Il campo terminò bruscamente e, all'improvviso, si ritrovò a saltare oltre un fosso e a imboccare una strada a due corsie. Quando atterrò sulla strada, sbandò leggermente, a causa dell'impatto dei suoi talloni sull'asfalto. Guardò alla sua destra e vide il bagliore dei lampioni in lontananza. Amy era lì, da qualche parte in mezzo a tutto quel bagliore. Questa consapevolezza le fece spingere ancora di più sulle gambe, anche se urlavano dal dolore per i diversi chilometri che aveva già percorso attraverso la foresta e i campi per arrivare lì.
Corse lungo la strada, immaginando che ci fosse almeno un chilometro tra lei e quelle luci splendenti. Pensò al suo cellulare, perso da qualche parte nella foresta, e pensò a quanto sarebbe stato facile chiamare. Avrebbe voluto piangere per la frustrazione.
Mentre correva, si concesse di piangere. Corse singhiozzando e gonfiando i polmoni per il suo prossimo respiro.
In qualche modo, arrivò nel quartiere. Le gambe le sembravano di gelatina ed era così a corto di fiato che vedeva piccoli fuochi d'artificio neri esplodere nel suo campo visivo. Ma andava bene così, perché c’era quasi. Sarebbe arrivata da Amy. Amy avrebbe saputo cosa fare. Non era sicura che valesse la pena provare a contattare la polizia, ma forse non importava. Tutto quello che doveva fare era mettersi in contatto con Amy. Quel pensiero era un sollievo.
Per poco non cominciò a gridare il nome di Amy, mentre si avvicinava a casa sua. Solo altre quattro o cinque case e sarebbe stata al sicuro. I lampioni erano piuttosto fiochi, a causa della foschia dovuta alla recente pioggia, e l'intero quartiere sembrava uscito da un film dell'orrore, ma la casa di Amy era lì da qualche parte come un faro.
Si stava concentrando così tanto sulla forma delle case che non sentì il rumore del motore dietro di lei. Quando finalmente sentì la macchina, si guardò alle spalle. Quando la vide lanciata verso di lei a fari spenti, cercò di scartare verso destra, ma non servì a molto.
L'auto la colpì violentemente sul fianco destro. Si sentì tutta intorpidita per un attimo, mentre faceva una mezza capriola a un metro di altezza. Ma il dolore si abbatté su di lei come una furia scatenata quando impattò contro l’asfalto. La testa rimbalzò contro il selciato e il mondo si fece tutto nero.
Per questo non riuscì a vedere il volto della persona che parcheggiò l'auto in mezzo alla strada, scese e le puntò un coltello contro.
Sapeva che le stava tagliando la gola, ma il dolore alla testa e alla schiena mascherò beatamente quel dolore.
La vita iniziò ad abbandonare il suo corpo mentre l'assassino tornava alla sua auto.
L'assassino e la macchina erano entrambi scomparsi quando lei esalò l'ultimo respiro sulla strada bagnata dalla pioggia.
L'appartamento profumava di rosmarino e limone, mentre la cena cuoceva sui fornelli; la prima bottiglia di vino era stata aperta, e su Spotify c'era una canzone dei The Cure. A qualsiasi visitatore casuale, poteva sembrare che Mackenzie White stesse passando un pomeriggio splendido. Ma quello che non vedevano era la lotta interiore e l'ansia che le metteva i nervi e lo stomaco a dura prova.
Il pollo era pronto e gli asparagi erano nel forno. Mackenzie sorseggiò un bicchiere di vino rosso, cercando di trovare qualcosa da fare. Ellington era sul pavimento del soggiorno con Kevin, intento a leggergli un libro. Sollevò lo sguardo su di lei e alzò gli occhi al cielo. Quando arrivò a un punto della storia adatto per fermarsi, ovvero quando Poky il cagnolino era ancora una volta scivolato sotto il recinto, tirò su Kevin tra le braccia ed entrò in cucina.
"È solo tua madre" le disse. "Ti comporti come se stessimo per ricevere una visita dalla Finanza o qualcosa del genere."
"Tu non la conosci."
"Ti somiglia, per caso?"
"A parte la storia dell'abbandono, sì."
"Allora sono sicuro che sia a posto. Dimmi solo quanto fascino devo sfoderare."
"Non troppo. Non capirà le tue battute."
"Mi rimangio tutto, allora. Odio già quella donna." Baciò Kevin sulla fronte e scrollò le spalle. "Però ha il diritto di conoscere suo nipote. Non sei per niente contenta che voglia essere coinvolta?"
"Vorrei esserlo. Ma è difficile per me fidarmi di lei".
"Lo capisco. Neanch'io sono entusiasta quando si tratta di mia madre".
"Sì, ma almeno lei si è fatta viva quando hai avuto un figlio, no?"
"Questo sì. Ma non diamo per scontato che sia una cosa positiva. Potrebbero passare anni prima che ci rendiamo conto dell'impatto traumatico che questo ha avuto su Kevin".
"Non sto scherzando, E. Quella donna è tossica. È così…"
Lasciò la frase in sospeso, non sapendo come concluderla. Lei è così come? Egoista sarebbe stata una parola appropriata. Anche immatura. Quella donna si era essenzialmente chiusa in se stessa, dopo che il marito era stato ucciso e, di conseguenza, Mackenzie e sua sorella erano rimaste senza una grande figura materna.
"È tua madre" concluse Ellington. "E sono entusiasta di conoscerla."
"Ti ricorderò queste parole un'ora dopo il suo arrivo".
Si scambiarono un bacio ed Ellington tornò in salotto per continuare a leggere le disavventure di Poky il cagnolino. Mackenzie ascoltò mentre sorseggiava di nuovo il suo vino e cominciò ad apparecchiare la tavola. Diede un’occhiata all'orologio, notando che mancavano solo sei minuti all'arrivo di sua madre. Doveva ammettere che la cena aveva un profumo delizioso e Kevin era più adorabile che mai. Stava crescendo troppo, per i suoi gusti. Adesso si tirava su e se ne andava in giro; si aspettavano che da un giorno all'altro muovesse i primi passi.
Era un buon promemoria di quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva visto sua madre. Suo figlio stava per camminare e sua madre non aveva…
Un colpo alla porta interruppe i suoi pensieri. Lanciò a Ellington uno sguardo sorpreso, e per tutta risposta lui sorrise, riprese Kevin in braccio, e stese la mano libera verso di lei. Era da circa una settimana che si era tolto il gesso, ed era bello vederlo usare entrambe le braccia tranquillamente.
Lei prese la sua mano e lui la tirò a sé. "Ti ricordo che sai affrontare le persone peggiori che la nostra società ha da offrire. Sicuramente ce la puoi fare anche ad affrontare tutto questo".
Lei annuì e andarono insieme verso la porta. Quando la aprirono, Mackenzie dovette prendersi un momento per raccogliere i propri pensieri.
Sua madre era bellissima. Si era presa cura di se stessa, nei mesi passati dall'ultima volta che l'aveva vista; Mackenzie pensò che dovesse essere passato quasi un anno, ma non ne era del tutto sicura. Sembrava in salute e felice . I suoi capelli erano ben acconciati e sembrava più giovane di dieci anni rispetto ai suoi cinquantatré.
"Ciao, mamma. Mi sembri in forma".
"Anche tu." Spostò lo sguardo da Mackenzie a Ellington, che aveva Kevin in braccio. "Scusa. Non ci siamo ancora presentati ufficialmente".
Vedere sua madre e Ellington stringersi la mano fu oltremodo surreale. E quando Mackenzie vide Kevin studiare la strana donna sulla soglia di casa loro, il cuore le si strinse un po'. Aveva rivolto una specie di invito aperto a sua madre, poco meno di un anno prima, quando era andata in Nebraska a dirle che sarebbe diventata nonna. E le ci era voluto così tanto tempo per accettarlo. Almeno doveva riconoscerle che aveva rifiutato l'offerta di Mackenzie di pagare il biglietto aereo.
"Entra, mamma."
Patricia White entrò nell'appartamento di sua figlia come se stesse entrando in una specie di cattedrale, ovvero con riverenza e rispetto. Appena la porta si chiuse dietro di lei, guardò Kevin e poi, con le lacrime agli occhi, tornò a guardare Mackenzie.
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