Poteva vedere dal modo in cui sollevavano le armi e le agitavano che la maggior parte di loro non aveva la minima idea di cosa stesse facendo. Forse il principe Rodry sì, ma in quel momento era dall’altra parte del primo piano della Casa, in cerca di una grande lancia con la lama a foglia, per farla vorticare con la destrezza derivante da una lunga pratica. Al contrario, i suoi accompagnatori sembravano giocare a fare i cavalieri piuttosto che esserlo davvero. Devin poteva scorgere la goffaggine in alcune delle loro movenze e il modo in cui la loro presa sulle armi era un poco imprecisa.
“Un uomo dovrebbe conoscere le armi che fa e usa,” disse Devin, mentre immergeva la lama che aveva fabbricato nella vasca di raffreddamento. Scoppiettò con una fiammata istantanea, poi fischiò mentre si intiepidiva lenta.
Si esercitava con le lame, in modo da sapere quando erano perfette per un guerriero esperto. Allenava l’equilibrio e la flessibilità, così come la forza, perché gli sembrava giusto che un uomo forgiasse se stesso con la stessa cura che riservava a una qualsiasi arma. Trovava difficili entrambi i processi; conoscere le cose era più semplice per lui, fabbricare utensili perfetti, comprendere il momento in cui…
Un fracasso da dove i nobili stavano giocando con le armi catturò la sua attenzione, e lo sguardo di Devin guizzò rapido, appena in tempo per vedere il principe Vars in piedi nel mezzo a una pila di armature collassate dal supporto. Stava fissando Nem, un altro dei ragazzi che lavoravano alla Casa delle Armi. Nem era amico di Devin da tanto tempo quanto fosse in grado di ricordare; era robusto e, a essere onesti, nutrito fin troppo bene; forse non era il più acuto di mente, ma aveva delle mani in grado di dare forma al più raffinato oggetto metallico. Il principe Vars lo spinse con la forza che Devin avrebbe potuto riversare su una porta bloccata.
“Stupido ragazzo!” scattò. “Non guardi dove metti i piedi?”
“Mi dispiace, mio signore,” disse Nem, “ma siete stato voi a essermi venuto addosso.”
A Devin si fermò il respiro a quell’affermazione, perché sapeva quanto fosse pericoloso rispondere a un qualsiasi nobile, tralasciando che in questo caso era ubriaco. Il principe Vars si raddrizzò in tutta la sua altezza e poi colpì Nem in pieno volto, abbastanza forte da farlo ruzzolare giù fra l’acciaio. Urlò e si tirò su con del sangue sul braccio, dove qualcosa di affilato lo aveva colpito.
“Come osi rispondermi?” chiese il principe. “Dico che mi sei venuto addosso e tu mi dai del bugiardo?”
Forse qualcun altro lì dentro avrebbe potuto scoprirsi arrabbiato e pronto a combattere ma, nonostante la sua stazza, Nem era sempre stato mite. Sembrava solo mortificato e perplesso.
Per un attimo, Devin esitò, guardandosi intorno per capire se qualcun altro sarebbe intervenuto. Nessuno al seguito del principe Rodry sembrava volersi immischiare, forse troppo preoccupati di insultare qualcuno così superiore a loro nonostante il ceto; magari alcuni di loro credevano anche che il loro amico si meritasse qualche percossa per qualsiasi cosa pensavano avesse fatto.
Quanto al principe Rodry, era ancora di sopra, dall’altra parte del piano della Casa, a testare la lancia. Se aveva sentito il trambusto nonostante il baccano dei martelli in azione e i soffi di quelle forge incessanti, non lo dava a vedere. Gund non sarebbe intervenuto, perché quel vecchio uomo non era sopravvissuto così a lungo nel mondo delle ferriere andando in giro a piantare grane.
Devin sapeva di dover fare altrettanto e stare sulle sue, anche quando vide il principe alzare di nuovo la mano.
“Non ti scusi?” chiese Vars.
“Non ho fatto niente!” insistette Nem, forse troppo sconvolto per ricordarsi come funzionasse il mondo, ma la verità era che non era molto brillante quando si trattava di cose di questo genere. Era ancora convinto che il mondo fosse retto, pensava che non fare torti a nessuno bastasse come scusa.
“Nessuno può parlarmi così,” disse il principe Vars e colpì Nem di nuovo. “Adesso ti inculcherò le buone maniere a suon di legnate e, quando avrò finito, mi ringrazierai per la lezione; e se sbagli il mio titolo mentre lo fai, ti metterò in testa anche quello con lo stesso metodo. O, no, iniziamo con una bella lezione.”
Devin era consapevole di non poter fare niente, perché lui non era giovane quanto Nem, e sapeva come andava il mondo. Se un principe di sangue ti pesta un piede, sei tu a doverti scusare con lui o a doverlo ringraziare per quel privilegio. Se vuole la tua opera migliore, gliela vendi, anche se sembra incapace di brandirla nel mondo corretto. Non interferisci, non intervieni, perché farlo implicherebbe delle conseguenze, per te e per la tua famiglia.
Devin aveva una famiglia, al di fuori delle mura della Casa delle Armi. Non voleva che venisse fatto loro del male perché era stato una testa calda e si era scordato le buone maniere; ma non voleva neanche restare lì fermo, a guardare un ragazzo mentre viene picchiato fino a perdere i sensi per i capricci di un principe ubriaco. La sua presa si strinse sul martello e Devin lo posò, cercando di convincersi a restarne fuori.
Poi il principe Vars afferrò Nem per una mano e gliela posò di forza in basso, su una delle incudini.
“Vediamo che bravo fabbro diventi con una mano rotta,” disse. Impugnò un martello e lo sollevò e, in quel momento, Devin capì cosa sarebbe successo se non avesse fatto niente. Il cuore gli ruggiva in petto.
Senza pensarci due volte, balzò in avanti e afferrò il principe per un braccio. Non fece deflettere il colpo di molto, ma bastò a fargli mancare la mano di Nem per approdare sul ferro dell’incudine.
Mantenne la presa, nel caso il principe tentasse un secondo colpo per spaccargli la faccia.
“Che cosa?” disse il principe Vars. “Toglimi le mani di dosso.”
Devin lottò per immobilizzargli la mano; così vicino a lui, poteva sentire l’odore dell’alcol nel suo respiro.
“Non se avete intenzione di attaccare il mio amico,” disse Devin.
Sapeva che il solo aver fermato il principe, lo aveva messo nei guai; ma era troppo tardi ormai.
“Nem non capisce, e non è stato lui ad avervi fatto rovesciare metà delle armature qui dentro. L’alcol è la vera causa.”
“Toglimi le mani di dosso, ho detto,” ripeté il principe, mentre faceva scivolare l’altra mano verso il coltello da tavola che portava alla cintura.
Devin lo spinse via da sé con più delicatezza possibile. Una parte di lui sperava ancora di poter giungere a una risoluzione pacifica, anche se sapeva benissimo cosa stava per succedere.
“Non volete farlo davvero, vostra altezza.”
Vars gli lanciò uno sguardo truce, respirando forte, con un’espressione di odio puro.
“Non sono io ad aver commesso un errore qui dentro, traditore,” ringhiò il principe Vars, con un tono che evocava la morte.
Vars posò il martello e sollevò una spada d’armi da uno dei banchi da lavoro, sebbene fosse ovvio a Devin che non fosse esperto nel manovrarla.
“Proprio così, sei un traditore. Attaccare un reale è alto tradimento e chi commette il fatto muore per questo.”
Agitò la spada verso Devin che, d’istinto, prese la prima cosa che trovò. Era un martello che aveva forgiato lui stesso e lo alzò per bloccare il colpo, facendone risuonare il ferro su quello della spada prima che lo prendesse dritto alla testa. L’impatto gli fece vibrare le mani e non c’era tempo per pensare adesso. Colpendo la lama con la testa del martello, la scaraventò via dalla presa del principe con tutta la sua forza, facendola sferragliare sul pavimento per unirla alla pila di armature che giacevano lì.
Si fermò a quel punto. Era arrabbiato che il principe potesse andare lì e percuoterlo in quel modo, ma Devin era una persona di pazienza: i metalli la richiedono; un uomo che cede alle smanie in una ferriera finisce per farsi del male.
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