Venne sorpresa dal suono del campanello. Dando un’occhiata all’orologio, si rese conto di essere rimasta seduta nello stesso punto, persa nel suo umore cupo e con le mani appoggiate su uno scatolone ancora chiuso per almeno dieci minuti.
Si alzò e andò alla porta, cercando di scuotersi di dosso la tristezza a ogni passo. Quando aprì la porta, davanti a lei c’era Kimberly, con un gioioso sorriso stampato in viso che Jessie cercò di imitare al meglio.
“Ciao vicina,” le disse con entusiasmo Kimberly. “Come procede lo svuotamento degli scatoloni?”
“Lentamente,” ammise Jessie. “Ma grazie per avermelo chiesto. Come stai?”
“Sto bene. A dire il vero ci sono un po’ di signore del vicinato a casa mia in questo momento per un caffè di mezza mattina, e mi chiedevo se volessi unirti a noi.”
“Certo,” rispose Jessie, felice di avere una scusa per uscire di casa alcuni minuti.
Prese le chiavi, chiuse e si allontanò insieme a Kimberly. Quando arrivarono, quattro teste si girarono verso di loro. Nessuno dei volti le apparve familiare. Kimberly presentò tutte e portò Jessie alla postazione del caffè.
“Non si aspettano che ricordi i loro nomi,” sussurrò mentre versava loro delle tazze da bere. “Quindi non sentirti sotto pressione. Ci sono passate tutte prima di te.”
“Questo è un bel peso in meno,” confessò Jessie. “Ho così tante cose che mi riempiono la testa in questi giorni, che faccio fatica a ricordarmi il mio, di nome.”
“Completamente comprensibile,” disse Kimberly. “Ma devo avvisarti: ho già parlato di tutta quella roba del profiler dell’FBI, quindi è probabile che ti facciano qualche domanda.”
“Oh, ma io non lavoro per l’FBI. Non mi sono ancora neanche laureata.”
“Non importa, fidati. Pensano tutte che tu sia una Clarice Starling in carne e ossa. Il mio pronostico sui riferimenti ai serial killer è tre.”
Kimberly aveva di gran lunga sottovalutato la situazione.
“Stai seduta nella stessa stanza di quei tizi?” chiese una donna che si chiamava Caroline, con i capelli così lunghi che alcune ciocche le arrivavano al sedere.
“Dipende dalle regole della struttura,” rispose Jessie. “Ma non ne ho mai intervistato uno senza un profiler o investigatore professionista vicino a me a farmi da guida.”
“I serial killer sono tutti così furbi come sembrano nei film?” chiese con tono esitante una donnina timida e introversa che si chiamava Josette.
“Non ne ho intervistati così tanti da poterlo dire con certezza,” spiegò Jessie. “Ma sulla base della letteratura esistente, come anche secondo la mia esperienza personale, direi di no. La maggior parte di questi uomini – e sono quasi sempre uomini – non sono più intelligenti di me o te. Alcuni la passano liscia per molto tempo grazie a indagini fiacche. Alcuni riescono a scamparla perché scelgono vittime di cui nessuno si cura: prostitute e senzatetto. Ci vuole un po’ perché la gente si accorga che quelle persone mancano. E a volte sono soltanto fortunati e basta. Non appena mi sarò laureata, il mio lavoro sarà di cambiare la loro fortuna.”
Le donne la continuarono a punzecchiare gentilmente di domande, apparentemente non interessate al fatto che lei non si fosse ancora laureata, né fosse personalmente coinvolta in un caso di analisi comportamentale.
“Quindi non hai mai realmente risolto un caso?” chiese una donna particolarmente inquisitoria che si chiamava Joanne.
“Non ancora. Tecnicamente sono ancora una studentessa. Sono i professionisti a gestire i veri casi. Ma parlando di professionisti, voi cosa fate?” chiese Jessie nella speranza di deviare un po’ tutto quell’interesse concentrato su di sé.
“Io lavoravo nel marketing,” disse Joanne. “Ma era prima che nascesse Troy. Mi tiene piuttosto impegnata in questi tempi. È un lavoro a tempo pieno, di per sé.”
“Ci scommetto. Sta facendo un pisolino, ora?” chiese Jessie.
“Forse,” disse Joanne dando un’occhiata all’orologio. Si alzerà presto per uno spuntino credo. È al nido.”
Oh,” disse Jessie, prima di tentare la domanda successiva, con la maggiore delicatezza possibile. “Pensavo che la maggior parte dei bimbi che stanno al nido avessero mamme lavoratrici.”
“Sì,” disse Joanne, apparentemente non offesa. “Ma lì sono così bravi che non potevo non iscriverlo. Non ci va tutti i giorni. Ma i mercoledì sono un’impresa, quindi di solito ce lo porto. La metà della settimana è dura, giusto?”
Prima che Jessie potesse rispondere, la porta che conduceva al garage si aprì ed entrò un tizio robusto sulla trentina, con un cespo di capelli rossi spettinati in testa.
“Morgan!” esclamò Kimberly con gioia. “Cosa ci fai a casa?”
“Ho lasciato il rapporto nello studio,” rispose l’uomo. “Ho la presentazione tra venti minuti, quindi devo tornare di corsa.”
Morgan, a quanto pareva il marito di Kimberly, non sembrò per nulla sorpreso di vedere mezza dozzina di donne nel suo salotto. Passò tra loro salutando in modo generico il gruppo. Joanne si sporse verso Jessie.
“È una specie di ingegnere,” le disse sottovoce, come se fosse una sorta di segreto.
“Per chi? Una delle industrie della difesa?” chiese Jessie.
“No, per un qualche gruppo immobiliare.”
Jessie non capiva perché ciò meritasse una tale discrezione, ma decise di non indagare oltre. Pochi secondi dopo Morgan ricomparve in salotto con una spessa risma di carte in mano.
“Felice di avervi visto, signore,” disse. “Mi spiace di non potermi fermare, Kim. Ricordati che ho una cosa al circolo stasera, quindi farò tardi.”
“Va bene tesoro,” disse sua moglie, seguendolo per assicurarsi un bacio prima che lui scappasse dalla porta.
Quando se ne fu andato, Kimberly tornò nel salotto, ancora emozionata dall’inaspettata visita.
“Giuro che si muove con tale decisione da far pensare che sia lui il profiler criminale, o qualcosa del genere.”
Il commento gettò il gruppo in un’ondata di risate. Jessie sorrise, non esattamente sicura di cosa ci fosse di tanto divertente.
*
Un’ora dopo, era tornata nel suo salotto, e stava cercando di trovare l’energia per aprire lo scatolone di fronte a sé. Mentre tagliava con attenzione il nastro adesivo, ripensò al caffè a casa di Kimberly. C’era qualcosa di strano, ma non riusciva esattamente a capire cosa.
Kimberly era dolcissima. A Jessie piaceva veramente, e apprezzava soprattutto lo sforzo che stava facendo per aiutarla. E le altre donne erano tutte carine e piacevoli, un bel gruppetto. Ma c’era qualcosa… di misterioso nelle loro interazioni, come se condividessero tutte un qualche segreto di cui Jessie non era al corrente.
In parte pensava di essere semplicemente paranoica al riguardo. Non sarebbe stata la prima volta che saltava in modo avventato alla conclusione sbagliata. Lo stesso, però, tutti i suoi insegnanti nel programma di psicologia forense alla USC l’avevano sempre apprezzata per il suo intuito. Non sembravano pensare che lei fosse paranoica, se non piuttosto “sospettosamente inquisitoria”, come un professore l’aveva definita. Al tempo le era sembrato un complimento.
Aprì la scatola e tirò fuori il primo oggetto, una foto incorniciata del suo matrimonio. La fissò per un momento, guardando le espressioni felici sul proprio volto e su quello di Kyle. Al loro fianco si trovavano membri delle loro famiglie, anche loro raggianti di gioia.
Mentre scorreva con gli occhi il gruppo lì ritratto, sentì improvvisamente sorgere dentro di sé un’altra volta la malinconia. Una tensione ansiosa le strinse il petto. Ricordò a se stessa di inspirare profondamente, ma nessun numero di inspirazioni ed espirazioni riuscì a calmarla.
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