Si stava stretti nella gabbia, e Raymond non aveva modo di sedersi comodamente, e non poteva neppure pensare di sdraiarsi. La gabbia cigolava e si spostava a ogni movimento del vento, producendo dei rumori così forti da essere di per sé una tortura. Tutto ciò che Raymond poteva fare era stare seduto lì mentre gli uomini trascinavano i suoi fratelli da altre due gabbie, incapace di aiutarli.
Garet lottò, perché Garet lottava sempre. Ma questo gli guadagnò solo un pugno nello stomaco prima che lo sollevassero e lo schiacciassero dentro alla sua gabbia, come un contadino avrebbe potuto fare con una pecora poco collaborativa per rimetterla nell’ovile. Sollevarono Lofen con la stessa facilità, gettandolo in un’altra delle gabbie, lasciandoli lì sospesi, circondati dall’odore della morte che proveniva dai corpi abbandonati lungo i versanti della collina.
“Come avete potuto pensare, tutti e tre, di poter combattere contro il duca?” chiese la guardia. “Il duca Altfor ha detto che pagherete per quello che ha fatto vostro fratello, e così sarà. Aspettate, e contemplate, e soffrite. Torneremo.”
Senza dire una parola di più, girò il carro e iniziò ad allontanarsi, lasciando Raymond e i suoi fratelli lì a penzolare.
“Se solo potessi…” disse Garet, tentando ovviamente di raggiungere il lucchetto della sua gogna.
“Non puoi aprire il lucchetto,” disse Lofen.
“Posso provare, no?” ribatté Garet. “Dobbiamo provare qualcosa. Dobbiamo…”
“Non c’è niente da provare,” disse Lofen. “Magari possiamo uccidere le guardie quando tornano, ma non potremo mai aprire quei lucchetti.”
Raymond scosse la testa. “Basta,” disse. “Non è tempo di litigare. Non c’è nessun posto dove andare, e niente che possiamo fare, quindi il minimo che possiamo fare è non lottare tra noi.”
Sapeva cosa significasse un posto come quello, e che non c’erano vere possibilità di fuga.
“Presto,” disse, “ci saranno animali che arriveranno, o peggio. Forse poi non saremo in grado di parlare. Magari io… magari saremo tutti morti.”
“No,” disse Garet scuotendo la testa. “No, no, no.”
“Sì,” disse Raymond. “Non è una cosa che possiamo controllare, ma possiamo affrontare con coraggio le nostre morti. Possiamo mostrare loro come muoiono bene le persone oneste. Possiamo rifiutarci di concedere loro la paura che vogliono.”
Vide Garet impallidire, poi annuire.
“Va bene,” disse suo fratello. “Ok, possiamo farlo.”
“So che potete,” disse Raymond. “Potete fare qualsiasi cosa, tutti e due. Voglio dire…” Come poteva dirlo? “Voglio bene ad entrambi, e sono riconoscente di essere stato vostro fratello. Se devo morire, sono felice almeno di farlo con le migliori persone che conosco al mondo.”
“Se,” disse Lofen. “Non è ancora finita.”
“Se,” confermò Raymond. “Ma in caso succeda, volevo che lo sapeste.”
“Anche io,” disse Garet.
Raymond stava seduto nella sua gabbia tentando di apparire coraggioso per i suoi fratelli, e per chiunque stesse guardando, perché era certo che ci fosse qualcosa o qualcuno che guardava dalle rovine della torre. Per tutto il tempo cercò di non pensare alla verità: non c’era nessun ‘se’. Raymond poteva già vedere i primi uccelli spazzini che si riunivano sugli alberi. Sarebbero morti. Era solo questione di quanto presto e quanto orribilmente.
Royce si inginocchiò tra le ceneri della casa dei suoi genitori, frammenti anneriti di legno che cadevano dalla struttura in un modo che sembrava combaciare con le lacrime che gli scorrevano lungo le guance e andavano a tracciare dei segni in mezzo alla fuliggine e alla terra che gli ricoprivano il volto, donandogli uno strano aspetto rigato. Ma a Royce non importava.
Tutto quello che contava in quel momento era che i suoi genitori erano morti.
Il dolore lo riempiva in maniera insopportabile mentre guardava i loro corpi sdraiati sul pavimento in sorprendente posa di quieto riposo, nonostante gli effetti delle fiamme. Si sentiva come se avesse potuto fare il mondo a pezzi con la stessa facilità con cui le dita cercavano di sgrovigliare i capelli impiastricciati di fuliggine. Voleva trovare un modo per sistemare le cose, ma non era possibile, quindi Royce gridò la sua rabbia e il suo dolore con il volto rivolto al cielo.
Aveva visto l’uomo che aveva fatto loro questo. Royce lo aveva visto sulla strada, di ritorno dal villaggio con estrema calma, come se non fosse successo niente. L’uomo lo aveva addirittura messo in guardia, inconsapevole, dei soldati che stavano venendo al villaggio. Che genere di assassino faceva una cosa del genere? Che razza di assassino uccideva e poi sistemava le sue vittime come se le volesse preparare per una onorata sepoltura?
Questa però non era una sepoltura, quindi Royce andò dietro alla fattoria, trovò un’ascia di legno e una pala, e iniziò a lavorare la terra, non volendo lasciare che i suoi genitori diventassero carne per i primi animali spazzini che sarebbero arrivati. Parte del terreno era duro e annerito e i muscoli di Royce dolevano per lo sforzo, ma in quel momento lui si sentiva di meritare un tale dolore. La vecchia Lori aveva avuto ragione… tutto questo era causa sua.
Scavò la fossa più profonda che poté e poi vi depose i corpi bruciacchiati dei suoi genitori. Rimase sul bordo, cercando di pensare a delle parole da dire, ma non gli veniva in mente nulla che avesse senso e che li potesse accompagnare in paradiso. Royce non era un sacerdote e non sapeva quali erano i rituali per gli dei. Non era neanche un abile narratore, sempre con le parole pronte per ogni occasione, da una festa a un funerale.
“Amo tantissimo tutti e due,” disse invece. “Vorrei… vorrei poter dire di più, ma niente potrebbe cambiare le cose.”
Li seppellì con maggior cura possibile e ogni palata di terra gli sembrava un colpo di martello quando cadeva. Sopra di sé Royce poteva sentire il verso di un falco, ma lo ignorò, non interessato alla presenza di corvi o gazze nel resto del villaggio. Questi erano i suoi genitori.
Mentre ci pensava, Royce capì che seppellire loro non era sufficiente. Gli uomini del duca erano venuti qui a causa sua: non poteva abbandonare ai corvi tutti quelli che avevano ucciso. Sapeva anche di non avere la possibilità, da solo, di scavare una fossa tanto profonda per tutti quei corpi.
Il meglio che poteva sperare di fare era costruire una pira per finire ciò che gli edifici incendiati avevano iniziato, quindi Royce si mise al lavoro attraverso il villaggio, raccogliendo legna, tirandola fuori dalle scorte per l’inverno, trascinandola via dai resti degli edifici. Le travi erano le più pesanti, ma la sua forza era sufficiente a spostarle e accatastarle per la pira che stava innalzando.
Quando ebbe finito era completamente buio, ma non aveva la minima intenzione di dormire in un villaggio di morte come quello. Cercò invece fino a che trovò una lanterna fuori da una delle case, solo un po’ contorta dal calore del fuoco che l’aveva colpita. La accese e seguendone la luce iniziò a raccogliere i morti.
Li mise insieme tutti, anche se si sentiva spezzare il cuore mentre lo faceva, Giovani e anziani, uomini e donne, li raccolse tutti. Trascinava i più pesanti e portava in spalla i più leggeri, posandoli al loro posto nella pira e sperando che in qualche modo ciò significasse che sarebbero stati insieme in qualsiasi posto ci fosse dopo questo mondo.
Era quasi pronto ad appiccare il fuoco con la lanterna quando ricordò la vecchia Lori: non era andato a prenderla durante la sua cupa raccolta, anche se era passato una decina di volte accanto al muro al quale si era appoggiata. Forse dopotutto non era davvero morta quando l’aveva lasciata. Forse si era trascinata dentro per morire dove voleva, o forse Royce semplicemente non l’aveva notata. Gli sembrava sbagliato lasciarla separata dagli altri, quindi Royce andò alla ricerca del suo corpo, tornando nel punto dove l’aveva lasciata prima e perlustrando con la lampada il terreno circostante.
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