Morgan Rice - Un Abbraccio Per Gli Eredi

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L’immaginazione di Morgan Rice non ha limiti. In un’altra serie che promette di intrattenerci come le precedenti, UN TRONO PER DUE SORELLE ci presenta il racconto di due sorelle (Sofia e Kate), orfane, che lottano per sopravvivere nel mondo crudele ed esigente dell’orfanotrofio. Un successo immediato. Non vedo l’ora di mettere le mani sul secondo e terzo libro! Books and Movie Reviews (Roberto Mattos) La nuova serie epic fantasy #1 Bestseller scritta da Morgan Rice! In UN ABBRACCIO PER GLI EREDI (Un trono per due sorelle – Libro otto), Sofia, Kate e Lucas incontrano finalmente i loro genitori. Chi sono? Perché sono rimasti in esilio?E quale messaggio segreto potrebbero avere in serbo per loro riguardo alle loro identità?Nel frattempo il Maestro dei Corvi saccheggia Ashton, Casapietra si trova in pericolo e Sebastian deve trovare un modo per portare Viola in salvo. Sofia, Kate e Lucas torneranno in tempo per salvarli?E ad ogni modo, ce la faranno a tornare?UN ABBRACCIO PER GLI EREDI (Un trono per due sorelle – Libro otto) è l’ottavo #8 libro una stupefacente nuova serie fantasy, dilagante di amore, cuori spezzati, tragedia, azione, magia, stregoneria, destino e suspense da far battere il cuore. Un libro di cui è impossibile non girare le pagine, è pieno di personaggi che vi faranno innamorare, e di un mondo che non dimenticherete mai. Il nono #9 libro della serie è di prossima uscita. potente inizio per una serie produrrà una combinazione di esuberanti protagonisti e circostanze impegnative per coinvolgere pienamente non solo i giovani, ma anche gli adulti amanti del genere fantasy e che cercano storie epiche alimentate da potenti legami o inimicizie. Midwest Book Review (Diane Donovan)

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Tornò nel palazzo di Ashton, che era diventato contorto e diverso come il resto della città. Non si curava dei buchi che erano stati creati nelle mura nel corso della battaglia, o degli uffici e alloggi militari che erano stati collocati al posto di quelle che prima erano stanze dei nobili. Da una delle stanze provenivano delle grida mentre i suoi addetti agli interrogatori lavoravano su una servitrice per scoprire cosa sapesse della città. Il Maestro dei Corvi scrollò le spalle e andò avanti.

Fece una breve pausa passando davanti a uno specchio dorato, momentaneamente incuriosito dalla sua immagine lì riflessa. La struttura alta avvolta nel mantello scuro e ricoperta di corvi era la stessa di sempre, ma ciò che colse la sua attenzione fu il segno rosso che appariva evidente contro il pallore della sua pelle.

Avvicinandosi di più allo specchio gli era ancora possibile distinguere l’impronta della mano di un infante, rossa anche adesso come nei secondi subito successivi al momento in cui la principessa Viola lo aveva toccato. La scottatura ora non gli faceva male, a meno che non la toccasse, ma era pur sempre un promemoria del potere che lei aveva di ferirlo, e questo non si poteva ignorare.

“Mio signore, mio signore!” gridò un servitore correndo verso di lui. Per un momento considerò l’idea di uccidere quell’uomo per l’interruzione, ma un misero briciolo di potere in più non avrebbe riparato a ciò che era sfuggito dalla sua presa.

“Cosa c’è?” chiese il Maestro dei Corvi.

“Mio signore, c’è un uomo che vuole vedervi. Dice che è urgente.”

Ancora una volta il Maestro dei Corvi resistette all’urgenza di colpire il servitore.

“Io… penso che le potrebbe interessare incontrarlo, mio signore,” aggiunse l’uomo.

Il Maestro dei Corvi lanciò all’uomo un’occhiata priva di vita. “Molto bene. Portami da lui. E se non lo troverò molto interessante, ti ritroverai in una gabbia per corvi.”

Vide l’uomo deglutire. “Sì, mio signore.”

Il servitore fece strada fino alla sala da ballo del palazzo, che era diventata una sala del trono per la sua occupazione. Gli specchi erano ora per lo più distrutti, e riflettevano frammenti scomposti della gente lì presente. Molti stavano indietro, affiancati da guardie del Nuovo Esercito. Uno di loro però si fece avanti, la testa rasata, abiti scuri addosso, la mente chiusa con il genere di scudo che faceva capire la presenza di poteri.

“Hai corso un grosso rischio venendo qui,” disse il Maestro dei Corvi. “Farai bene a parlare velocemente, chiunque tu sia.”

“Chiunque io sia?” chiese l’uomo. “Guardami bene.”

Il Maestro dei Corvi osservò meglio e si rese subito conto di chi aveva di fronte. Aveva già visto quella faccia, anche se al tempo aveva dei capelli in testa, e generalmente solo per brevi frangenti prima che i suoi corvi venissero uccisi.

“Endi Skyddar,” disse. “Hai corso un rischio ancora più grande di quanto pensassi. Parla in fretta. Perché dovrei lasciarti vivere?”

“Ho sentito dire che hai un problema,” disse Endi. “Ti sei imbattuto in un problema con la magia che non riesci a risolvere. Anche io ho i miei problemi: io e i miei uomini non abbiamo un posto dove andare. Magari potremmo aiutarci a vicenda.”

“E come possiamo aiutarci a vicenda?” chiese il Maestro dei Corvi. “Non sei tuo fratello Oli, che conosce la storia e cose del genere. E sei uno Skyddar, uno dei miei nemici.”

“Ero uno Skyddar,” disse Endi. “Ora non ho un nome. E per quanto ne so, i segreti e le cose nascoste erano il mio pane. Può essere che abbia sentito di un uomo a cui è stato richiesto di dare consigli in materia di magia. Può darsi che quando le mie cugine si sono presentate per avere il potere, io abbia tentato dei metodi per rispondere a modo.”

“Quindi cosa mi stai chiedendo?” domandò il Maestro dei Corvi.

“Tu concedi a me e ai miei uomini un posto onorabile nel tuo regno, e il tuo esercito,” disse Endi. “In cambio io ti fornirò un rituale che indebolirà le mura di Casapietra, e qualsiasi altra magia loro ti mettano davanti.”

Questo avrebbe concesso al Maestro dei Corvi l’accesso alla città. Gli avrebbe dato la figlia di Sofia. Con tutto quel potere nelle sue mani, si sarebbe potuto permettere di essere generoso.

“Molto bene,” disse. “È un patto. Se mi deludi, però, ucciderò te e tutti i tuoi uomini.”

CAPITOLO DUE

Sofia fissava la città oltre la porta, oltre i normali spazi del mondo. Sienne le stava appoggiato alla gamba, mentre Lucas e Kate erano rispettivamente ai suoi fianchi. Sofia non sapeva cosa pensare della città che aveva davanti, anche se l’aveva vista prima nelle sue visioni. La città era radiosa, del colore dell’arcobaleno in certe parti e dorata in altre. La gente, alta ed elegante, camminava per le strade, con abiti radianti e d’oro.

Era tutto bellissimo, ma non era niente di ciò che Sofia era venuta qui a cercare. Niente di tutto questo era il motivo per cui aveva lasciato sua figlia, suo marito e il suo regno per attraversare mare e deserto, oltre la città di Morgassa e fino alle terre desolate. Lo aveva fatto per trovare i suoi genitori.

E loro erano lì.

Si trovavano in una strada, in uno spazio sgombero in mezzo al resto della gente e guardavano l’ingresso che Sofia e gli altri avevano appena attraversato. Erano più vecchi di quanto apparissero nei suoi ricordi, ma era passato tanto tempo da allora: come poteva essere diversamente? La cosa più importante era che ancora assomigliavano a loro. Suo padre si appoggiava a un bastone ora, ma era ancora alto e dall’aspetto forte. Sua madre aveva gli stessi capelli rossi, sebbene vi si vedessero delle sfumature grigie, e sembrava sempre la più bella donna del mondo per Sofia.

Corse verso di loro senza neanche pensarci, e non fu sorpresa di vedere che anche Kate e Lucas correvano con lei. Gettò le braccia attorno a sua madre e a suo padre, e gli altri si unirono all’abbraccio, fino a sentirsi raccolti in una grande massa in mezzo alla strada.

“Vi abbiamo trovati,” disse Sofia, stentando quasi a crederlo. “Vi abbiamo trovati sul serio.”

“Sì, tesoro,” disse sua madre tenendola stretta a sé. “E avete dovuto passarne così tante per farlo.”

“Lo sapete?” disse Sofia facendo un passo indietro.

“Non sei l’unica della famiglia a vedere le cose,” disse sua madre con un sorriso. “È il motivo per cui abbiamo lasciato il mondo.”

Sofia poteva sentire come Kate si sentisse preoccupata al riguardo.

“Avete visto tutto questo e non siete venuti?” chiese Kate.

“Kate…” iniziò Sofia, ma suo padre rispose prima che potesse dire altro.

“Ci saremmo stati se avessimo potuto, Kate,” le disse. “Avete sofferto, tutti voi, e avremmo interrotto ogni momento di quella sofferenza se ci fosse stato possibile. Vi avremmo portati con noi… vi avremmo dato una vita perfetta se avessimo potuto.”

“Perché non potevate?” chiese Sofia. Pensò all’orfanotrofio e a tutte le cose che erano successe dopo l’attacco alla loro casa. “Perché non l’avete fatto?”

“Vi dobbiamo una spiegazione,” disse loro madre, “e ci sono cose che dobbiamo raccontarvi, ma non qui in strada. Venite con noi, tutti.”

Lei e suo padre fecero strada lungo la via, le folle che si aprivano come in segno di rispetto, o forse nel modo in cui qualcuno potrebbe tirarsi indietro davanti a qualche ammalato. Sofia e gli altri li seguirono fino a una grande casa con intagli all’esterno che sembravano incresparsi alla luce del sole. Non c’erano porte, come se la gente lì non temesse l’arrivo di possibili ladri: c’era una semplice tenda a tenere fuori il vento.

All’interno i loro genitori li condussero a una stanza con il pavimento che sembrava una grande versione in metallo della mappa sul disco che Sofia e gli altri avevano seguito per arrivare fino a lì. Un largo e basso tavolo si trovava al centro della stanza, con sedie disposte attorno. C’era anche un divano, sul quale si accomodarono sua madre e suo padre, una sedia pieghevole che Kate prese senza tanti complimenti e uno sgabello intagliato dall’aspetto strano davanti al quale Lucas sorrise un momento prima di sedervisi a gambe incrociate. Poi c’era una bella poltroncina dall’aspetto comodo con un tappeto davanti, dove Sofia si sedette, con Sienne accoccolato davanti ai piedi.

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