“Ma certo. Questo è il massimo dello streaming. Niente pubblicità o altro.”
“Bene. Ci vediamo tra poco.”
Si chinò per baciarlo su una guancia prima di andarsene. Era stato un gesto spontaneo, fatto senza riflettere, anche se non era molto professionale. Era un valido promemoria del perché non avrebbero potuto lavorare insieme a quel modo dopo il matrimonio.
Mackenzie lasciò l’ufficio e si mise alla ricerca dell'obitorio, mentre Ellington osservava il tempo scorrere rapidamente sullo schermo.
***
La domanda se Claire Locke avesse o meno sofferto di fame o disidratazione mentre si trovava nel magazzino trovò risposta appena Mackenzie la vide. Anche se non era un'esperta in materia, le guance della giovane avevano un aspetto emaciato. Se anche l’addome fosse incavato non era chiaro, a causa dell'incisione praticata dal coroner.
Ad attendere Mackenzie all'obitorio c’era una donna paffuta e stranamente piacevole di nome Amanda Dumas. Accolse calorosamente Mackenzie e si mise in piedi contro un tavolo d'acciaio sul quale erano disposti gli strumenti del suo mestiere.
“Sulla base del suo esame” disse Mackenzie “Direbbe che la vittima ha sofferto di fame e di sete prima di morire?”
“Sì, anche se non so fino a che punto, esattamente” disse Amanda. “Ci sono pochissimi acidi grassi nel suo stomaco. Questo, oltre ad alcuni segni di deterioramento muscolare, indica che ha sperimentato almeno i primi morsi della fame. Ci sono anche segni che indicano disidratazione, anche se non posso essere certa che sia questo ad averla uccisa.”
“Pensa che si sia dissanguata prima?”
“Sì. E, francamente, sarebbe stata una grazia per lei.”
“In base a quello che ha visto sul corpo, crede che fosse ancora viva quando è stata portata nel magazzino?”
“Ah, senza dubbio. E mi sento di affermare anche che fosse cosciente.” Amanda indicò le abrasioni sulla mano destra di Claire. “Sembra che abbia lottato in qualche modo e che, ad un certo punto, abbia tentato la fuga.”
Mackenzie osservò i tagli e notò che uno in particolare sembrava piuttosto frastagliato. Era molto probabile che a causarlo fosse stata la guida di scorrimento all'interno della saracinesca del magazzino. Vide anche l'unghia che era stata strappata.
“Sono anche presenti dei lividi sulla nuca” aggiunse Amanda. Con uno strumento simile a un pettine scostò i capelli di Claire, e lo fece con delicatezza, quasi con una sorta di affettuoso rispetto. Mackenzie scorse un livido viola nella parte alta del collo, proprio alla base del cranio.
“Ci sono segni che sia stata drogata?” chiese alla dottoressa.
“No, nessuno. Sto ancora aspettando il responso di un'analisi chimica, ma in base a ciò che ho visto, non mi aspetto che risulti qualcosa.”
Mackenzie suppose che il livido dietro la testa e il bavaglio a palla trovato nella bocca di Claire fossero ragioni più che sufficienti a spiegare come mai non avesse chiamato aiuto mentre veniva portata nel magazzino. Ripensò alla registrazione, certa che il conducente di una delle auto era il responsabile del suo omicidio e anche della morte della persona trovata la settimana prima.
Mackenzie osservò il corpo di Claire con la fronte corrucciata. Era una reazione naturale avvertire sempre una sorta di rimorso per le vittime di omicidio ma, nel caso di Claire Locke, Mackenzie provava un senso di tristezza molto più intenso. Forse perché poteva immaginarla tutta sola in quel magazzino buio, incapace di muoversi o di chiedere aiuto.
“Grazie per le informazioni” disse Mackenzie. “Io e il mio collega resteremo in città per qualche giorno. Si metta in contatto con me se dagli esami dovesse risultare qualcosa.”
Uscì dall'obitorio e si diresse al piano principale. Prima di tornare al piccolo ufficio che lei ed Ellington avevano adibito a base, si fermò al banco della reception per chiedere una copia del dossier di Claire Locke. Lo ricevette due minuti dopo e lo portò in ufficio.
Trovò Ellington che fissava il monitor, appoggiato allo schienale della sua sedia.
“Trovato qualcosa?” gli chiese.
“Nulla di concreto. Ho visto altri sette veicoli andare e venire. Uno è rimasto fermo per circa sei ore, prima di ripartire. Voglio verificare con la polizia per sapere con quali di queste persone hanno già parlato. Perché Claire Locke finisse in quel magazzino, qualcuno che appare in questo filmato deve avercela portarla.”
Mackenzie annuì e iniziò a sfogliare il dossier. Claire non aveva precedenti penali e le sue informazioni personali non offrivano granché. Aveva venticinque anni, si era laureata alla UCLA due anni prima e lavorava come artista digitale presso una società di marketing locale. I genitori erano divorziati, il padre abitava alle Hawaii e la madre da qualche parte in Canada. Non era sposata né aveva figli, ma una nota a fondo pagina diceva che il fidanzato era stato informato della sua morte. Era stato contattato il pomeriggio prima, alle tre.
“Quanto ne hai ancora?” chiese a Ellington.
Lui si strinse nelle spalle. “Ancora tre giorni, a quanto pare.”
“Ci pensi tu qui, mentre io vado a parlare con il ragazzo di Claire Locke?”
“Immagino di sì” disse con un sospiro comico. “La vita coniugale si avvicina. Meglio che ti abitui a vedermi sempre seduto davanti a uno schermo. Specialmente durante la stagione di football.”
“Ok” replicò lei. “A patto che ti stia bene che io esca per conto mio mentre tu ti guardi le partite.”
E, come a dimostrargli quello che intendeva, se ne andò via, dicendogli da sopra la spalla: “Dammi qualche ora.”
“Certo. Poi però non ti aspettare di trovare la cena pronta quando torni.”
Quello scambio di battute rese Mackenzie incredibilmente felice che McGrath avesse permesso loro di lavorare insieme a quel caso. Tra il buio e la pioggia fuori e la tristezza che provava per la sorte di Claire Locke, non sapeva se sarebbe stata in grado di gestire quel caso da sola. Ma con Ellington al suo fianco, le sembrava di avere con sé una parte di casa, un posto dove tornare nel caso in cui l’indagine fosse diventata troppo travolgente.
Uscì dall’edificio. Era calata la notte e, sebbene la pioggia si fosse ridotta ad una pigra pioggerellina, Mackenzie non poté fare a meno di sentire che si trattava di una sorta di presagio.
Mackenzie non sapeva nulla del fidanzato di Claire, poiché non c'erano dettagli su di lui nel fascicolo. Tutto quello che sapeva era che si chiamava Barry Channing e che viveva al civico 376 di Rose Street, Appartamento 7. Quando bussò alla sua porta, ad aprire fu una donna che pareva sulla cinquantina. Aveva un’aria stanca e affranta, ed era evidente che non fosse contenta di ricevere visite alle nove passate di quella domenica sera piovosa.
“Desidera?” chiese la donna.
Mackenzie fu tentata di ricontrollare il numero sulla porta, poi però disse: “Sto cercando Barry Channing.”
“Sono sua madre. Lei chi è?”
Mackenzie mostrò il suo tesserino identificativo. “Mackenzie White, FBI. Speravo di fargli qualche domanda su Claire.”
“Non è davvero in condizione di parlare con nessuno” iniziò la madre. “Vede, mio figlio...”
“Mio Dio, mamma” disse una voce maschile che si avvicinava alla porta. “Sto bene.”
La madre si fece da parte, lasciando che il figlio si affacciasse all’uscio. Barry Channing era piuttosto alto e aveva i capelli biondi e corti. Come sua madre, aveva un’aria esausta ed era evidente che avesse pianto.
“Ha detto di essere dell'FBI?” chiese Barry.
“Esatto. Ha cinque minuti?”
Barry guardò sua madre con le sopracciglia aggrottate, poi sospirò. “Sì, certo. Entri, prego.”
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