Blake Pierce - Se lei udisse

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“Un capolavoro del genere thriller e giallo! L’autore ha sviluppato e descritto così bene il lato psicologico dei personaggi che sembra di trovarsi dentro le loro menti, per seguire le loro paure e gioire dei loro successi. La trama è intelligente e appassiona per il tutto il libro. Pieno di colpi di scena, questo romanzo vi terrà svegli anche la notte, finché non avrete girato l’ultima pagina.”
–-Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (a proposito del Il killer della rosa)
SE LEI UDISSE (Un giallo di Kate Wise) è il settimo libro di una nuova serie thriller psicologica dell’autore best-seller Blake Pierce, il cui primo best-seller Il killer della rosa (Libro 1) (scaricabile gratuitamente) ha ricevuto più di mille recensioni a cinque stelle.
Due teenager, a casa dal college per le vacanze invernali, vengono trovate morte nella loro città natale. Si tratta ovviamente della furia omicida di un serial killer, e l’FBI resta di stucco – ma l’agente dell’FBI Kate Wise, una cinquantacinquenne che ancora si sta riprendendo da un parto, riuscirà a entrare nella sua mente malata per fermarlo prima che un’altra ragazza muoia?
Thriller pieno di adrenalina dalla suspense al cardiopalma, SE LEI UDISSE è il libro numero 7 di un’affascinante nuova serie che vi costringerà a restare svegli fino a tarda notte per arrivare all’ultima pagina.
Il libro 8 della SERIE GIALLA DI KATE WISE sarà presto disponibile.

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«Kate?» disse il medico. La voce la strappò dai suoi pensieri, facendosi strada nel dolore dell’ultima contrazione. «Sei ancora con me?»

«Ah-ah.»

Era vero, anche se il mondo era una nebbia. La gravidanza era altamente rischiosa. Erano sorti problemi a partire dal quarto mese. Preoccupazioni per il peso del bambino, una gran paura quando il battito cardiaco del bambino era stato troppo lento, e adesso eccolo lì: con tre settimane di anticipo e sessanta etti in meno del peso considerato sicuro dal medico.

«Eccolo qui, Kate. Devi spingere, ok? Un’altra bella spinta e il tuo piccolo…»

Kate spinse, e la stanza si mise a girare. Era vagamente consapevole di avere Allen al suo fianco. Le teneva la mano e il viso accanto al suo mentre la incoraggiava. Le sfuggì un gemito per evitare con tutte le sue forze di urlare. Il mondo si offuscava sempre più mentre udiva le prima urla del neonato.

Vedeva tutto nebuloso quando il medico le posò il bimbo sul petto. Lo cullò tra le braccia e si mise a piangere. Odiava la parola miracolo , perché usata troppo spesso. Ma nel sentire il calore del bambino tra le braccia, tenerlo contro al suo corpo quasi sessantenne, pensò che lo fosse davvero… miracoloso.

Un bel pensiero a cui aggrapparsi mentre la stanchezza la inondava e dalla nebbia passava a un completo e perfetto riquadro nero.

***

Nelle settimane seguenti, Kate fu schiacciata da un’enorme ondata depressiva. Adesso che suo figlio era lì – suo figlio Michael, chiamato così in onore del suo defunto marito – aveva cominciato a ossessionarsi sui lati negativi di essere una novella madre a cinquantasette anni. Innanzitutto, doveva accettare il fatto di essere diventata, negli ultimi diciotto mesi, sia nonna che neomamma. C’era poi il fatto che quando il bambino sarebbe stato abbastanza grande da andare al college, lei sarebbe stata sull’ottantina. E pensare al college le aprì gli occhi sulla spesa aggiuntiva. Aveva abbastanza risparmi, ma aveva anche dei progetti – ossia viaggiare molto, dopo i sessanta. Ma adesso i progetti sarebbero dovuti cambiare.

Si chiedeva anche come avrebbe gestito davvero la cosa Allen. Certo, finora era stato fantastico. Si era dimostrato sinceramente entusiasta per la maggior parte della gravidanza, ma adesso il bambino c’era davvero e avrebbe cambiato le loro vite… soprattutto la vita di Allen. Innanzitutto, Michael era rimasto in ospedale tre settimane. Era stato in terapia intensiva neonatale mentre un team di medici si assicurava che prendesse peso. Kate si era persa quasi tutto, perché riprendersi era stato molto più difficile del previsto. Lo sforzo del parto le aveva fatto venire un gran mal di schiena e ne erano rimasti danneggiati anche i nervi femorali, così ogni tanto perdeva sensibilità alle gambe. Era stata dimessa ufficialmente dopo undici giorni.

A venti giorni dalla nascita, a Michael venne permesso di andare a casa. Pesava due chili e mezzo quando Kate lo mise nella culla per la prima volta. Nei due giorni che seguirono, Kate era stata una madre quasi ossessiva. Si assicurava che respirasse almeno cinque volte per ogni sonnellino e di notte; incombeva su Allen quando lo teneva in braccio lui, e non lo faceva prendere in braccio nemmeno a Melissa.

Quei due giorni l’avevano distrutta, e secondo lei era stato questo a deprimerla. Rimase a letto otto giornate intere, alzandosi solo per andare in bagno e fare la doccia, tre volte. Allen sostanzialmente in quel periodo era stato un padre solo, e in una di quelle nottate, Kate l’aveva sentito singhiozzare.

All’ottavo giorno, fu Melissa a convincerla a scendere dal letto. Bussavano alla porta della camera. Presumeva che fosse Allen e rispose con un intontito «Avanti.»

Quando vide che era Melissa, le venne voglia di piangere senza sapere bene il perché. Si issò sul gomito sinistro, sorpresa del dolore che provò nel muoversi. Restare a letto l’aveva resa dolorante.

«Lissa» disse. «Che sorpresa.»

Melissa sedette sull’orlo del letto e le prese la mano. «Come stai, mamma?»

«Non lo so» rispose, sincera. «Stanca. Devastata. Depressa.»

«Hai ancora fastidi alle gambe?»

«No, sembrano a posto. Da quando sono tornata a casa non ho più perso sensibilità.»

«Bene. Sapere che hai le gambe a posto mi farà sentire meno prepotente per ciò che dirò adesso.»

«Cosa?»

«Ti voglio bene, mamma. Ma è ora che scendi da questo cazzo di letto.»

«Lo voglio, davvero. Ma io…»

«No, mamma. Allen nell’ultima settimana si è spaccato il culo. Io l’ho aiutato dove ho potuto, ma lui mi lascia fare poco perché ha paura della tua reazione. Senti… lo so quanto dev’essere strana e spaventosa la cosa, ma devi affrontarla. Hai cinquantasette anni e hai appena avuto un bambino. E sei sopravvissuta. Adesso è ora di fare la madre. E, per esperienza personale, posso dirti che come madre sei proprio brava.»

Kate si mise seduta e guardò severamente la figlia. «Allen… sta bene?»

«No. È esausto e teme che tu non ti riprenda. Ma io gli ho detto di levarselo subito dalla testa. Tu sei una rock star. Mi ha detto come hai affrontato la gravidanza. E ti ho vista rivendicare la tua carriera come agente donna dell’FBI persino dopo il pensionamento. Ce l’hai fatta lì… quindi puoi farcela anche qui. Cosa più importante, eri entusiasta di riprendere la carriera a cinquantacinque anni. Quindi adesso è ora di entusiasmarsi per il bambino a cinquantasette.»

Kate annuì, e quando cominciarono a sgorgare le lacrime, non le trattenne.

«C’è solo una cosa che devo dirti» disse Melissa.

«Cosa?»

«Se ti serve che ti dica come si fanno i bambini, posso farlo. Mi pare che alla tua età dovresti sapere come stare tranquilla.»

Kate scoppiò a ridere. Le fecero male i fianchi, lo stomaco e la testa, ma allo stesso tempo fu bello. Melissa rise con lei, riprendendole la mano. «Cioè, dico sul serio. Mia figlia è più grande di suo zio. Ma com’è possibile?»

Kate rise ancora di più e si sporse verso la figlia. Si abbracciarono e così rimasero tanto a lungo che dopo un po’ Kate non riuscì a capire dove scemò la risata per riprendere il pianto.

Lentamente, Melissa l’aiutò a scendere dal letto. L’assistette per la doccia e mise persino sul fuoco una teiera mentre la madre si lavava. La doccia, un’azione semplicissima, aiutò moltissimo Kate a riprendersi. Ma, con sua meraviglia, fu anche stancante. Si sentiva un’invalida mentre faticava a vestirsi.

Mentre lei si divincolava per infilare le braccia in una t-shirt, Melissa entrò nella stanza per aiutarla. «Non credo di averti mai aiutata a vestirti» le disse. «È una fortuna che abbia fatto pratica con Michelle. Scommetto che lei non avrebbe mai pensato che sua nonna avrebbe avuto bisogno di aiuto per vestirsi.»

«Sei sempre stata così spiritosa?»

«Sì.»

Uscirono insieme dalla camera per andare nel soggiorno. Kate si guardò intorno, sconvolta dalla pulizia e dal silenzio. «Dove sono Allen e Michael?»

«Allen l’ha portato fuori per una passeggiata intorno all’isolato. Da tre giorni lo fa due volte al giorno.»

«Dio, ero così fuori?»

«Eh sì.» Melissa tolse il bollitore dal fornello e versò l’acqua calda nelle tazze, lì in attesa e munite delle bustine di tè. «Mamma… ce la farai?»

«Credo di sì. Prima o poi. È solo che è soverchiante. E mi ha sfiancata.»

«Pensavo di morire quando ho avuto Michelle. Non riesco a immaginare di partorire alla tua età.» Poi fece un sorrisetto e aggiunse: «Vecchiaccia.»

«Sai» disse Kate «per certi versi con gli anni diventa più facile starti lontana.»

Stavolta fu Melissa a scoppiare a ridere. Per Kate fu musica. Le scaldò il cuore in un modo che le era mancato. Tristemente, si accorse di non riuscire a ricordare l’ultima volta che aveva sentito Melissa ridere tanto.

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