Annie Vivanti - I divoratori

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– Ma perchè? – disse Fräulein. – Cosa ti viene in mente? – Poi visto che la bimba non rispondeva nè apriva gli occhi, la mite Fräulein Müller, scrollando il capo, obbedì.

… Quella stessa sera Nancy litigò coi suoi amici Bel Popò e Menton Fleuri.

Fräulein, nella penombra della nursery, ripeteva quasi sonnecchiando quei blandi ritornelli, quando al sesto « kikiriki » vide Nancy rizzarsi a sedere nel letto, colle guancie accese e gli occhi saettanti.

– Non dirlo più, – proruppe. – Guai a te se lo dici ancora. Non voglio più sentire quelle stupide cose.

Fräulein, attonita, ammutolì.

– Canta qualcos'altro, – disse Nancy.

Ma Fräulein non sapeva che cos'altro cantare. Tentò due o tre canzonette, con poco successo. Nancy tornò a sedere nel letto:

– Non voglio più sentire quelle parole sciocche che tu dici. Non puoi cantare solo la musica, senza dire le parole?

Fräulein si accinse con le labbra socchiuse a modulare dei suoni incerti, e stava appunto per scivolare nel Beethoven, quando Nancy si rizzò ancora:

– Oh, Fräulein! non far così! Prova a dirmi delle parole senza far quei brutti suoni. Dimmi tante parole, ma che siano belle!, finchè mi addormento.

La povera Fräulein dopo essersi provata a dire tutte le parole che le parevano belle, andò a prendere da uno scaffale un volume di poesia del Lenau; e, aprendolo al « Waldlieder », lesse ad alta voce a Nancy, finchè questa si addormentò.

Le sere seguenti lesse « Mischka »; e poi « L'Atlantica. » Quando ebbe finito il volume del Lenau, prese a leggere le ballate di Uhland. Poi lesse Körner; poi Freiligrath; poi Lessing.

Chi può dire ciò che Nancy udì? Chi sa quali visioni e fantasmi essa portò seco ogni notte? Sulla grande nave stellata dei suoi sogni ora non l'accompagnavano più – blandi e puerili – Bel Popò e Menton Fleuri; bensì salpavano con lei, grandi e strani, i vecchi poeti tedeschi, lungo-chiomati, dagli occhi torbidi, dal senso oscuro, dagli epiteti fulgenti.

Così, ogni sera, durante gli anni della sua puerizia, la piccola Nancy se ne partì per i suoi sonni con la scorta di liriche e madrigali, di sonetti e sirventesi, di odi ed elegie, cullata da ritmi cadenzati e da risonanti rime. E certo in una di quelle sere i poeti gettarono una malìa su di lei. Condussero la sua giovine anima così lontano, così lontano, che non le riuscì mai più di ritrovare la riva.

E Nancy non si svegliò mai completamente dai suoi sogni.

V

Una notte, nella sua casa a Milano, il vecchio architetto Giacomo Tirindelli – lo zio Giacomo di Valeria – mise sbuffando e brontolando le brevi gambe fuori del letto, e andò nella camera di suo figlio Antonio per vedere se c'era.

Non c'era. Già, suo padre se l'aspettava! Ma non per ciò fu meno indignato al cospetto della stanza vuota e e del letto intatto.

Accigliato e scrollando il capo andò alla finestra ed aprì le imposte. Milano dormiva. Deserta e silenziosa la via Principe Amedeo si stendeva davanti a lui; ogni alterno fanale spento indicava che la mezzanotte era passata. Un melanconico gatto traversò la via, rendendola più vuota con la sua presenza.

Lo zio Giacomo richiuse la finestra, e si diede a camminare in su e in giù nella stanza del figlio assente. Sulle pareti, sui tavoli, sul caminetto, sugli scaffali, stavano delle fotografie: Nunziata Villari, nella parte di « Teodora » in rigide vesti regali. Nunziata Villari nella « Cleopatra », vestita di soli gioielli. Nunziata Villari nella « Margherita Gauthier », in camicia da notte – o così parve ai torvi sguardi dello zio Giacomo. – La Villari da « Norah », la Villari da « Saffo », la Villari da « Francesca »… Più in là, in disparte, un ritrattino da ragazzetta guardava da una vecchia cornice, e sotto alla figuretta rigida, stava una dedica sbiadita: « Al caro Antonio, la sua cugina Valeria ».

Lo zio Giacomo si fermò con un sospiro davanti al ritratto della sua nipote prediletta, ch'egli aveva un giorno sperato di chiamare figlia.

– Stolta creatura, – brontolò, fissando il gaio visino vacuo, – stolta creatura che è andata a sposare quel pover'uomo d'inglese, quando poteva invece sposare quel cretino ingrato di mio figlio!

Qui un altro profilo di Nunziata Villari gli saltò agli occhi, e poi ancora Nunziata Villari tutta capigliatura e sorriso…

Egli ebbe il tempo di imparare a memoria ogni lineamento di quella strana faccia ardente, prima che il portone di casa si aprisse e i rapidi passi di suo figlio echeggiassero sulla scala.

Antonio, che già dalla strada aveva visto il lume in camera sua, entrò con baldo sorriso.

– Ciao, papà! Perchè non sei a letto?

Accolse l'inevitabile contro-domanda con una scrollatina di spalle e un gesto d'ambe le mani un po' meridionale (un gesto che piaceva tanto a Theodora!).

– Ma babbo mio! io ho ventitrè anni, e tu… no. – E battè con gesto affettuoso e irritante sulla spalla tonda di suo padre.

– « Jeune homme qui veille, vieillard qui dort, sont tous deux près de la mort », – citò suo padre, tetro e severo.

– Eh, babbo mio! – E Antonio rise (di quel suo riso arguto e sottile che Cleopatra trovava irresistibile!). – Se la vita è breve, che sia almeno bella! – E accese una sigaretta.

Giacomo fremeva. Aveva anche freddo ai piedi, e la sua veste da camera gli era stretta. Suo figlio, gaio e soddisfatto di sè, lo esasperava.

– Non ti vergogni? – disse additando drammaticamente le file di fotografie. – Quella vecchia commediante cinquantenne…

– Scusa, – trentottenne! – corresse Antonio, mettendosi a sedere nell'unica poltrona.

– Una marionetta, un'arlecchina, che ogni facchino di piazza può andare a contemplare a piacer suo per cinquanta centesimi! Una donna di cui il marito, piuttosto che starle vicino, è scappato in capo al mondo…

– Scusa, in America, – interpose Antonio.

– … colla cuoca! – E lo zio Giacomo emise un grugnito d'indignazione.

– Temo infatti che Nunziata faccia una esecrabile cucina, – disse Antonio, inarcando le sopracciglia e sporgendo le labbra per soffiarne il fumo a cerchietti (nella maniera che Phaedra trovava così suggestiva!).

– Insomma, basta così, – disse suo padre. – Sono venuto per dirti che partiamo domani per l'Inghilterra. Régolati.

– Per l'Inghilterra? Domani? Ma cosa dici? – Antonio era scattato in piedi. – Ma tu sei matto, babbo mio! O fai per scherzo?

Come vide che suo padre aveva l'aria poco scherzosa, continuò, agitato:

– Ma cosa ti viene in mente di voler andare in Inghilterra?

Giacomo tentennò l'irta testa arruffata.

– Ho telegrafato avant'ieri; dopo un certo discorso che mi ha tenuto tua cugina Adele…

– Quella viperetta gelosa, – mormorò Antonio.

– … Sul conto di questa… Signora, – e Giacomo accennò col mento alle inconscie ed arridenti Nunziate Villari. – Ho telegrafato, come dico, a Hertfordshire, dicendo a tua cugina Valeria…

– Ah! Valeria! adesso capisco, – disse Antonio con un risolino sarcastico.

– Precisamente. Ho telegrafato a Valeria che venivamo a trovarla. Ed ella ha risposto che ne era felicissima, e che sua suocera ne era felicissima, e che tutti erano felicissimi. Dunque partiamo. E subito. E staremo in Inghilterra tre mesi, sei mesi, dieci anni, finchè non ti sarà passata questa mattana.

– Sì, sì; tu pensi ancora a Valeria, lo so, – disse Antonio ridendo. – Oh, babbo, babbo! sei un incorreggibile sognatore! Non è mai stato che un sogno quel tuo desiderio di tanti anni fa. Valeria era tutt'occhi per il suo Inglese, allora. Ed ora che è morto sarà tutta lagrime per lui. Vedrai! – Si avvicinò alla corta ed irata figura paterna e gli mise un braccio intorno al collo. – Sta qui, papà, sta qui. Pensa al viaggio, come è incomodo. Resta e goditi la tua buona vita calma.

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