esterno, dove faceva molto freddo. Ma queste nuvole erano fragranti e parevano esercitare uno strano potere calmante.

Uno dei giganti aveva perduto la sua piccola fiamma lucente. L’aveva accostanta a uno dei bastoni bianchi, aveva poi fatto per riporla nella sua borsa, ma la sua mano aveva mancato l’apertura. Il gigante non se n’era accorto. Stava facendo qualcosa che attirava tutta la sua attenzione — ma per quanto avesse sforzato gli occhi e l’immaginazione, Shrick non aveva potuto vedere cos’era. C’erano strane macchine scintillanti attraverso le quali scrutava intento le Piccole Luci al di là della Barriera trasparente… oppure si trovavano all’interno della Barriera? Nessuno era mai stato capace di decidere. C’era qualcosa di vivo, là, che non era vivo e ticchettava. C’erano fogli di pelle bianca e sottile sui quali il gigante faceva dei segni neri con un bastone acuminato.

Ma Shrick perse presto interesse a quegli strani riti, che non avrebbe mai potuto sperare di capire. Tutta la sua attenzione si stava concentrando sullo scintillante bottino che stava andando molto lentamente alla deriva verso di lui, spinto da qualche occasionale vortice d’aria.

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