Ma perché continuare? Non sapeva dove si trovava, quindi perché avanzare a quel modo, in mezzo al buio e all’incertezza della foresta? Gli si stavano esaurendo le forze, quindi perché non sedersi sul ceppo di un albero, aspettare di riprendere fiato e…
“Fermarsi è morire, figlio mio.” La voce arrivò dagli alberi, e anche se l’aveva sentita solo nei suoi sogni, Royce la riconobbe subito come quella di suo padre. Si girò verso il punto da cui era venuto il suono e continuò a camminare.
“Padre, dove sei?” chiamò, andando in direzione della voce.
Il passaggio era, se possibile, ancora più difficile lì. C’erano alberi caduti da gestire e Royce aveva sempre più difficoltà a saltarli e scavalcarli. C’erano rocce che sporgevano dal suolo della foresta, e ora sembrava che Royce dovesse più scalare che camminare per passare oltre. Il sentiero davanti a lui era ancora impossibile da distinguere dal resto della foresta, e la disperazione che gli veniva dal non sapere dove andare era schiacciante.
Fu a quel punto che vide il cervo bianco davanti a sé. Sembrava in attesa e lo guardava con trepidazione. Con la medesima strana certezza che aveva provato prima, Royce sapeva che quell’animale era lì per mostrargli la strada. Si voltò per seguirlo, correndogli dietro.
Il cervo bianco era veloce e Royce doveva metterci tutto se stesso per tenere il passo. Aveva come l’impressione che i polmoni potessero esplodergli nel petto per lo sforzo, e anche le gambe erano in fiamme. Lo stesso continuò a correre in mezzo ai rami che lo frustavano, arrivando a uno spazio dove il cervo scomparve, sostituito da una figura con un’armatura contornata da luce bianca.
“Padre,” disse Royce, ansimando nell’emettere la parola. Gli sembrava di non avere più fiato, di non avere più tempo.
Suo padre annuì e gli sorrise, poi, inspiegabilmente, indicò verso l’alto. “Ora devi andare, Royce. Spingi, spingi verso la luce.”
Guardando in su, Royce vide una luce sopra di sé, e mentre provava a fare come suo padre aveva detto, la luce si fece sempre più vicina…
***
Royce emerse con un respiro sputacchiante che sembrava contenere acqua e aria nella medesima quantità. Sputò l’acqua marina e fece per mettersi seduto, ma delle mani attente lo tennero fermo al suo posto. Royce lottò contro quella stretta per un momento, ma poi si rese conto che era Mark che gli stava premendo l’acqua fuori dallo stomaco.
“Attento,” gli disse l’amico, “o farai rovesciare la zattera.”
La zattera in questione non era altro che un pezzo dell’albero della nave che si era spezzato nel caos, aggrovigliato poi con altri pezzi di legno alla deriva per formare una temporanea piattaforma galleggiante che ora le onde stavano facendo dondolare su e giù.
Bolis, Neave e Matilde erano inginocchiati sull’imbarcazione di fortuna, con Gwylim poco più in là e Bragia che volava sopra di loro. Matilde aveva una ferita sul fianco che sembrava essere stata procurata da un coltello o da un pezzo di legno, e comunque fosse, il sangue stava scorrendo in acqua mentre Neave trafficava sopra di lei, tagliando pezzi di vela e trasformandoli in bende. Sir Bolis stava cercando frettolosamente di incastrare un pezzo di metallo in un bastone di legno per formare una sorta di rudimentale arpione. Non c’era traccia della sua armatura o delle sue armi.
Royce abbassò lo sguardo e vide la spada di cristallo ancora al suo fianco e constatò di avere ancora addosso l’armatura che aveva preso dalla torre del conte di Undine.
“Non so come tu abbia fatto a nuotare con quella roba addosso,” gli disse Mark, “ma ce l’hai fatta. Sei saltato su come un pezzo di sughero e ti ho tirato fuori.”
“Grazie,” gli disse Royce, offrendo la mano all’amico.
Mark la strinse con forza. “Dopo tutte le volte che tu hai salvato me, non c’è bisogno che mi ringrazi. Sono solo contento che tu sia sopravvissuto.”
“Per ora,” disse Bolis dalla poppa della loro zattera. “Siamo ancora in pericolo.”
Royce si guardò attorno, cercando di capire cosa ci fosse oltre alla zattera. Vide che erano stati spazzati in mare aperto, e le Sette Isole erano tornate ad essere solo dei puntolini in lontananza. Il mare era abbastanza mosso, come se si stesse per preannunciare un temporale. La zattera stava scricchiolando per lo sforzo a cui era sottoposta.
“Lascia perdere la lancia,” disse Royce. “Dobbiamo concentrarci su come legare più saldamente insieme la zattera.”
“Non hai visto la creatura che ha divorato la gente?” gli chiese Bolis. “Deve aver ammazzato ogni singolo marinaio che si è trovata davanti. Quel serpente di mare non è roba a cui vorrei trovarmi di fronte disarmato.”
“E preferisci trovartelo davanti in acqua dopo che la nostra zattera è andata in pezzi ed è affondata?” ribatté Royce. Aveva visto la creatura di cui era preoccupato Bolis, e sapeva che razza di minaccia sarebbe stata, ma in quel momento anche il mare avrebbe potuto ucciderli con la stessa certezza.
C’erano funi attaccate agli alberi dell’imbarcazione e Royce le indicò. “Cercate tutti di prendere pezzi di corda che non siano già legate a qualcosa e usatele per fissare meglio la zattera. Questa è la priorità, poi remate in modo da avvicinarci alla terra, poi pensate alle armi.”
“Fai presto a dirlo tu,” disse Bolis, ma obbedì comunque, e così fecero Neave e Mark. Quando Matilde fece per aiutarli, ricadde indietro, facendo una smorfia di dolore.
“Ci arrangiamo,” le disse. “Fa tanto male?”
“Non tanto da morirne,” rispose lei. “Almeno… credo.”
“Perché lei può restare ferma lì a riposarsi?” chiese Bolis.
Neave si portò immediatamente davanti a lui con un pugnale pronto in mano. “Dammi una buona ragione per non aprirti la pancia e buttarti ai pesci, invasore.”
Royce fece per mettersi in mezzo ai due, ma Gwylim fu più veloce e la stazza del bhargir bastò a dividerli.
“Non possiamo permetterci di litigare,” disse Royce. “Dobbiamo lavorare insieme, altrimenti annegheremo.”
I due contendenti mugugnarono, ma tornarono al lavoro, e presto la zattera parve diventare molto più stabile di prima. Da dove stava seduta, Matilde stava già lavorando a una tavola di legno per crearne una specie di remo. Royce si unì a lei e presto ebbero tutti un remo a testa.
“Da che parte?” chiese Bolis, e Royce indicò. C’era solo una rotta possibile per una zattera del genere.
“Torniamo verso le isole,” disse.
“E verso la creatura,” sottolineò Mark.
“Magari avremo fortuna e questa volta la schiveremo,” disse Royce.
“Magari si sarà già fatta una bella scorpacciata,” disse Neave con uno sguardo che esprimeva la sua speranza che tutti su quella barca fossero stati parte del suo pasto.
Royce non sapeva quanto questo fosse probabile, ma non pareva esserci nessun’altra opzione: dovevano tentare di tornare verso le isole.
“Remiamo insieme,” disse. “Pronti?”
Spinsero la zattera in direzione delle isole. Tutti davano il loro contributo, addirittura Matilde. Ma anche con tutto quel remare, era difficile avanzare, perché i loro remi non erano ben fatti per il loro compito, e perché le onde sembravano quasi determinate a respingerli verso il mare aperto. Royce sapeva che dovevano resistere. Al largo sarebbero affondati, o morti di sete, o caduti preda di qualche altra creatura del profondo. La loro unica speranza era raggiungere la terraferma.
“Remate più forte,” gridò Royce, cercando di incoraggiarli. “Stiamo avanzando.”
Era vero, ma erano comunque molto lenti. Attraverso gli occhi di Bragia erano solo un puntino nella vastità dell’oceano. Quel puntino si stava muovendo in direzione delle isole, ma non tanto più veloce di quanto sarebbero sembrati se fossero stati abbandonati alla forza delle onde. Ad ogni modo si stava avvicinando, tra la nebbia, e gli scogli e tutto il resto.
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