Джанни Родари - Favole al telefono
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- Ma sono qui, sono qui! Mamma, papà! - gridava Tonino. Ma essi non udivano la sua voce.
Tonino ormai piangeva, ma a che servono le lacrime, se nessuno può vederle?
- Non voglio più essere invisibile, - si lamentava Tonino, col cuore in pezzi. - Voglio che mio padre mi veda, che mia madre mi sgridi, che il maestro mi interroghi! Voglio giocare con i miei amici! È brutto essere invisibili, è brutto star soli.
Uscì sulle scale e scese lentamente in cortile.
- Perché piangi? - gli domandò un vecchietto, seduto a prendere il sole su una panchina.
- Ma lei mi vede? - domandò Tonino, pieno d'ansia. - Ti vedo Sì. Ti vedo tutti i giorni andare e tornare da scuola.
- Ma io non l'ho mai visto, lei.
- Eh, lo so. Di me non si accorge nessuno. Un vecchio pensionato, tutto solo, perché mai i ragazzi dovrebbero guardarlo? Io per voi sono proprio come l'uomo invisibile.
- Tonino! - gridò in quel momento la mamma dal balcone.
- Mamma, mi vedi?
- Ah, non dovrei vederti, magari. Vieni, vieni su e sentirai il babbo.
- Vengo subito, mamma, - gridò Tonino pieno di gioia.
- Non ti fanno paura gli sculaccioni? - rise il vecchietto.
Tonino gli volò al collo e gli diede un bacio. - Lei mi ha salvato, - disse.
- Eh, che esagerazione, - disse il vecchietto.
Tante domande
C'era una volta un bambino che faceva tante domande, e questo non è certamente un male, anzi è un bene. Ma alle domande di quel bambino era difficile dare risposta.
Per esempio, egli domandava: - Perché i cassetti hanno i tavoli?
La gente lo guardava, e magari rispondeva: - I cassetti servono per metterci le posate.
- Lo so a che cosa servono i cassetti, ma non so perché i cassetti hanno i tavoli.
La gente crollava il capo e tirava via. Un'altra volta lui domandava:
- Perché le code hanno i pesci? Oppure:
- Perché i baffi hanno i gatti?
La gente crollava il capo e se ne andava per i fatti suoi.
Il bambino, crescendo non cessava mai di fare domande. Anche quando diventò un uomo andava intorno a chiedere questo e quello. Siccome nessuno gli rispondeva, si ritirò in una casetta in cima a una montagna e tutto il tempo pensava delle domande e le scriveva in un quaderno, poi ci rifletteva per trovare la risposta, ma non la trovava. Per esempio scriveva:
«Perché l'ombra ha un pino?»
«Perché le nuvole non scrivono lettere?» «Perché i francobolli non bevono birra?»
A scrivere tante domande gli veniva il mal di testa, ma lui non ci badava. Gli venne anche la barba, ma lui non se la tagliò. Anzi si domandava: «Perché la barba ha la faccia?»
Insomma era un fenomeno. Quando morì, uno studioso fece delle indagini e scoprì che quel tale fin da piccolo si era abituato a mettere le calze a rovescio e non era mai riuscito una volta a infilarsele dalla parte giusta, e così non aveva mai potuto imparare a fare le domande giuste. A tanta gente succede come a lui.
Il buon Gilberto
Il buon Gilberto era molto desideroso di imparare e perciò stava sempre attento a quello che dicevano i grandi.
Una volta sentì dire da una donna: - Guardate la Filomena come vuol bene alla sua mamma: le porterebbe l'acqua nelle orecchie.
Il buon Gilberto rifletté: «Magnifiche parole, le voglio proprio imparare a memoria».
Qualche tempo dopo la sua mamma gli disse: Gilberto, vammi a prendere un secchio d'acqua alla fontana.
- Subito, mamma, - disse Gilberto. Ma intanto pensava: «Voglio mostrare alla mamma quanto le voglio bene. Invece che nel secchio, l'acqua gliela porterò nelle orecchie».
Andò alla fontana, ci mise sotto la testa e si riempì d'acqua un orecchio. Ce ne stava quanto in un ditale e per portarla fino a casa il buon Gilberto doveva tenere la testa tutta storta.
- Arriva quest'acqua? - brontolò la mamma che ne aveva bisogno per fare il bucato.
- Subito, mamma, - rispose Gilberto, tutto affannato. Ma per rispondere drizzò la testa e l'acqua uscì dall'orecchio e gli andò giù per il collo. Corse alla fontana a riempire l'altro orecchio: ci stava esattamente tanta acqua come nel primo e il buon Gilberto doveva tenere la testa storta dall'altra parte e prima di arrivare a casa l'acqua si era tutta versata.
- Arriva quest'acqua? - domandò la mamma stizzita. «Forse ho le orecchie troppo piccole», pensò rattristato il buon Gilberto. Intanto però sua madre aveva perso la pazienza, credeva che Gilberto se ne fosse stato a giocherellare alla fontana e gli allungò due scapaccioni, uno per orecchio.
Povero buon Gilberto.
Si prese in santa pace i due scapaccioni e decise che un'altra volta avrebbe portato l'acqua col secchio.
La parola piangere
Questa storia non è ancora accaduta, ma accadrà sicuramente domani. Ecco cosa dice.
Domani una brava, vecchia maestra condusse i suoi scolari, in fila per due, a visitare il Museo del Tempo Che Fu, dove sono raccolte le cose di una volta che non servono più, come la corona del re, lo strascico della regina, il tram di Monza, eccetera.
In una vetrinetta un po' polverosa c'era la parola Piangere.
Gli scolaretti di Domani lessero il cartellino, ma non capivano.
- Signora, che vuol dire?
- È un gioiello antico?
- Apparteneva forse agli Etruschi?
La maestra spiegò che una volta quella parola era molto usata, e faceva male. Mostrò una fialetta in cui erano conservate delle lacrime: chissà, forse le aveva versate uno schiavo battuto dal suo padrone, forse un bambino che non aveva casa.
- Sembra acqua, - disse uno degli scolari.
- Ma scottava e bruciava, - disse la maestra.
- Forse la facevano bollire, prima di adoperarla? Gli scolaretti proprio non capivano, anzi cominciavano già ad annoiarsi. Allora la buona maestra li accompagnò a visitare altri reparti del Museo, dove c'erano da vedere cose più facili, come: l'inferriata di una prigione, un cane da guardia, il tram di Monza, eccetera, tutta roba che nel felice paese di Domani non esisteva più.
La febbre mangina
Quando la bambina è malata anche le sue bambole debbono ammalarsi per farle compagnia, il nonno le visita, prescrive le medicine del caso e fa loro moltissime iniezioni con una penna a sfera.
- Questo bambino è malato, dottore.
- Vediamo un po'. Eh Sì, eh già. Mi pare che abbia una buona brontolite.
- È grave?
- Gravissimo. Gli dia da bere questo sciroppo di matita blu e gli faccia dei massaggi con la carta di una caramella all'anice.
- E quest'altro bambino non le pare malaticcio anche lui?
- Malatissimo, si vede senza cannocchiale.
- E che cosa ha?
- Un po' di raffreddore, un po' di raffreddino e due etti di fragolite acuta.
- Mamma mia! Morirà?
- Non c'è pericolo. Gli dia queste pastiglie di stupidina sciolte in un bicchiere di acqua sporca, però prenda un bicchiere verde perché i bicchieri rossi gli farebbero venire il mal di denti.
Una mattina la bambina si sveglia guarita, il dottore le dice che può alzarsi ma il nonno vuole visitarla personalmente, mentre la mamma prepara i vestiti.
- Sentiamo un po'... dica trentatre... dica perepepè... provi a cantare... tutto a posto: una magnifica febbre mangina.
La domenica mattina
Il signor Cesare era molto abitudinario. Ogni domenica mattina si alzava tardi, girellava per casa in pigiama e alle undici si radeva la barba, lasciando aperta la porta del bagno.
Quello era il momento atteso da Francesco, che aveva solo sei anni, ma mostrava già molta inclinazione per la medicina e la chirurgia. Francesco prendeva il pacchetto del cotone idrofilo, la bottiglietta dell'alcool denaturato, la busta dei cerotti, entrava in bagno e si sedeva sullo sgabello ad aspettare.
- Che c'è? - domandava il signor Cesare, insaponandosi la faccia. Gli altri giorni della settimana si radeva col rasoio elettrico, ma la domenica usava ancora, come una volta, il sapone e le lamette.
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