David Baldacci - Il biglietto vincente

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l destino sembra sorridere a LuAnn, giovane disoccupata: il misterioso signor Jackson le offre infatti il biglietto vincente di una lotteria che vale milioni di dollari. Ma prima di riuscire a godere della sua grande occasione, la ragazza trova a casa il cadavere del suo uomo in un lago di sangue e si scopre braccata dalla polizia, preda di una trappola mortale.
Un intrigo micidiale, costruito come un congegno a orologeria.

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Erano in pochi a telefonare alla roulotte, e quasi sempre si trattava dei buzzurri amici di Duane, i quali proponevano prima una bella bevuta e poi una spedizione sull’interstatale per fregare sedili e pneumatici dalle macchine finite in panne. Ma non poteva essere nessuno di quegli stronzi, troppo presto. Alle sette del mattino stavano ancora smaltendo il pieno di alcol della notte prima.

Dopo il terzo squillo LuAnn si era decisa a rispondere. La voce dell’uomo all’altro capo era asciutta, molto professionale. A causa dell’intontimento dovuto alla stanchezza e alla mancanza di sonno, LuAnn aveva avuto l’impressione che quell’uomo stesse leggendo un testo prestampato, cercando di venderle qualcosa. Che beffa fenomenale. Proprio a lei che non possedeva un conto in banca, non possedeva carte di credito, non possedeva niente a parte una manciata di banconote in una busta di plastica nascosta nel contenitore in cui buttava i pannolini sporchi di Lisa. Era l’unico posto nel quale Duane non avrebbe mai frugato.

Forza, genio delle sette del mattino, fa’ vedere quello che sai fare. Bibbie? Aspirapolvere? Enciclopedie? Imitazioni di Rolex? E che carta preferisci che usi? Visa? MasterCard? American Express? Le ho tutte, ma proprio tutte. Le vedo fluttuare nei miei sogni come veli di seta nella calda brezza dei tropici. Lascia che ti…

Sono interessato a una sua collaborazione professionale, signorina Tyler.

Non voleva venderle niente. Quello che voleva era offrirle un lavoro. Non aveva senso.

Chi le ha dato il mio numero?

Il suo numero è sull’elenco, signorina Tyler.

Davvero? LuAnn non se ne ricordava. Solo che quell’uomo aveva risposto con una tale prontezza e con una tale determinazione da rendere pressoché impossibile dubitare delle sue parole.

Ce l’ho già un lavoro.

Con quale salario?

LuAnn aveva aperto gli occhi cercando di schiarirsi la mente, Lisa sempre attaccata al seno. Che accidenti voleva sapere, questo tizio?

Signorina Tyler?

Eccolo ancora.

Vuole che le ripeta la domanda, signorina Tyler?

Calmo, distaccato, pratico.

Ventiquattro dollari alla giornata.

LuAnn non sapeva perché avesse risposto.

Mance escluse?

Con le mance.

Successivamente, avrebbe considerato quella sua risposta come una premonizione di qualcosa in arrivo.

Signorina Tyler, la mia offerta è cento dollari al giorno, massimo quattro ore quotidiane di lavoro. Due settimane come minimo garantito.

LuAnn ci aveva messo un attimo a fare i conti. Mille dollari secchi. Inoltre, l’offerta di quell’uomo non avrebbe intralciato in alcun modo la sua situazione al Number One. E mille dollari in due settimane, lavorando la metà del tempo, erano venticinquemila dollari l’anno. La somma reale era cinquantamila dollari l’anno. Non aveva mai conosciuto nessuno che si mettesse in tasca una tale somma. Medici, avvocati e attori, loro sì che guadagnavano tutti quei soldi. Non certo una ragazzina di vent’anni che nemmeno aveva finito le medie, attanagliata dalla povertà più bieca, con sulle spalle una figlia illegittima. E con nel letto di una roulotte fetida un soggetto di nome Duane Harvey.

— Dove diavolo vai?…

Duane si agitò tra le lenzuola sporche, quasi rispondendo a un richiamo silenzioso, strizzando gli occhi iniettati di sangue. La sua voce, satura dello strascicato accento del Sud, era impastata dall’alcol. A LuAnn parve di non aver mai udito altro in tutta la sua vita. Quella parlata gorgogliante, quelle parole vuote, vomitate da una serie senza fine di uomini altrettanto vuoti.

LuAnn prese una lattina abbandonata sopra la cassettiera, la sollevò come se fosse un giocattolo erotico.

— Che ne dici di un’altra birretta, tesoooo-ro ?

Nel contempo inarcò le sopracciglia, offrendogli un sorriso obliquo. Le labbra piene arrotondate su ogni sillaba, su ogni sottintesa inflessione. Le labbra di un’incantatrice. La proposta scaturita da quella bocca sortì l’effetto desiderato. Duane emise un mugolio alla vista della sua divinità, il Signore onnipotente fatto di malto e di alluminio, poi crollò di nuovo fra le lenzuola. Duane Harvey era convinto di essere un poderoso maratoneta delle bevute. In realtà, quanto a reggere l’alcol, era peggio di un vecchietto arteriosclerotico. Altri trenta secondi, ed era nuovamente scivolato nel nulla etilico.

Anche il sorriso obliquo di LuAnn era scivolato nel nulla. I suoi occhi si spostarono sull’appunto dell’incontro al quale si stava preparando.

Il lavoro, signorina Tyler, consiste nel testare alcuni prodotti, ascoltare degli spot e fornire la sua opinione.

Cioè, tipo una ricerca…

Una ricerca di mercato, signorina Tyler.

Sì, appunto.

Ma credo sia più appropriato definirla un’analisi demografica.

Analisi demo… LuAnn aveva serrato le labbra. Non aveva la benché minima idea di che cosa significasse.

Ne conduciamo spesso, signorina Tyler. Ci sono utili per valutare costi pubblicitari, indici di ascolto televisivi. Cose del genere.

E lei vuole proprio la mia di opinione?

Esatto, signorina Tyler. E per assicurarci la sua collaborazione, la compenseremo con cento dollari al giorno.

Da non credere. Lei, la sua opinione, la distribuiva pressoché ogni momento. Solo che lo faceva gratis.

Un momento, un momento: era troppo bello per essere vero. Il dubbio continuava a roderle la mente. Da qualche parte doveva esserci un trucco, e lei non era poi così tonta come suo padre la dipingeva. Dietro quella disarmante avvenenza, ribollivano un’intelligenza e un senso pratico molto più acuti di quanto Benny Tyler avesse mai voluto credere. Una combinazione che le aveva consentito di navigare da sola attraverso anni di tempeste. Il problema era che nessuno era sembrato accorgersene. E non le restava che continuare a sognare un’esistenza in cui le sue tette, i suoi fianchi e le sue gambe non fossero le uniche cose che di lei la gente continuava a notare.

Lisa si era svegliata, e i suoi occhi frugavano la stanza. Si illuminarono quando si posarono sul viso di sua madre. LuAnn le sorrise. Se in quella telefonata ci fosse anche stato un trucco, poteva davvero essere peggiore della fogna nella quale lei e sua figlia stavano vivendo? LuAnn riusciva a mantenere un lavoro per un paio di mesi. Anche sei mesi, se era fortunata. Ma quella era una zona depressa, e alla fine il lavoro si esauriva. Le restava la vaga promessa di essere assunta di nuovo quando le cose avrebbero ripreso a funzionare, cosa che succedeva di rado.

Essendo priva del diploma di scuola media, LuAnn veniva invariabilmente etichettata come stupida. E nel suo ostinarsi a convivere con Duane, lei stessa aveva deciso che quell’etichetta non era poi così sballata. Ma Duane, sebbene rifiutasse di sposarla, rimaneva pur sempre il padre di sua figlia. Non che LuAnn fosse poi così impaziente di prendere il suo cognome, tantomeno di fare da balia per il resto dei suoi giorni a quell’idiota che rifiutava di crescere e di maturare. LuAnn stessa era cresciuta in una famiglia tutt’altro che solida, e per questo riteneva che un nucleo familiare integro fosse il presupposto irrinunciabile per il benessere di un figlio. Su quell’argomento aveva letto un sacco di articoli e aveva seguito ancor più trasmissioni televisive. A Rikersville, LuAnn era sempre la prima in fila all’ufficio di collocamento, ma non bastava: perfino per il più fetente dei lavori c’erano sempre non meno di venti candidati. Lisa avrebbe sicuramente avuto una vita molto migliore della sua. Era questa la missione che LuAnn si era scelta E i mille dollari di quel lavoro, o che accidenti fosse, potevano essere un buon punto di partenza. Abbastanza per comprare un biglietto d’autobus per un posto al di là dell’orizzonte. Abbastanza per mantenersi fino a quando non fosse riuscita a trovare un vero lavoro. Abbastanza da permettersi, per la prima volta in tanti anni, di fermarsi a tirare il fiato.

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