Annie Vivanti - ...Sorella di Messalina

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Alberto che non capiva il tedesco abbozzò un sorriso che poteva essere di assenso o di protesta.»

—Quanto a me—diss'ella subitamente,—vi avverto che sono una persona corretta e per bene, nonostante il mio strano contegno. Ho molte conoscenze eminenti, e frequento la migliore società.

—Non ne dubito,—disse Alberto.

—Ho messo quell'annuncio un po' per capriccio, un po' per trovare qualchecosa o qualcuno di nuovo, di inedito, di diverso... di attraente.... d'inquietante....

—Ed io, sarei forse tutto ciò?—chiese Alberto appoggiandosi indietro alla spalliera della seggiola.

—Tutto ciò,—disse la signora, guardandolo fisso.—Ed altro ancora.

Alberto, sentendosi molto disinvolto e mondano, fece un inchino. E le chiese il permesso di accendere una sigaretta.

—Siete anche molto bello,—soggiunse la signora, guardandolo mentre il fiammifero gli illuminava il volto di sotto in su. E, per prevenire l'immancabile risposta di lui, che ella indovinava, aggiunse subito sorridendo:

—Anche questo, è vero, l'annuncio lo esigeva! Non essendo bella io...

Alberto fece un debole mormorio di protesta.

—D'altronde... la bellezza...—riflettè lei, stringendosi nelle spalle,—in fondo qual'è la bellezza che conta? la bellezza che veramente ci dà la gioia? Quella degli altri. A me che importerebbe ora di essere una Venere Anadiomène se dovessi star qui seduta accanto a uno spauracchio? Se dovessi parlare e sorridere con un gorilla o un orangutan? No, no! ciò che conta—e di nuovo fissò il giovane con quello strano sguardo penetrante e acuto—ciò che conta è la bellezza altrui. Per me, l'importante è che siate bello voi.

Alberto, non sapendo che cosa rispondere, tacque. Ed ella, dopo un breve silenzio, riprese:

—Quanto a noi donne non belle, abbiamo sulle altre un immenso vantaggio; questo: che l'uomo non ci teme. L'uomo anche più cauto e circospetto si avvicina alla donna non bella con un senso di tranquillità e di sicurezza, «Questa donna», egli pensa, «non è pericolosa; sarà una creatura di tutto riposo che non mi farà mai soffrire». E calmo egli si confida e si affida a lei. La donna, frattanto, se è astuta e sa quello che fa e quello che vuole, ha il tempo di esplicare le sue arti, di tramare le sue insidie... E quando l'uomo vuole riprendersi, liberarsi, lasciarla... non lo può. La donna brutta lo tiene, lo possiede più profondamente che qualsiasi altra.

—Ah!... certo!—fece il cortese Alberto, crollando saggiamente il capo.

La signora lo guardò e rise. Indi gli offrì l'astuccio delle sue sigarette ch'erano violentemente profumate.—Voi, per esempio, non avete per nulla paura di me.

—Paura? Veramente, no.—disse Alberto.

—Lo so; io sono una creatura innocua.—E sorrise ancora. (Se il biblico rettile del giardino d'Eden possedeva un sorriso, doveva assomigliare al suo).—Mi accompagnate fino a casa?

Alberto la accompagnò fino a casa, una bella casa in corso Umberto; e camminando conversarono di svariate cose. Sulla porta ella gli tese la mano da baciare.

—Venite a trovarmi domani alle cinque. Volete?

Sì; Alberto voleva. E lasciatala con un corretto inchino egli rientrò nella sua « garçonnière » in Corso Cairoli, sentendosi molto calmo e molto soddisfatto di sè, del suo fisico, della sua serata e del mondo in generale. E, sì!... anche di Piero.

Si svestì in fretta; e dormì bene.

II

—... Non voglio chiamarvi «Alberto»,—disse la signora, ricevendolo all'indomani in un salotto crepuscolare tappezzato di raso arancino.—Faccio troppa fatica a pronunciarlo. Vi chiamerò Giorgio.

—Sì, sì. Chiamatemi pure Giorgio,—fece Alberto che sentiva già di essere un altro uomo.—Ed io, come devo chiamarvi?

—Chiamatemi Raimonda,—disse la signora, offrendogli in una piccola tazza di giada un fluido rosato, di pungente effluvio e di una dolcezza d'idromele.

—Raimonda!... Che bel nome!—fece Alberto.

—Io non mi chiamo affatto così,—spiegò la signora;—ma cambio nome a seconda di chi è con me. Oh! quelle donne che sono sempre Maria, o Cecilia, o Caterina per tutti gli uomini indistintamente! Che banalità!... Io no. Io sono una donna diversa per ogni persona che mi avvicina. Per voi, io sono Raimonda.

Alberto trovò questa idea assai originale. E mentre beveva il liquido misterioso e gli sguardi anche più misteriosi che fluivano per lui dall'anfora di giada e dagli occhi chiari della dama, sentì che davanti a lui si schiudeva in un nuovo e deliziante aspetto il panorama dell'esistenza.

Ella frattanto gli esponeva le sue teorie sugli uomini e sulle cose, teorie che erano—o ad Alberto parevano—assai avventate e originali.

—Vorrei—disse Alberto chinando l'agile corpo in avanti e poggiando il gomito sul ginocchio—conoscere il vostro pensiero sull'amore e la vita...

—«L'amore e la vita», dite voi?—La donna tacque, tacque di proposito, un lungo momento, come tacciono le attrici sulla scena. Poi, alzando gli occhi in cui passavano dei bagliori verdi.—Ma io non comprendo che l'amore... e la morte.

—L'amore e la morte? Perchè?

—Perchè l'amore è una cosa eterna e terribile come la morte.

—Brrr!...—fece Alberto ostentando un brivido.

—Non ridete, non ridete!—ammonì lei, corrugando la sottile linea nera delle sopracciglia.—Io detesto che si rida delle cose gravi. E l'amore è una cosa grave; l'amore è una cosa tragica e solenne. Io non concepisco l'amore che comincia con un sorriso e termina con un sospiro.

—E come volete che termini?—azzardò il giovane.

Ella lo saettò con gli occhi.

—Non deve terminare, non può terminare,—esclamò.—Io non ammetto che un uomo, il quale oggi mi ama, possa un giorno lasciarmi, riprendere la sua vita come se nulla fosse, parlare, camminare, ridere, scordare... o peggio! ricordare !... Ah!—e la signora rabbrividì,—è un pensiero mostruoso, abominevole.—Abbassò la voce e fissò nel giovane quei suoi occhi chiari, quasi fosforescenti tra le ciglia socchiuse:—Aveva pur ragione Messalina!... o era la duchessa di Nesle?... che quando aveva finito di amare un uomo lo faceva strozzare e gettare nel pozzo!

—Deliziosa amante!—fece Alberto, non potendo trattenere il sorriso.—Voi dunque, fareste gettare nel pozzo l'uomo che vi avesse amata?

Ella gli fissò in viso quel suo sguardo strano, senza rispondere, e Alberto ripetè l'interrogazione, variandola un poco.

—Voi non ammettete che un uomo che vi ha amata, vi lasci?

—L'uomo che mi ha amata—disse lei con voce profonda,—non mi lascia... che per morire.

Alberto di nuovo sorrise a questa macabra dichiarazione.

—Misericordia!—esclamò.—Quale truce modo di amare!

—È l'unico modo,—ribattè lei, e la sua voce era bassa e calda nella bianca gola pulsante—l'unico! Badate ch'io non parlo nè della tenerezza, nè dell'amicizia, nè dell'affetto; parlo dell'amore: di questa cosa crudele spietata truculenta che esige l'inesorabile e l'eterno. E di inesorabile e d'eterno non vi è che la morte.

Queste teorie parvero ad Alberto alquanto eccessive ed esaltate. D'altronde, era in tutto bizzarra la sua nuova conoscenza. Alberto notò che si profumava il fazzoletto coll'etere.

Egli si compiacque di quest'atmosfera inusitata, ma non ne fu per nulla turbato. Accomiatandosi disse a lei che sarebbe tornato l'indomani; e a sè stesso disse che non sarebbe tornato più. Già, aveva molto da fare: doveva finire la Madonna per la chiesa di Laghet, e il ritratto della baronessa Ferrari; e poi quello dell'ex-sindaco di Chieri. Anche una «Danzatrice Araba» e una «Ebe Giovinetta» dovevano essere pronte per l'Espositione di Venezia. No; non aveva davvero tempo da perdere.

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