Rispose ed era proprio Ian.
“Ian, ciao” esordì, con il fiato corto.
“Ciao, London.”
“Um … stavo pensando alla nostra ‘fusione’ e …”
“E?”
London stava riprendendo i suoi bagagli a mano, dopo averli passati nel metal detector.
“Come ho detto ieri sera, sono toccata” riprese. “Ma …”
Ci fu silenzio tra loro.
“Ho ricevuto un’offerta stamattina” disse. “Il CEO della Epoch World Cruise Lines mi ha chiamata e mi ha offerto … beh, un lavoro che non ho potuto rifiutare.”
Sentì un grugnito di impazienza nella voce di Ian.
“Altri viaggi?” le chiese severamente.
La domanda la colse di sorpresa. Naturalmente, la risposta era sì, ma era anche molto di più di questo. Questo lavoro era importante per lei, in un modo che non sapeva come iniziare a spiegargli.
“È diverso da quello che ho fatto finora” rispose. “Si tratta di una crociera fluviale sul Danubio. Il viaggio inizia domani da Budapest. E non sarò più una semplice hostess. Sarò la direttrice dell’intero tour.”
Ci fu di nuovo silenzio.
Non è colpito, pensò.
Nello stesso istante, si chiese: perché dovrebbe esserlo? Quelle qualifiche, hostess e direttrice, non significavano alcunché per lui.
“Questo dove ci porta?” chiese Ian.
London ebbe un sussulto, mentre attraversava frettolosamente l’atrio verso il suo gate di partenza.
“Ian, io … io ho paura di non essere ancora pronta per la tua … “fusione.” Non sto dicendo che sarà così per sempre. Forse tra altri due anni di …”
“L’offerta è scaduta” la interruppe Ian.
Huh? London quasi disse ad alta voce.
“Ti ho fatto la mia migliore offerta” Ian aggiunse. “Ora l’ho ritirata. Temo che la questione non lasci più spazio ad alcuna negoziazione.”
London era perplessa.
Non è negoziabile?
Certamente lei non aveva fatto quella supposizione …
Oppure l’ho fatto?
Forse era stata troppo vaga. Forse lui aveva pensato che lei si fosse solo bloccata.
Oppure volesse trattare.
Le parole di Ian, tutte nel gergo economico, apparivano da un lato quasi spaventose ma, in qualche modo, molto educate al contempo.
“Spero che tu capisca, London. È solo che sono un uomo molto impegnato e non resto con le mani in mano. Il treno ha lasciato la stazione, per così dire, e tu l’hai perso. In ogni caso, ti auguro il meglio, e non serberò alcun rancore nei tuoi riguardi.”
“Io … io sono contenta di sentirlo” London rispose.
“Spero che non ti pentirai di questa decisione” Ian aggiunse. “Perdonami se lo dico, ma non mi pare una scelta molto saggia. Ma, del resto, è una tua scelta, non mia. E ti auguro di fare dei bei viaggi, sebbene l’Ungheria mi sembri un posto molto deprimente.”
“Grazie per … la comprensione” London rispose.
Si salutarono e misero fine alla chiamata.
London improvvisamente respirò meglio, come se un grande peso le fosse stato appena sollevato dal petto. Si sentì inaspettatamente sollevata.
Sebbene avesse detto a Ian che la sua scelta non sarebbe stata permanente, ora si rendeva conto che non poteva vivere la vita di sua sorella, men che meno con qualcuno come. … le ci volle un momento per trovare la parola giusta da usare.
Qualcuno così manageriale come Ian.
Era difficile immaginare che, proprio quella mattina, era stata in dubbio se accettare la “fusione” di Ian.
In realtà, forse, se Jeremy Lapham l’avesse davvero licenziata anziché offrirle un lavoro tanto allettante, lei e Tia si sarebbero trovate a progettare il suo matrimonio in quello stesso momento.
Me la sono cavata per un pelo, pensò, mentre mostrava la sua carta d’imbarco all’assistente di volo al gate; poi, si unì alla fila di passeggeri, per imbarcarsi sull’aereo.
*
London spalancò gli occhi, al suono della voce del pilota.
“Siamo appena arrivati all’Aeroporto Internazionale di Budapest Ferenc Liszt, dal nome del grande pianista, direttore d’orchestra, organista e compositore, Franz Liszt …”
Sorrise, mentre lo stesso annuncio veniva ripetuto in francese, tedesco, italiano e naturalmente, ungherese. Fu meraviglioso svegliarsi al suono di tutte quelle lingue.
Sono davvero in Europa, di nuovo , si disse.
Erano ormai le otto del mattino passate, lì a Budapest, sebbene London sapesse che il suo corpo avrebbe continuato a provare a convincerla di essere ancora ore indietro. Ma da viaggiatrice esperta, aveva dei trucchi per diminuire il jet lag del viaggio transatlantico. Da un lato, aveva dormito quanto più possibile nel corso del volo della durata di otto ore mezza. Al momento, si sentiva piuttosto rinvigorita.
Si alzò dal sedile ed aprì la cappelliera, per tirare fuori i suoi bagagli; poi, s’immise nella fila di passeggeri, per scendere dall’aereo. Si sentiva euforica persino per lo schiacciamento dei corpi, mentre proseguiva verso il controllo immigrazione e presentava il form che aveva compilato durante il volo.
“Buona permanenza a Budapest” il sorridente ufficiale addetto all’immigrazione le disse con un accento inglese.
London fece appello al suo coraggio per provare una parola in ungherese.
“Köszönöm” rispose, sorridendogli a sua volta.
Il cenno divertito dell’uomo le suggeriva che poteva non avere pronunciato perfettamente la parola “grazie”, ma che apprezzava lo sforzo.
Poi, si recò a ritirare i bagagli, che arrivarono rapidamente sul nastro trasportatore. Visto che non aveva nulla da dichiarare, non fu necessario fermarsi alla dogana. Un facchino le sistemò i bagagli su un carrello, e lei lo seguì fino al terminal principale.
La vista dell’ampia e moderna “Sky Court” le strappò un’esclamazione di sorpresa: si estendeva tutta intorno a lei, con un soffitto altissimo e una galleria sopraelevata, stracolma di negozietti che vendevano riviste e souvenir.
London si sentì improvvisamente più libera di quanto lo fosse stata da lungo tempo. Si divertì particolarmente a osservare la massa di persone che si riversava in ogni direzione; notò che alcune parlavano lingue delle quali non riuscì a cogliere una sola parola. Era caotico, certamente, ma si trattava del tipo di caos che le si addiceva, certo non di quello che c’era a casa della sorella.
Seguì il facchino all’esterno, dove fermò rapidamente un taxi e caricò le valigie nel portabagagli.
Il tassista la portò nel cuore della parte della città nota come Pest , dove luccicanti edifici in vetro cedevano gradualmente il posto ad altri più vecchi in mattoni, e la città rivelava sempre di più il suo carattere antico.
Infine, London sussultò di meraviglia, mentre la piccola auto gialla svoltava in Soroksári Road. Una melodia familiare riecheggiava nella sua mente: “Sul Bel Danubio Blu.”
Il magnifico fiume era appena apparso davanti a loro, e la scena mozzafiato dimostrava che il famoso valzer aveva il titolo appropriato. Il Danubio era una seducente sfumatura di blu, baciato dalla luce del mattino, e fiancheggiato su ciascun lato da una delle più belle città al mondo.
Budapest si estendeva intorno a lei come una sorta di sogno per metà dimenticato. I grandi monumenti di questa antica città risplendevano nei suoi bellissimi ricordi di ampi edifici in mattoni, cupole e torri, parchi, negozi e artisti di strada.
London sorrise rammentando ciò che Ian le aveva detto prima della partenza.
“L’Ungheria mi sembra un posto molto deprimente.”
Si chiese come diamine si fosse fatto tale idea. Non c’era nulla di deprimente in quella splendida città.
Abbassò il finestrino del taxi e respirò l’aria fresca e pulita. Prometteva di essere una giornata fresca e piacevole, e Budapest risplendeva tutta intorno a lei, davvero all’altezza del suo soprannome, la “Perla del Danubio.”
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