La guardava disperato, sperando di creare una specie di legame. Ma a Keri non andava di esplorare i demoni interiori di quello lì. Si vergognava abbastanza di se stessa da non voler affrontare la vergogna di qualcun altro.
“Puoi dare spiegazioni sui tuoi spostamenti di ieri, Coy?” chiese, cambiando argomento. Capito che non avrebbe avuto nessuna compassione da lei, lui annuì.
“Sono stato qui tutto il giorno. Sono sicuro che il mio capo lo può confermare.”
“Possiamo fare delle verifiche,” disse il sergente Covey. Coy sobbalzò leggermente alla voce inaspettata alle sue spalle. Si voltò, sorpreso di vedere Covey a meno di un metro da lui e la macchina della squadra con Kuntsler e Rodriguez non molto più lontana.
“Perciò immagino che tu sia un poliziotto, vero?” disse Coy, abbattuto.
“Sì, dell’Unità persone scomparse del LAPD.”
“Spero che la troviate. Kendra è una ragazza fantastica. Il mondo è un posto migliore grazie a lei e merita di essere felice. Sono sempre stato innamorato di lei. Ma sapevo che era fuori dalla mia portata quindi non ci ho mai sperato. Se c’è altro che posso fare per aiutarvi, ditemelo.”
“Detective Locke,” intervenne il sergente Covey, “a meno che non abbia altre domande, sono felice di controllare il suo alibi. So che ci sono altre piste che vuole seguire. Inoltre dobbiamo occuparci di alcuni documenti relativi al signor Brenner. Ha mentito sulla sua domanda di impiego a proposito della libertà condizionale e ciò può portare alla sua interruzione.”
Keri vide il viso di Brenner crollare ancora di più. Faceva davvero pena. E adesso, per giunta, era disoccupato. Cercò di scacciare la sensazione di esserne in parte responsabile.
“Lo apprezzerei molto, sergente. Devo davvero andare e questo mi sembra un vicolo cieco. Grazie per tutto l’aiuto.”
Mentre Covey e gli agenti scortavano Coy Brenner di nuovo al deposito per interrogarlo, Keri salì in auto e controllò il messaggio che aveva ricevuto prima.
Era di Brody. Diceva:
IL GALÀ SI FA ANCORA. UN’OTTIMA OPPORTUNITÀ PER PARLARE CON QUALCUNO. CI VEDIAMO LÌ. METTITI QUALCOSA DI SEXY.
Brody continuava a impressionarla con la sua mancanza di intuizione e professionalità. Oltre a essere un incorreggibile sessista, non sembrava capire che una raccolta fondi la cui promotrice era scomparsa non era la sede d’incontro ideale per far sì che amici e colleghi svelassero la loro anima.
Inoltre, non ho neanche qualcosa da mettermi.
Certo, quella non era l’unica ragione. Se doveva essere onesta con se stessa, Keri doveva ammettere che parte del suo timore era dovuto al fatto che si trattava esattamente del tipo di eventi a cui andava sempre quando era una docente rispettabile, la moglie di un talent scout di successo, e la madre di un’adorabile bambina. Andare a questa cosa avrebbe voluto dire riportare alla memoria in modo intenso, splendente e doloroso la vita che conduceva prima della perdita di Evie.
A volte odiata il suo lavoro.
Keri aveva nello stomaco un vortice di ansia mentre sedeva nella sala d’attesa dello studio legale di Jackson Cave. L’aveva già fatta aspettare venti minuti, abbastanza per lei da chiedersi ripetutamente se avesse preso una decisione buona.
Stava tornando da San Pedro, calcolando quando le ci sarebbe voluto per arrivare alla casa galleggiante per indossare un abito da sera e poi andare a Beverly Hills per la raccolta fondi dell’associazione Solo Sorrisi. Ma mentre puntava a nord, aveva visto in lontananza i grattacieli del centro di Los Angeles ed era stata colta da un’urgente necessità. Si era ritrovata a guidare verso l’ufficio di Cave, senza un piano su cui fare affidamento.
Per strada aveva chiamato Brody in modo che potessero aggiornarsi. Dopo avergli detto del vicolo cieco che si era rivelato essere Coy Brenner, lui le aveva detto di San Diego.
“L’alibi di Jeremy Burlingame è verificato. È stato in sala operatoria tutto il giorno di ieri. Apparentemente stava supervisionando alcuni dottori di laggiù, gli stava insegnando una nuova procedura per la ricostruzione facciale.”
“Okay, senti, il traffico è davvero uno schifo, qui,” disse Keri. In parte era vero, ma era anche una scusa per fermarsi da Cave. “Perciò se arrivi al galà prima di me, limitati a perlustrare il posto, per favore. Non metterti a parlare con la gente.”
“Mi stai dicendo come fare il mio lavoro, Locke?”
“No, Brody. Sto solo suggerendo che muoversi lì dentro come un elefante in una cristalleria potrebbe essere controproducente. Alcune di quelle donne di mondo probabilmente si apriranno di più con un’altra ragazza vestita bene che con un tizio che la più relazione più duratura l’ha avuta con la sua automobile.”
“Fanculo, Locke. Parlerò con chi mi pare,” disse Brody sdegnato. Ma lei nella voce riuscì a sentirgli nella voce che aveva dei dubbi su quanto buona fosse l’idea.
“Fa’ come ti pare,” rispose Keri. “Ci vediamo lì.”
Ora, una buona mezz’ora dopo, non era ancora riuscita a vedere Cave. Erano quasi le diciassette e trenta. Decise di approfittare della quiete per dare un’occhiata in giro. Andò alla reception.
“Sa quanto ci vorrà ancora al signor Cave?” chiese alla segretaria, che scosse la testa per scusarsi. “Allora mi può dire dov’è il bagno, per favore?”
“In fondo al corridoio a sinistra.”
Keri puntò in quella direzione, con gli occhi attenti verso qualsiasi dettaglio che potesse darle un qualche vantaggio. Proprio davanti al bagno delle donne c’era una porta con su scritto Uscita. La aprì e vide che si apriva sullo stesso corridoio che aveva percorso per raggiungere l’ingresso dello studio.
Dopo essersi guardata in giro per verificare che nel corridoio non ci fosse nessuno, prese un fazzoletto dalla borsa e lo inserì nel buco del chiavistello in modo che non si chiudesse automaticamente. Poi entrò un attimo nel bagno per salvare le apparenze.
Quando tornò nell’atrio, una donna attraente con un impeccabile abito d’affari la stava aspettando per accompagnarla nell’ufficio di Jackson Cave. Mentre seguiva la donna, cercò di evitare che il cuore le saltasse fuori dal petto. Stava per incontrare l’uomo che forse possedeva la chiave per ottenere delle informazioni cruciali sul luogo in cui si trovava Evie, e non aveva un piano di azione.
L’unica altra volta in cui aveva incontrato Jackson Cave era stata alla stazione di polizia di una cittadina di montagna. Ci era venuto per salvare il suo cliente, Payton Penn, il fratello del senatore della California Stafford Penn. In sostanza aveva scoperto che Penn aveva assunto Alan Pachanga per rapire sua nipote, Ashley. Le cose le erano andate bene in quella cittadina di montagna, ma adesso si trovava in territorio nemico, e la cosa si percepiva chiaramente.
Jackson Cave era conosciuto praticamente in tutta la città per la sua reputazione come rappresentante delle maggiori aziende. Ma per le forze dell’ordine il suo lavoro pro-bono come difensore di stupratori, pedofili e rapitori di bambini era una chiara indicazione d’infamia.
Keri era stata immediatamente sospettosa di un uomo del genere. Una cosa era difendere un presunto assassino in un caso da braccio della morte o un disperato che aveva rapinato una banca per mantenere la famiglia. Ma rappresentare esclusivamente e con entusiasmo i peggiori perpetratori di violenze sessuali che la città aveva da offrire, gratis, le sembrava una scelta strana.
Tuttavia Keri sperava di sfruttare il lavoro di Cave a suo vantaggio. Sapeva che da qualche parte quell’uomo doveva avere un codice che avrebbe potuto fornire l’accesso al computer di Pachanga. Se fosse riuscita a trovarlo, sarebbe potuta giungere a informazioni su un’intera rete di rapitori professionisti. Il laptop avrebbe potuto includere anche qualcosa sull’uomo che aveva preso Evie, un uomo che lei credeva si facesse chiamare il “Collezionista”.
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