“Sono bugie,” disse Angelica. “Sono…”
“Ad ogni modo non mi interessa molto.” La spinse oltre il parapetto. “La vedova mi ha dato i miei ordini da eseguire.”
“E cosa farà quando li avrai eseguiti?” chiese Angelica. “Pensi che ti lascerà vivere? Se l’Assemblea dovesse scoprire che ha assassinato una nobildonna, verrebbe deposta.”
L’uomo scrollò le spalle. “Ho già ucciso per lei.”
Lo disse come se non fosse nulla, e Angelica allora capì che sarebbe morta. Qualsiasi cosa avesse detto, qualsiasi cosa avesse tentato, quest’uomo l’avrebbe assassinata. E a vederlo, probabilmente si sarebbe addirittura divertito a farlo.
L’uomo spinse Angelica verso il bordo, e lei capì che sarebbe stata questione di attimi perché cadesse. Inspiegabilmente si trovò a pensare a Sebastian, e i pensieri non erano quelli pieni di odio che avrebbe dovuto avere dato il modo in cui l’aveva abbandonata. Angelica non capiva perché non fosse così, dato che non era nient’altro che l’uomo cui aveva puntato come marito per salire di posizione, un uomo che era stata pronta a portare a letto con l’inganno per mezzo di una polvere sonnifero…
Le venne in mente un’idea. Era un’idea disperata, ma in quel momento tutto era disperato.
“Potrei offrirti qualcosa di maggior valore dei soldi,” disse Angelica. “Qualcosa di meglio.”
La guardia rise, ma lo stesso si fermò. “Cosa?”
Angelica portò la mano alla cintura e tirò fuori la scatolina contenete il sedativo, sollevandola come se fosse la cosa più preziosa al mondo. La guardia glielo permise, fissando l’oggetto quasi in trance, nel tentativo di capire di cosa si trattasse. Molto delicatamente Angelica aprì la scatola.
“Che cos’è?” chiese la guardia. “Sembra…”
Angelica soffiò con forza in modo che una buona dose di polvere finisse in faccia alla guardia, che annaspò. Si divincolò mentre lui tentava di afferrarla, sperando di schivarlo e andare oltre mentre era ancora impegnato con la polvere che gli era finita negli occhi. Una mano nerboruta le si strinse attorno al braccio e cominciò a spingerla di nuovo verso il bordo del tetto del palazzo.
Angelica non sapeva che effetto avrebbe avuto il sedativo. Aveva funzionato rapidamente ogni volta che l’aveva usato, ma era solitamente una cosa da piccole dosi e minimi effetti. Quanto avrebbe fatto una dose tanto grande su un uomo di quella stazza? E lei avrebbe avuto abbastanza tempo prima che ciò accadesse? Angelica poteva già sentire il parapetto contro la schiena, il cielo visibile in alto mentre l’uomo la spingeva.
“Ti ucciderò!” tuonò la guardia, e il meglio che Angelica poté giudicare fu che le parole gli uscirono dalla bocca un po’ biascicate. La sua presa si stava indebolendo? La spinta che la conduceva indietro era forse minore?
Ora era talmente piegata indietro da poter vedere il terreno sotto di sé, e un gruppo di servitori e nobili. Un altro secondo e sarebbe caduta, schiantandosi contro i sassi del cortile, come qualcosa di versato da un calice.
In quel momento Angelica sentì la morsa della guardia che si allentava. Non molto, ma tanto da permetterle di girarsi e scivolargli via, mettendo lui con la schiena rivolta verso il cielo vuoto.
“Avresti dovuto prendere i soldi,” gli disse, e spinse in avanti, premendo con tutte le sue forze. La guardia barcollò per un secondo sul bordo, poi cadde all’indietro, le braccia che si dimenavano nell’aria.
Non solo nell’aria. Con una mano tentò di prenderla, e Angelica si sentì strattonare in avanti, verso il bordo e oltre. Gridò e tentò di aggrapparsi a qualsiasi cosa fosse a portata di mano. Le sue dita trovarono un pezzo di pietra della parete, persero la presa e poi la trovarono ancora, mentre la guardia continuava a precipitare sotto di lei. Angelica guardò in basso, giusto il tempo di seguire la sua caduta fino a terra. Provò un breve momento di soddisfazione quando l’uomo colpì il suolo, rapidamente sostituito dal terrore per trovarsi appesa al bordo del castello.
Rovistò con le mani alla ricerca di appigli, tentando di trovare qualcosa a cui tenersi. I piedi rimasero penzolanti nell’aria per un momento, ma poi riuscì a piantarli sul ruvido lato di uno scudo araldico scolpito nella pietra. Angelica notò con limitato divertimento che si trattava dello stemma reale, ma non poté comunque fare a meno di sentirsi sollevata che fosse lì. Senza dubbio sarebbe stata altrimenti ormai morta, proprio come desiderava la vedova.
La scalata per tornare in cima al tetto sembrò durare in eterno. I muscoli di Angelica bruciavano per lo sforzo inaspettato. Sotto poteva ora udire delle grida mentre la gente iniziava a riunirsi attorno alla guardia caduta. Non c’era dubbio che qualcuno guardasse in alto, vedendola mentre tentava di tornare al tetto, scavalcando la balaustra e restando distesa lì, con il respiro affannato.
“Alzati,” disse a se stessa. “Sei morta se resti qui. Alzati.”
Si sforzò di rimettersi in piedi, cercando di pensare. La vedova aveva tentato di ucciderla. La cosa ovvia da fare era scappare, perché chi poteva tenere testa alla vedova? Doveva trovare una via di fuga dal palazzo, forse arrivare al molo e partire verso le terre della sua famiglia dall’altra parte dell’oceano. Questo, oppure sgattaiolare attraverso le vie secondarie della città, evitando qualsiasi sentinella che fosse stata posizionata di sorveglianza e scappare in terraferma. La sua famiglia era potente, con il genere di amicizie che avrebbero potuto sollevare delle domande nell’Assemblea dei Nobili su questa faccenda, che avrebbero…
“Faranno quello che la vedova dice loro,” disse Angelica a se stessa. Se avessero agito, lo avrebbero fatto lentamente, tanto che lei nel frattempo sarebbe stata senza dubbio assassinata. Il meglio che poteva sperare era di continuare a scappare, senza mai essere al sicuro, senza mai trovarsi al centro delle cose. Era una soluzione del tutto inaccettabile.
Che le riportò alla mente la domanda precedente: chi poteva tenere testa alla vedova?
Angelica si spolverò con attenzione l’abito, si risistemò i capelli il meglio possibile mentre annuiva a se stessa. Questo piano era… pericoloso, sì. Spiacevole, quasi certamente. Ma era la migliore possibilità che aveva.
Mentre la gente di sotto gridava, lei partì di corsa tornando dentro al palazzo.
Gli occhi di Sebastian stavano iniziando ad abituarsi al buio quasi totale della sua cella, all’umido e anche al puzzo. Si stava iniziando ad adeguare al debole gorgoglio dell’acqua che si sentiva da qualche parte in lontananza e al rumore di gente che andava e veniva al di là. Era probabilmente un brutto segno. C’erano posti a cui era bene che nessuno si abituasse.
La cella era piccola, pochi metri per lato, con una parete di sbarre di ferro chiuse con un solido lucchetto. Non era la bella torre di una prigione, dove la famiglia di un uomo poteva pagare per il suo mantenimento in grande stile fino a che non fosse giunto per lui il momento di perdere la testa. Questo era un posto dove un uomo veniva gettato per essere poi dimenticato dal mondo.
“E se verrò dimenticato,” sussurrò Sebastian, “Rupert avrà la corona.”
Doveva essere quello il senso. Sebastian non nutriva alcun dubbio su quella parte. Se suo fratello lo avesse fatto scomparire, se avesse fatto apparire il fatto come se Sebastian fosse scappato per non tornare mai più, allora Rupert sarebbe diventato in automatico l’erede al trono. Il fatto che non avesse ucciso Sebastian però suggeriva che questo potesse bastargli, che potesse magari liberarlo, non appena avesse ottenuto quello che voleva.
“O potrebbe solo significare che vuole prendersi il tempo necessario per uccidermi,” disse Sebastian.
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