L’ultima volta che si erano visti, Cave le aveva fatto capire che sapeva cosa aveva fatto e aveva detto chiaramente che la teneva d’occhio. Per Keri era chiaro che cosa intendesse dire. Da allora faceva perlustrazioni regolari in cerca di dispositivi di ascolto, e stava attenta a parlare del Collezionista solo in ambienti sicuri.
Se Cave avesse saputo che dava la caccia al Collezionista, forse l’avrebbe avvisato. Così lui sarebbe scomparso, e lei non avrebbe mai più trovato Evie. Quindi non c’era verso che ne parlasse con Ray in quel luogo.
Però lui non sapeva nulla di tutto questo, quindi insistette.
“Vedo che c’è qualcosa che non va,” disse.
Ma prima che Keri potesse chiudere diplomaticamente la discussione, il loro capo entrò come una furia nella stanza. Il tenente Cole Hillman, il loro supervisore diretto, aveva cinquant’anni ma sembrava molto più vecchio, con il viso solcato dalle rughe, i capelli sale e pepe spettinati, e un pancione in crescita che non riusciva a nascondere sotto le camice oversize. Era in giacca e cravatta come sempre, ma la prima era della taglia sbagliata e la seconda ridicolamente allentata.
“Bene. Sono contento che siate tutti e due qui,” disse saltando i saluti. “Venite con me. Avete un caso.”
Lo seguirono nel suo ufficio e sedettero sul malconcio divano contro il muro. Sapendo che probabilmente non avrebbe avuto la possibilità di mangiare dopo, Keri divorò l’insalata mentre Hillman li aggiornava. Si accorse che Ray aveva finito il sandwich che aveva rubato prima ancora di sedersi. Hillman cominciò.
“La vostra possibile vittima è una ragazza di sedici anni di Westchester, Sarah Caldwell. Non si vede dall’ora di pranzo. I genitori l’hanno chiamata molte volte, e dicono di non essere riusciti a raggiungerla.”
“Danno i numeri perché la figlia teenager non li richiama?” chiese scettico Ray. “Sembra la tipica famiglia americana.”
Keri non replicò nonostante la sua inclinazione naturale a non essere d’accordo. Lei e Ray avevano litigato su questo punto molte volte. Pensava che lui fosse troppo lento ad accettare casi come questo. Lui riteneva che la sua esperienza personale facesse sì che si buttasse sul caso decisamente troppo prematuramente. Era una fonte costante di attrito e Keri adesso non aveva voglia di discutere. Ma ne aveva Hillman, apparentemente.
“Anch’io l’ho pensato all’inizio,” disse Hillman, “ma sono stati molto convincenti nel dire che la figlia non sparirebbe mai per così tanto senza farsi sentire. Hanno anche cercato di localizzarla tramite il GPS che ha sullo smartphone. Era spento.”
“Un po’ strano, ma comunque…” insistette Ray.
“Sentite, magari non è niente. Ma sono stati insistenti, persino terrorizzati. E hanno fatto notare che la politica di far aspettare ventiquattr’ore dalla sparizione prima di cominciare le ricerche non si applica ai minori. Voi due non avete casi pressanti al momento, quindi ho detto che sareste andati lì a sentire le loro dichiarazioni. Diavolo, la ragazzina potrebbe essere a casa per quando sarete arrivati. Ma la cosa non farà del male a nessuno. E così ci copriamo il culo nel caso in cui saltasse fuori qualcosa.”
“Mi sembra un buon piano,” disse Keri alzandosi in piedi per partire con la bocca piena dell’ultimo boccone di insalata.
“Ma certo che a te sembra un buon piano,” borbottò Ray segnandosi l’indirizzo che gli dava Hillman. “Un’altra ricerca vana in cui mi trascinerai.”
“Lo sai che le adori,” disse Keri uscendo dall’ufficio prima di lui.
“Potreste essere un po’ più professionali dai Caldwell?” urlò Hillman attraverso la porta aperta. “Vorrei che pensassero che stiamo almeno facendo finta di prenderli seriamente.”
Keri gettò il contenitore dell’insalata nella spazzatura e puntò al parcheggio. Ray dovette affrettarsi per starle dietro. Raggiungendo l’uscita, si sporse per sussurrarle qualcosa.
“Non credere di averla scampata col tuo segreto. Puoi dirmelo adesso o dopo. Ma so che qualcosa c’è.”
Keri cercò di non reagire visibilmente. C’era qualcosa. E aveva deciso di spiegargli tutto quando farlo non sarebbe stato rischioso. Ma doveva trovare un luogo più sicuro per dire al suo partner, migliore amico e potenziale fidanzato, che forse, finalmente, era sul punto di prendere il rapitore di sua figlia.
Come ebbero parcheggiato di fronte alla casa dei Caldwell, lo stomaco di Keri si contrasse all’improvviso.
Non aveva importanza quanto spesso incontrasse la famiglia di un minore forse rapito; tornava sempre al momento in cui aveva visto la sua bambina, di appena otto anni, portata via attraverso l’erba verde brillante di un parco da un crudele sconosciuto con un cappellino da baseball a coprirgli il volto.
Sentiva lo stesso familiare panico risalirle la gola in quel momento, il panico che aveva provato inseguendo l’uomo attraverso il parcheggio di ghiaino e vedendolo gettare Evie nel suo furgone bianco come fosse stata una bambola di stracci. Riviveva l’orrore di vedere il giovane ragazzo che aveva cercato di fermare l’uomo finire pugnalato a morte.
Trasalì al ricordo del dolore che aveva provato correndo a piedi nudi sul ghiaino, ignorando i sassi taglienti che le si incastravano nei piedi mentre cercava di raggiungere il furgone che partiva sgommando. Richiamò alla memoria il senso di inutilità che l’aveva sopraffatta quando si era accorta che il mezzo non aveva targhe e che non aveva praticamente nessuna descrizione da rilasciare alla polizia.
Ray era abituato a quanto fosse sempre toccata da quel momento, e sedeva in silenzio al posto del conducente mentre lei attraversava il ciclo di emozioni e si preparava per ciò che sarebbe accaduto poi.
“Stai bene?” le chiese quando finalmente vide il suo corpo rilassarsi leggermente.
“Quasi,” rispose abbassando lo specchietto del parasole e dandosi un’ultima occhiata per assicurarsi di non essere un disastro totale.
La persona che a sua volta la fissava sembrava molto più in forma di quanto fosse stata pochi mesi prima. I cerchi neri che un tempo aveva sotto agli occhi nocciola non c’erano più, e gli occhi non erano iniettati di sangue. La pelle era meno chiazzata. I capelli biondo scuro, anche se erano comunque raccolti in una comoda coda di cavallo, non erano unti né sporchi.
Keri si avvicinava al suo trentaseiesimo compleanno ma aveva l’aspetto migliore di sempre dai tempi in cui Evie era stata rapita, cinque anni prima. Non sapeva se fosse per la speranza che provava da quando il Collezionista molte settimane prima aveva accennato che si sarebbe fatto sentire.
O forse era la vera possibilità di una relazione romantica con Ray all’orizzonte. Avrebbe potuto anche essere il recente trasferimento dalla sgangherata casa galleggiante che aveva chiamato casa per molti anni in un vero e proprio appartamento. Oppure poteva avere a che fare con la riduzione del consumo di grandi quantità di scotch single malt.
Qualunque cosa fosse, notava che più uomini del solito si voltavano a guardarla, di recente. A lei non importava, anche solo perché per la prima volta in assoluto sentiva di avere del potere sulla sua vita così spesso fuori controllo.
Rialzò il parasole e si voltò verso Ray.
“Pronta,” disse.
Avvicinandosi alla porta principale, Keri osservò bene il quartiere. Era l’estremo nord di Westchester, accanto alla freeway 405 e appena a sud dell’Howard Hughes Center, un grande complesso di negozi e uffici che dominava il cielo di quella parte della città.
Westchester aveva la reputazione di essere un quartiere operaio, e la maggior parte delle case era modesta, a un piano solo. Ma persino lì i costi erano esplosi nell’ultima mezza dozzina di anni. Di conseguenza la comunità era un misto di residenti che vivevano lì da sempre e di giovani famiglie di professionisti che non volevano vivere in aree di sviluppo urbano fatte con lo stampino, ma in un luogo che avesse una sua personalità. Keri immaginava che in questo caso si stesse parlando degli ultimi.
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