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Robert Sawyer: I transumani

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Robert Sawyer I transumani

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Ascoltare messaggi che vengono dalle stelle è un compito che i radioastronomi eseguono da anni nella speranza che possano arrivarci rivelazioni in grado di cambiare la nostra visione dell’universo. Ed è probabile che un giorno queste comunicazioni arrivino davvero, e che oltre a cambiare tutto ciò che sapevamo di là fuori mettano in discussione ciò che noi stessi siamo (o credevamo di essere). Quando questo avverrà, è probabile che non ci sia più posto per le illusioni dell’homo sapiens. E comincerà la lotta per consentire, o stroncare sul nascere, l’evoluzione di una nuova specie di uomini.

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— Però, una bella manica di furbi, questi Centauri — osservò Kyle dopo una breve riflessione.

— In che senso?

— Ci trasformano in una razza empatica mentre sono ancora per strada. A meno che non vengano per conquistarci e vogliano ammorbidirci un poco nel frattempo.

Heather scosse la testa. Lei era presente, al momento del contatto. Lei sapeva. — No, non c’entra nulla. Innanzitutto chiunque possieda il volo interstellare potrebbe tranquillamente sterilizzare l’intero pianeta senza neppure scomodarsi a scendere, infischiandosene se siamo stati… ammorbiditi oppure no. In secondo luogo, ora che le due supermenti sono in contatto non tarderà a stabilirsi un vero e proprio flusso comunicativo… e nello psicospazio, come ben sai, non esistono segreti.

Kyle annuì. — Già.

Heather lo squadrò decisa. — E adesso, caro professore, faremmo bene ad andare a letto. Domani sarà una giornata campale, con la conferenza stampa e tutto il resto.

— Le cose cambieranno — mormorò Kyle, mentre i suoi occhi, come un giorno ormai lontano quelli di Cita, si perdevano nella contemplazione del futuro. — 11 mondo…

Heather sorrise, pensando a come si fosse riconciliata col proprio passato, a come Kyle si fosse riconciliato col suo, e agli eventi mirabili cui avevano assistito. — Il mondo — completò per lui — diverrà un posto migliore. — D’un tratto il sorriso le si fece malizioso. — Comunque — soggiunse, mentre una scintilla le danzava nello sguardo — …ultima notte di vera intimità… sarà meglio approfittarne. — Poi prese Kyle per mano e lo condusse di sopra.

Epilogo

Due anni dopo: 12 settembre 2019

Quattro mesi sono trascorsi dall’individuazione dell’astronave. Fino allora, la sua coda di plasma si era confusa col bagliore di Alpha Centauri, da cui la separavano ormai circa 4,3 anni-luce. Il getto ionizzato puntava direttamente verso la Terra: la nave, invertito l’assetto, stava frenando. Dopo la partenza da Alpha Centauri aveva evidentemente accelerato per sei anni, iniziando quindi un decelerazione destinata a durarne altri sei.

E oggi, finalmente, sarebbe giunta a destinazione.

Una riflessione malinconica: erano trascorsi cinquant’anni da quando per primo Neil Armstrong aveva posto piede sulla Luna, eppure la Terra non disponeva neppure più di una bagnarola in grado di trasportare un equipaggio oltre quel misero fossato. Persino la consapevolezza dell’esistenza di altre creature intelligenti non era riuscita a infondere nuova linfa nel programma spaziale. Sebbene la sonda Tolomeo, in viaggio nelle regioni esterne del sistema solare, fosse riuscita a trasmettere qualche nebulosa inquadratura del vascello alieno, per vederlo con chiarezza l’umanità avrebbe dovuto attenderne l’arrivo sulla Terra.

Che cosa di preciso ci si dovesse aspettare, nessuno lo sapeva. Gli alieni sarebbero entrati in orbita attorno al pianeta? O sarebbero scesi da qualche parte? Anzi: c’erano davvero alieni, a bordo, o si trattava solo di un ricognitore automatico?

Arrivati al dunque, l’astronave s’inserì in orbita terrestre. Era un aggeggio dall’aspetto fragile, lungo quasi un chilometro, evidentemente concepito solo per il viaggio spaziale. Nei sei giorni precedenti erano stati lanciati, Con ritmo quotidiano, gli altrettanti shuttle degli Stati Uniti. Completavano lo schieramento due navette giapponesi, tre europee e una iraniana. Non c’erano mai stati tanti esseri umani in giro per lo spazio.

Il vascello alieno aveva scelto un’orbita bassa, ma comunque al limite quasi delle capacità degli shuttle. Ci si aspettava che la nave-madre partorisse un qualche genere di veicolo adatto all’atterraggio, però non fu così. Vennero scambiati messaggi radio, e per la prima volta gli umani risposero ai Centauri. Risultò purtroppo che la gravità terrestre era circa il doppio di quella del mondo da cui provenivano i Centauri. Sebbene i 217 individui presenti a bordo dell’astronave avessero percorso quarantuno trilioni di chilometri, gli ultimi duecento rappresentavano per loro un abisso invalicabile.

La stazione spaziale internazionale aveva fatto progressi, nel corso degli anni, tuttavia non sarebbe stato in alcun modo possibile farvi attraccare l’astronave: per raggiungerla, bisognava che gli alieni si sobbarcassero una passeggiatina nel vuoto. Manovrarono dunque sino a ridurre a cinquecento metri la distanza minima dall’installazione terrestre.

Tutti gli apparecchi da ripresa disponibili a bordo della stazione e della flottiglia di navette erano puntati sul vascello centauriano e ogni televisore del pianeta mostrava lo svolgersi degli eventi; per una volta almeno, l’intera umanità era sintonizzata sul medesimo programma.

Le tute spaziali aliene non fornivano alcuna indicazione circa l’aspetto dei loro occupanti, consistendo in candide bolle perfettamente sferiche provviste di lunghe braccia robotiche tenute distese, con una fascia di osservazione trattata a specchio disposta orizzontalmente subito sopra la linea di massima circonferenza. Cinque alieni lasciarono la nave-madre, e getti di gas compresso li spinsero verso un vano di carico apertosi sul fianco della stazione.

Esisteva la possibilità che i visitatori non si togliessero le tute neppure dopo esser giunti a destinazione: non era certo la gravità il solo elemento che differenziasse i due pianeti. In effetti si era pensato che avessero un tabù contro il mostrare ad altri il proprio aspetto corporeo: ipotesi avanzata più volte nel constatare che i radiomessaggi non avevano mai contenuto, almeno in apparenza, alcuna raffigurazione delle loro sembianze.

La prima sfera entrò nel vano di carico. Il suo occupante smorzò per mezzo dei getti gran parte del movimento in avanti, ma dovette comunque protendere una delle appendici meccaniche pluriarticolate per fermarsi contro la paratia di fondo. Ben presto anche le altre quattro sfere si arrestarono indenni all’interno e rimasero lì a galleggiare immote, in evidente attesa. Il portello del vano cominciò a richiudersi con estrema lentezza: nessuna minaccia, nessuna trappola, se gli alieni volevano andarsene avevano tutto il tempo per farlo prima che la manovra si completasse.

Ma le sfere rimasero al proprio posto, anche se una di loro ruotò su se stessa per osservare la discesa del portello.

Non appena il vano divenne ermetico fu pompata aria all’interno. Nell’avvicinarsi alla Terra gli alieni dovevano aver senza dubbio compiuto rilevamenti spettroscopici sulla sua atmosfera; potevano quindi verificare che i gas immessi ora nel locale erano identici a quelli costituenti l’aria del pianeta, non una venefica miscela destinata a intossicarli.

Gli scienziati a bordo della stazione avevano congetturato che se il mondo dei Centauri possedeva una gravità inferiore alla nostra, allora doveva probabilmente avere anche una minore pressione atmosferica. Interruppero quindi la pressurizzazione a circa settanta kilo-pascal.

Gli alieni parvero trovare la situazione di loro gradimento. Le braccia robotiche di una delle sfere si ripiegarono sino a toccare la superficie del veicolo, poi la sfera si divise in due all’altezza del diametro e le appendici, fissate alla metà inferiore, sollevarono e rimossero la metà superiore.

All’interno apparve un Centauro.

Il quale in realtà non assomigliava minimamente ai suoi omonimi della mitologia umana. Era nero come l’ebano, di struttura insettoide, con enormi occhi verdi e grandi ali iridescenti che si dispiegarono non appena si fu issato fuori della sua tuta.

Una creatura assolutamente magnifica.

In breve tempo anche gli altri veicoli si dischiusero, lasciando uscire i propri occupanti. Il colore degli esoscheletri variava dal nero assoluto all’argento, mentre quello degli occhi andava dal verde al viola al turchino. Lo spalancarsi delle ali doveva costituire probabilmente l’equivalente centauriano di una stiracchiata, perché subito dopo averle allargate gli alieni le ripiegavano.

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