Robin Cook - Vite in pericolo

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Un’agghiacciante incursione nel lato più oscuro dell’assistenza sanitaria, nel fatidico incrocio tra il valore supremo dell’esistenza umana e i cinici interessi del mondo finanziario, capace di subordinare la vita e la morte alla pericolosa seduzione del denaro. Dopo lunghi anni trascorsi nei corridoi di un grande ospedale di Boston, Angela e David Wilson, un’affiatata coppia di medici, decidono di abbandonare la frenesia della metropoli per trasferirsi, con la figlioletta Nikki gracile e malata, in campagna, in una tranquilla cittadina del Vermont. La bellezza e la serenità del luogo, insieme all’affettuosa accoglienza dei suoi abitanti, appaiono un sogno divenuto realtà, destinato a infondere un’ondata di entusiasmo alle loro esistenze: verdi distese di prati, laghi cristallini incastonati in una cornice incantevole di montagne, al posto dell’inquinamento e della criminalità della città. E, nello stesso tempo, si profila per entrambi i coniugi la possibilità di lavorare in un centro gestito in modo dinamico e moderno, dotato di attrezzature all’avanguardia. Ma dopo il primo magnifico, romantico autunno, a Bartlet comincia a profilarsi un paesaggio spoglio e desolato, che rivela, dietro i tristi scheletri degli alberi, oscure e macabre macchinazioni...
A poco a poco, poi a un ritmo sempre più rapido, il paradiso terrestre dei Wilson si sgretola: numerosi pazienti con strani sintomi cominciano a morire misteriosamente, inquietanti trame si nascondono nelle stanze del loro ospedale; un incubo mortale li minaccia... Coinvolti in un sistema medico criminale, nel quale la polizia non intende indagare, Angela e David dovranno combattere con le loro sole forze per non essere travolti dall’orrore e salvaguardare così la felicità della loro famiglia.

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«Mah, non so. Tutto quel parlare di sesso e quell’agire così infantile mi sembrano un riflesso della noia. Forse Bartlet non è il paradiso terrestre che noi pensiamo.»

«Oh, per favore! Penso che tu sia eccessivamente critica e cinica. Io credo che loro abbiano un atteggiamento verso la vita esuberante e gioioso, forse siamo noi a essere bloccati.»

Angela si voltò verso di lui con un’espressione sorpresa, come se David fosse un estraneo. «Puoi benissimo andare là fuori nudo e unirti ai baccanali, se ti piace tanto. Non sono certo io a impedirtelo!»

«Ehi, non scaldarti tanto!» reagì David. «Non ho voglia di partecipare, però non vedo le cose tutte bianche o tutte nere, come te. Forse fa parte del tuo bagaglio cattolico.»

«Non accetto provocazioni», dichiarò decisa Angela, voltandosi verso il lavandino per lavarsi il viso. «E mi rifiuto soprattutto di farmi intrappolare in una delle nostre inutili discussioni religiose.»

«Per me va bene», concluse David in tono conciliante.

Più tardi, quando andarono a letto, Angela chiese al marito un’opinione sui commenti di Kevin a proposito del dottor Portland.

«Non so che cosa pensare», rispose lui. «A essere sincero, Kevin è un po’ un mistero per me, è un tipo strano. Non ho mai visto nessuno prendersela tanto per una botta sul naso durante una partita fra amici.»

«Io trovo i suoi commenti sconvolgenti. Pensare anche solo per un secondo a un omicidio a Bartlet! Sto cominciando a provare la fastidiosa sensazione che stia per accadere qualcosa di brutto, forse perché siamo troppo felici.»

«Questo fa parte della tua personalità isterica», sentenziò David, un po’ sul serio, un po’ per burla. «Sei sempre alla ricerca di qualcosa di drammatico e questo ti rende pessimista. Io penso che siamo felici perché abbiamo preso la decisione giusta.»

«Spero che tu abbia ragione», mormorò Angela, accoccolandosi contro di lui.

9

Lunedì 6 settembre

Traynor guidò la sua Mercedes oltre il bordo della strada, dirigendosi verso la fila di macchine parcheggiate all’estremità del campo. Era lì che si stava svolgendo il picnic annuale con il quale il Bartlet Community Hospital celebrava il Labour Day che, come in tutti gli Stati Uniti e in Canada, cadeva ogni anno il primo lunedì di settembre.

«Che modo di rovinare un giorno di festa!» Traynor si rivolse alla moglie Jacqueline che gli stava accanto. «Detesto questi picnic.»

«Un fico secco!» sbuffò lei. «Non m’inganni neppure per un secondo.» Era una donna piccolina, leggermente grassottella, che vestiva in maniera eccessivamente tradizionale. Nonostante la semplicità della festa, indossava guanti bianchi, cappello bianco e scarpe con i tacchi.

«Di che cosa stai parlando?» chiese Traynor mentre parcheggiava la macchina.

«Io lo so quanto vai pazzo per queste faccende dell’ospedale, per cui non giocare a fare il martire con me. Ti piace bearti alla luce dei riflettori e interpreti fino al midollo la parte del presidente del consiglio di amministrazione.»

Traynor lanciò alla moglie un’occhiata indignata. Il loro matrimonio si era sempre svolto all’insegna dell’antagonismo reciproco e di solito lui rispondeva alle frecciate con altre frecciate, ma questa volta si trattenne. Jacqueline aveva ragione a proposito del picnic e lo irritava il fatto che nei ventun anni di matrimonio avesse finito con il conoscerlo così bene.

Mentre risalivano la fila di auto parcheggiate, Traynor vide Helen Beaton salutarlo agitando un braccio e poi dirigersi verso di loro. Era insieme a Wayne Robertson, il capo della polizia, e questo faceva presagire qualcosa di brutto.

«A proposito», commentò Jacqueline. «Ecco uno dei tuoi maggiori adulatori.»

«Zitta, Jacqueline!» sussurrò Traynor.

«Brutte notizie», annunciò Helen senza preamboli.

«Perché non vai alla tenda e non ti fai servire qualcosa da bere?» propose Traynor alla moglie, dandole una lieve gomitata. Dopo avere lanciato a Helen Beaton uno sguardo sprezzante, lei si allontanò.

«Qual è la cattiva notizia?» domandò subito Traynor.

«C’è stata un’altra aggressione a un’infermiera, la scorsa notte, o meglio, stamattina. La donna è stata violentata.»

«Dannazione! È stato lo stesso uomo?»

«Crediamo di sì», rispose Robertson. «Stessa descrizione, stessi occhiali da sci a maschera. Questa volta l’arma era una rivoltella anziché un coltello, ma aveva di nuovo le manette. L’ha costretta a entrare nel folto degli alberi, come aveva fatto in passato.»

«Speravo proprio che la nuova illuminazione sarebbe servita», mormorò Traynor.

«L’aggressione è avvenuta nel parcheggio superiore, dove non ci sono luci. Come si ricorderà, abbiamo illuminato soltanto quello inferiore, per risparmiare.»

«Chi è al corrente dello stupro?»

«Non molte persone», rispose Helen. «Ho preso l’iniziativa di contattare George O’Donald del Bartlet Sun. Si è dichiarato d’accordo di non pubblicare la storia, così possiamo concederci una pausa. So che la vittima non lo dirà a molti.»

«Mi piacerebbe che non venisse all’orecchio del CMV, se fosse possibile», disse Traynor.

«Tutto questo mette in evidenza quanto ci serva il garage», osservò Helen.

«Sì, ci serve, ma forse non lo avremo. È la cattiva notizia che darò al comitato esecutivo di stasera. Il mio vecchio avversario, Jeb Wiggins, ha cambiato idea e ha convinto il consiglio comunale che il garage, dal punto di vista paesaggistico, sarebbe un pugno in un occhio.»

«Allora è la fine del progetto?»

«No, ma è un duro colpo», ammise Traynor, «Tenterò di presentarlo ancora, ma i progetti bocciati è difficile che vengano riesaminati. Forse questo stupro, per quanto sia esecrabile, potrà servire a convincerli ad approvarlo.»

Traynor si rivolse a Robertson. Anziché i suoi occhi, vide una doppia immagine di se stesso riflessa negli occhiali. «La polizia non può fare niente?» domandò.

«A meno che non mettiamo un uomo fisso tutte le notti», rispose lui, «non c’è molto che possiamo fare. Ho già ordinato ai miei uomini di scandagliare il parcheggio con i fari, quando si trovano da quelle parti.»

«Dov’è adesso il responsabile della sicurezza dell’ospedale, Patrick Swegler?»

«Vado a cercarlo», disse Robertson e si allontanò.

«Sei pronta per stasera?» chiese Traynor a Helen.

«Intendi per la riunione?»

«Per la riunione e per il dopo riunione», le rispose lui con un sorriso voglioso.

«Non sono sicura del dopo. Dobbiamo parlare.»

«Parlare di che cosa?» Non era certo questo che Traynor voleva sentirsi dire.

«Ora non è il momento più opportuno», replicò lei. Patrick Swegler e Wayne Robertson si stavano avvicinando.

Traynor si appoggiò alla staccionata, si sentiva un po’ debole. L’unica cosa su cui faceva affidamento era l’affetto di Helen. Si chiese se lo tradisse, magari con un imbecille come Charles Kelley. Sospirò; c’era sempre qualcosa che andava storto.

Patrick Swegler gli si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi. Traynor lo considerava un duro.

«Non c’era molto che potessimo fare», esordì Swegler, rifiutandosi di sentirsi intimorito a causa dell’incidente. «L’infermiera aveva fatto un doppio turno e non ha chiamato la squadra della sicurezza prima di uscire, come abbiamo ripetutamente consigliato di fare di notte. Per peggiorare le cose, aveva la macchina nel parcheggio superiore, essendo arrivata di giorno. Come sa, lì non c’è illuminazione.»

«Gesù Cristo! Ma perché non ha chiamato la squadra di sicurezza?»

«Non mi è stato detto.»

«Se avessimo il garage, il problema sarebbe risolto», ripeté Helen Beaton.

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