Robin Cook - Vite in pericolo

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Un’agghiacciante incursione nel lato più oscuro dell’assistenza sanitaria, nel fatidico incrocio tra il valore supremo dell’esistenza umana e i cinici interessi del mondo finanziario, capace di subordinare la vita e la morte alla pericolosa seduzione del denaro. Dopo lunghi anni trascorsi nei corridoi di un grande ospedale di Boston, Angela e David Wilson, un’affiatata coppia di medici, decidono di abbandonare la frenesia della metropoli per trasferirsi, con la figlioletta Nikki gracile e malata, in campagna, in una tranquilla cittadina del Vermont. La bellezza e la serenità del luogo, insieme all’affettuosa accoglienza dei suoi abitanti, appaiono un sogno divenuto realtà, destinato a infondere un’ondata di entusiasmo alle loro esistenze: verdi distese di prati, laghi cristallini incastonati in una cornice incantevole di montagne, al posto dell’inquinamento e della criminalità della città. E, nello stesso tempo, si profila per entrambi i coniugi la possibilità di lavorare in un centro gestito in modo dinamico e moderno, dotato di attrezzature all’avanguardia. Ma dopo il primo magnifico, romantico autunno, a Bartlet comincia a profilarsi un paesaggio spoglio e desolato, che rivela, dietro i tristi scheletri degli alberi, oscure e macabre macchinazioni...
A poco a poco, poi a un ritmo sempre più rapido, il paradiso terrestre dei Wilson si sgretola: numerosi pazienti con strani sintomi cominciano a morire misteriosamente, inquietanti trame si nascondono nelle stanze del loro ospedale; un incubo mortale li minaccia... Coinvolti in un sistema medico criminale, nel quale la polizia non intende indagare, Angela e David dovranno combattere con le loro sole forze per non essere travolti dall’orrore e salvaguardare così la felicità della loro famiglia.

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«Il ginocchio che ho operato stamattina», disse, incredulo. «William Shapiro non sta bene. Non posso crederci. Gli stessi sintomi: febbre altissima e disorientamento, probabilmente polmonite.»

Arlene gli si avvicinò e lo abbracciò. «Mi spiace», mormorò, non sapendo che altro dire.

Randy non reagì né tentò di muoversi per qualche minuto, poi si liberò in silenzio dall’abbraccio della moglie e uscì dalla porta sul retro, senza dire una parola. Arlene lo guardò dalla finestra della cucina, mentre l’auto percorreva il vialetto e si immetteva nella strada. Era preoccupata per suo marito, ma non sapeva che cosa fare.

2

Lunedì 3 maggio

Harold Traynor giocherellava con il martelletto di mogano intarsiato d’oro che si era comprato da Shreve Crump Low di Boston. Se ne stava in piedi, all’estremità del tavolo della biblioteca, al Bartlet Community Hospital. Davanti a lui si ergeva il leggio che aveva fatto costruire per la sala delle conferenze e su di esso erano sparsi gli appunti che aveva fatto battere di buon’ora alla segretaria quella mattina. Sul tavolo dominato dal plastico del garage, c’era il solito mucchio di medicine che il consiglio di amministrazione doveva esaminare per deciderne l’adozione.

Traynor controllò l’orologio: erano le sei in punto del pomeriggio. Impugnò saldamente il martelletto con la destra e lo calò con forza sul leggio. L’attenzione ai dettagli e la puntualità erano due doti che apprezzava particolarmente.

«Vorrei richiamare all’ ordine il comitato esecutivo del Bartlet Community Hospital», proferì con la massima solennità possibile.

Traynor utilizzava gran parte del suo tempo e delle sue energie a prepararsi per le riunioni in ospedale, sia in termini di contenuto sia per curare il suo aspetto esteriore. Quel giorno aveva indossato il suo abito migliore e i capelli radi, che lasciavano scoperta la sommità della testa, erano pettinati con estrema cura. Aveva fatto una rapida doccia al ritorno da un breve viaggio di affari e non era nemmeno passato dallo studio. Traynor era un avvocato specializzato in diritto civile e fiscale. Era anche un uomo d’affari con vari interessi in numerose speculazioni commerciali in città.

Davanti a lui erano seduti Barton Sherwood, vicepresidente, Helen Beaton, presidente e direttore generale dell’ospedale, Michael Caldwell, vicepresidente e direttore medico, Richard Arnsworth, tesoriere, Clyde Robeson, segretario, e il dottor Delbert Cantor, attuale capo del personale.

Seguendo rigidamente le procedure che lui stesso aveva codificato, Traynor invitò Clyde Robeson a leggere il verbale dell’ultima riunione, che fu rapidamente approvato, poi si schiarì la gola e passò lo sguardo da uno all’altro dei presenti, per controllare che prestassero attenzione. Cantor, come al solito, aveva l’aria annoiata e si puliva le unghie.

«Qui al Bartlet Community Hospital dobbiamo affrontare sfide significative», esordi Traynor. «In quanto policlinico, ci sono stati risparmiati parte dei problemi finanziari che affliggono i più piccoli ospedali rurali, ma solo una parte. Dovremo lavorare ancora più sodo che in passato, se voghamo che l’ospedale sopravviva a questi momenti difficili.

«Comunque, anche in questi tempi bui, ci illumina di tanto in tanto un po’ di luce. Come qualcuno di voi ha senza dubbio già saputo, un mio stimato cliente, il signor William Shapiro, è deceduto la scorsa settimana per una complicazione polmonare in seguito a un’operazione al ginocchio. Anche se mi rattrista la sua prematura scomparsa, sono lieto di annunciarvi ufficialmente che il signor Shapiro ha designato l’ospedale come unico beneficiario della sua polizza di assicurazione, che ammonta a tre milioni di dollari.»

Un mormorio di approvazione si diffuse nella sala.

Traynor sollevò la mano per chiedere silenzio. «Questo gesto caritatevole non poteva giungere in un momento migliore. I nostri conti non saranno più in rosso, anche se non per molto tempo. La cattiva notizia del mese è la recente scoperta che il nostro fondo d’ammortamento obbligazionario è considerevolmente lontano dai risultati sperati.»

Guardò direttamente Sherwood, i cui baffetti vibrarono nervosamente, poi continuò.

«Il fondo ha bisogno di essere sostenuto. Una buona parte di quei tre milioni di dollari sarà usata a questo scopo.»

«Non è stata tutta colpa mia», si sfogò Sherwood. «Sono stato costretto a massimizzare gli utili sul fondo e questo comportava dei rischi.»

«La presidenza non dà la parola a Barton Sherwood», sibilò Traynor.

Per un attimo sembrò che Sherwood volesse replicare, invece rimase in silenzio.

Traynor studiò i suoi appunti nel tentativo di ricomporsi dopo lo sfogo del vicepresidente. Detestava il disordine.

«Grazie al lascito del signor Shapiro», proseguì poi, «lo sfacelo del nostro fondo d’ammortamento non sarà fatale e il solo problema è non farlo trapelare all’esterno. Non possiamo permetterci di veder cambiare il tasso delle nostre obbligazioni. In seguito, saremo costretti a emetterne di nuove per la costruzione del garage, finché il fondo sarà reintegrato.

«Come misura temporanea per evitare ulteriori aggressioni alle nostre infermiere, ho dato istruzioni a Helen Beaton di fare installare l’illuminazione nel parcheggio attuale.»

Traynor si guardò intorno, per vedere se c’erano interventi, ma nessuno fece cenno di voler parlare.

«L’ultima questione riguarda il dottor Dennis Hodges», proseguì allora. «Come voi tutti sapete, il dottor Hodges è scomparso lo scorso marzo. Una settimana fa mi sono incontrato con il capo della polizia, Wayne Robertson, per discutere il caso. Non sono emersi indizi sul luogo del ritrovamento e non ci sono prove che sia stato vittima di un’azione delittuosa, ma il parere di Robertson è che, più a lungo durerà la scomparsa, minori saranno le probabilità di ritrovarlo vivo.»

«Conoscendo quel bastardo», intervenne il dottor Cantor, «magari in questo momento se ne sta in panciolle in Florida, a ridersela di noialtri che dobbiamo combattere ogni giorno con tutta questa merda burocratica.»

Traynor usò il martelletto. «Per favore!» esclamò. «Manteniamo l’ordine.»

Cantor diede alla sua espressione annoiata un’aria di disapprovazione, ma rimase zitto.

Traynor gli lanciò un’occhiataccia e aggiunse: «Quali che siano i sentimenti personali nei confronti del dottor Hodges, resta il fatto che ha svolto un ruolo fondamentale nella storia di questo ospedale. Se non fosse stato per lui, questa istituzione sarebbe rimasta un minuscolo ospedale rurale come tanti altri. È doveroso che ci preoccupiamo per lui. Voglio che il comitato esecutivo sappia che sua moglie, la signora Hodges, ha deciso di vendere la casa. Da anni si è allontanata da lui, stabilendosi nella nativa Boston. Anche se spera che il marito si rifaccia vivo, da parte sua preferisce tagliare ogni legame con Bartlet. Sollevo adesso questo argomento perché penso che nel prossimo futuro il consiglio di amministrazione esprimerà il desiderio di erigere in onore del dottor Hodges un monumento commemorativo».

Traynor cedette la parola a Helen Beaton, che si alzò per fare il suo rapporto mensile. Aveva all’incirca trentacinque anni e il viso largo e incorniciato da corti capelli castani dai riflessi rossi. Indossava un tailleur blu dal taglio maschile, ravvivato da una sciarpa di sera.

«Questo mese ho parlato con molte associazioni civiche», esordì, «sottoponendo loro il problema delle finanze dell’ospedale. È stato interessante scoprire come molte persone non fossero al corrente dei nostri problemi, anche se le notizie che riguardano la sanità sono costantemente all’ordine del giorno. Ciò che ho sottolineato loro è stata l’importanza economica dell’ospedale per la città e i dintorni, chiarendo che, se dovesse chiudere, ne verrebbero danneggiate tutte le attività d’affari e commerciali. Dopotutto, l’ospedale è il datore di lavoro più importante in questa zona dello Stato. Ho anche ricordato che, non potendo contare sulle tasse, l’unico modo per tenerlo aperto è la raccolta di fondi.»

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