Клаудио Поццани - Генуя Хандрящая

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Генуя Хандрящая: краткое содержание, описание и аннотация

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Уникальный проект «Русского Гулливера» в серии «GЕОГРАФИЯ ПЕРЕВОDА» представляет собой итало-русско-армянскую трилингву поэта и культуртрегера из Генуи. Лирика, оснащённая сложным метафорическим инструментом, импульсивность, стихийность, открытость, явно нарушающая наши представления о «засушенной», «интеллектуальной» поэзии Европы: стихи Клаудио Поццани напоминают нам о близости итальянской и русской ментальностей и очевидно должны найти отклик в сердце российского читателя. Творчество поэта представлено в России впервые.

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Cosa diavolo ho sopra la mia testa
una scatola magica che contiene l’inferno
una porta da cui non esce mai nessuno
Un soffitto mi separa da un mondo che non so

E le notti son lunghe se la paura m’incalza
se le voci di sopra mi scavano dentro
se uno strano presagio m’induce a pensare
che se ora chiudo gli occhi, giammai li riaprirò.

6

Epicedio

Non sento orti
dentro me
solo steppa e tundra
Nessun fruscio di crescita o di vita
Nessuna trasformazione
Nessun organo di luce
Soltanto scie grigie
come vortici di numeri di roulette
e lampi magri
come radici di pianta carnivora
che divora angeli e aerei
al di sopra delle nubi

Non sento porti
dentro me
solo navi bombardate
Nessun formicolio di pulsante gioia attiva
Nessun trasporto o sollevamento
Nessun roteare di fari
Soltanto voragini e banchine sbrecciate
solo ganci di gru abbandonate
che dondolano al vento come donne impiccate

Non sento morti
dentro me
solo scheletri e silenzi
Nessun ricordo spezzato
come un ombrello dal temporale
Nessuna ernia da sollevamento lapidi
Nessun cacciavite a inchiavardare bare
Soltanto un asindeto di visioni amare
solo semafori lampeggianti grigio
in incroci deserti orfani di clacson

Non sento forti
dentro me
solo tende strappate
Nessuna donna che si fa sull’uscio
a salutare l’uomo che va via
Nessuna casa dalla schiena di pietra
Nessuna chiesa con le croci intere
Soltanto ombre impresse sui muri
e ponti che percorre solo il vento
e solo il vento un giorno potrà ritornare.

7

Un giorno mi ritroverete

Un giorno mi ritroverete
a giocare
con i gabbiani
sul declivio di Ostenda
o con i loro colleghi
seduto sui foruncoli pietrosi
di Leça da Palmeira
Un giorno mi ritroverete
a bussare inutilmente
al teatro abbandonato
di Ulica Piotrkowska
o a camminare
sbandando da un muro all’altro
nelle calle della Candelaria
Un giorno mi ritroverete
ad ascoltare per ore intere
la sinfonia in re bemolle
del vento settembrino
nei caruggi o nei barrios
Un giorno mi ritroverete
a contare i mattoni
delle chiese di Bruges
o a farmi insultare
per le strade di Oslo.
Un giorno mi ritroverete.
Per adesso, smettete di cercarmi.

8

Palingenesi

Mi sembra impossibile
essermi lasciato la battaglia dietro di me
clangori d’armi
e quell’odore dentato
di carne e ferro
le urla che uscivano dagli occhi
le urla che rimanevano inscatolate negli elmi svitati dal busto
le urla che diventavano sangue
e come sangue si rapprendevano e si raffreddavano
E quante braccia che si levavano
da corpi immobilizzati e deliranti
come radici alla ricerca dell’acqua
Un tappeto di erba e rumore
è quello che gli zoccoli sotto di me
calpestano felpati
Non so da quanto sia
aggrappato alla criniera
a voltarmi indietro
sputando terrore a ogni secondo
Sono appena uscito dall’inferno
la testa ovattata
e quei rumori metallici
a scavarmi dentro
come cucchiaio
che s’ostina a pescare dal piatto
l’ultimo goccio di minestra
Deglutisco il mondo ad ogni momento
e poco dopo mi è di nuovo in bocca
mentre zolle si sollevano
e danzano attorno al galoppo
Nessuno ormai mi sta seguendo
sulla via che mi conduce a casa
tra poco sarò libero di riemergere dalla morte
In un’ansa del fiume mi fermo a bere
e pulire le ferite
Rivolgo il mio viso al Cielo
e i miei occhi si schiantano sulla nuca
Nelle orbite vuote
nidificheranno avvoltoi e vendette,
la mia lingua diventerà un’agave spinosa
Perfino il mio cavallo ha uno sguardo gelido
da gatto scalciato per la strada
non vede l’ora di fare la strada al contrario
e ritornare in quel campo di morte
a riprendersi l’orgoglio
Abbiamo diviso l’attacco e la fuga
il furore e la paura
soltanto per tornare a sentire le tue mani
Altrimenti saremmo rimasti là,
perdendo un brandello per volta
per aiutare più zolle possibili
a diventare fertili
La sera cade
e intravvedo la nostra casa
solo rovine, distruzione, il tuo corpo smembrato
le tue mani che non sanno più scaldarmi
le tue mani finite come un gioco qualsiasi
gli avvoltoi stanno riposando nelle mie orbite vuote.
Domani li porterò a nutrirsi.

9

Una vita fuori posto

Forte con i forti
debole con i deboli
incapace ad obbedire
non adatto a comandare
tangendo il successo
sempre un passo indietro
ed il corpo troppo avanti.

Forte con i forti
debole con i deboli
ho distrutto vite
senza fare prigionieri
trascinando le catene
per tenermi sveglio.

Ho lasciato una scia umida e nera
come lumaca ulcerosa e maledetta.
Ho lasciato in eredità
un banco vuoto
in una classe d’asilo.

Forte con i forti
debole con i deboli.

10

Ho vomitato l’anima

Ho vomitato l’anima
ieri
e adesso mi sento più leggero
posso nuotare libero
senza zavorre di rimorsi e cattiverie
Ho vomitato l’anima
ieri
e ho sporcato il cesso
Non so cosa mi uscisse dal corpo
sembrava limatura di ferro
mischiata a cotone insanguinato
forse aveva segato le sbarre
per poter scappare
forse si era ferita
forse infettata
Ho vomitato l’anima
ieri
ma non è stato come me l’aspettavo
Pensavo che attendesse
le trombe del Giudizio Universale
la barca di Caronte
o almeno un rintocco di diafane campane
Niente.
Non ce la faceva più a restarmi dentro.
Scalciava
Urlava
Soffocava
e io mi forzavo
sopportavo
perché pensavo che fosse indispensabile avere un’anima
e anche lei pensava d’aver bisogno d’un corpo
E’ strisciata via dalla mia bocca
la sua coda era lunga e spinosa
e si agitava guardandosi attorno
Ho vomitato l’anima
ieri
e chissà dov’è finita
Sembrava fatta di mercurio
imprendibile
come quando ce l’avevo dentro
e mi rovesciavano come un guanto
restando attoniti davanti alle mie pareti lisce
Ho vomitato l’anima
ieri
e oggi i Nullibisti di Henry Moore
mi vogliono già come loro capolista
alle prossime elezioni
Appena sei vuoto
vieni scelto per rappresentare gli altri
Un bidone che può contenere
più rifiuti possibili
Rifiuti di carta
Rifiuti di carne
Rifiuti nati per essere rifiuti
Rifiuti fatti per non essere rifiuti
Ho vomitato l’anima
ieri
e forse mi manca già:
non so più con chi mentire
quando sono solo
quando sogno solo
Il letto a volte m’ingoia
mi accoglie sorridente
e poi si piega a metà
come una pizza mangiata con le mani
e io mi sento digerito nei sogni
digerito bene quando non li ricordo
digerito male quando i miei occhi
al risveglio si spalancano di colpo e mi sputano fuori
Ho vomitato l’anima
ieri
e forse se ne sta nascosta nel sifone
arringando grumi di capelli, microbi, saponi
e incrostature nere di chissà cosa
Cosa starà dicendo di me?
Se ne parlerà male ogni mattina il lavabo
s’intaserà per sciopero
Eppure anche voi, Popolo dello Scarico,
avevate fiducia del mento che intravvedevate dal buco
Non lasciatevi corrompere anche voi come ho fatto io
ora lei è la vostra guida come lo è stata per me,
vi farà diventare profumati, bianchi & puliti
Un Popolo dello Scarico senza identità
Voi abituati a guardare dal basso in alto
e a provarci gusto
Come quando io bambino alzavo lo sguardo
e vedevo le nuvole marzoline
impigliarsi nei baffi di mio padre
o la mano di mia madre
che pendeva come una liana
a cui appendermi sicuro
Ho vomitato l’anima
ieri
e fu forse rigurgito infantile,
latte e biscotti al plasmon
scaldati dal mio giovane ventre
Avere un’anima al plasmon
Al napalm, al plancton, al clacson
Avere un’anima e vomitarla
e quel vomito animarlo
Non è colpa mia se anche stasera
sono costretto a inventarmi storie che nessuno mi racconta mai
e non è neanche questione
d’essere un eterno bambino,
perché gli altri non sono cresciuti
sono soltanto già morti
e al Cimitero sì, ci vado a giocare,
ma la noia ben presto si trasforma in zanzare buie
Mangio bestie morte fatte a fette
Ho l’immagine di un moribondo sopra il mio letto
Ho studiato e amato le opere di uomini morti
Le cose morte mi hanno sempre nutrito corpo e anima
E il primo è dannatamente vivo e instancabile
E la seconda addirittura è fuggita via
Ho vomitato l’anima
ieri
e chi se ne frega
Al primo freddo rientrerà da sola
come un gatto scappato sui tetti
che rientra starnutente e arruffato
Forse si starà proprio azzuffando
con i gatti che in varie epoche mi sono stati accanto
e che per tutta la loro vita
amarono di me soprattutto le mani
quando si trasformavano in ciotole piene
o in spazzole ossute calde
Ho vomitato l’anima
ieri
ma tu mi sei rimasta dentro
Eravate nella stessa cella
e lei se n’è andata senza dirti nulla
o sei tu che sei voluta restare:
ti manca poco per uscire regolarmente
perché scappare, dunque?
No, tu mi sei rimasta dentro
dentro come sempre
E’ uscito di tutto dal mio corpo
Umori, bestemmie, sogni, raffreddori, denti da latte
Adesso anche l’anima
E’uscito di tutto, dicevo,
tranne te
e tranne me
Ho vomitato l’anima
ieri
sembrava un mazzo di rose sul pavimento
come uno di quelli che mi facevano arrossire al ristorante
perché non sapevo cosa dovevo fare
e ti avrebbe tenute le mani occupate tornando a casa
Quelle mani, ahimè soltanto due,
che avrei voluto sanguisughe da salasso su di me,
dieci, venti soffici ventose tiepide sulla schiena
a togliere umidità, vuoto ed amarezza.
Ho vomitato l’anima,
ieri.

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