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Anne Rice: Il ladro di corpi

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Anne Rice Il ladro di corpi
  • Название:
    Il ladro di corpi
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2001
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1915-5
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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È la solitudine, la “maledizione” che si è impadronita di Lestat, affascinante e incontrastato principe del cupo universo dei vampiri. Sulla dolorosa, inarrestabile onda di quella solitudine, Lestat ha accarezzato un bruciante desiderio: rinascere come mortale, liberandosi del suo corpo di “non-morto” e impadronendosi invece di un corpo “vivo”, per dimenticare la sua condizione di tenebroso viaggiatore della notte e riprovare l’ebbrezza dei sensi umani, avvertire di nuovo sulla pelle il calore del sole, vivere il giorno in tutte le sue ore, non soltanto tra il crepuscolo e l’alba. E qualcuno, quel desiderio, può renderlo realtà, soddisfacendo così anche il proprio anelito a diventare vampiro, almeno per un breve periodo: l’ammaliante Raglan James, il Ladro di Corpi, che da tempo insegue Lestat lasciando dietro di sè tracce e indizi delle sue straordinarie ed enigmatiche capacità. Il Ladro di Corpi si rivelerà ben presto più sinistro e malvagio di qualsiasi demone e trascinerà Lestat in un viaggio interminabile, da New Orleans a Barbados, da Miami alla giungla amazzonica, costringendolo altresì a riscoprire ciò che aveva dimenticato da secoli: la sofferenza e l’angoscia insite nella natura umana…

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E pensare che io dovevo penetrare in quei luoghi come un mediocre ladruncolo!

Quando mi avvicinai a David, nelle marmoree sale dagli alti soffitti regnava il silenzio assoluto. Lui era seduto sulla lunga panca di legno reggendo con noncuranza la copia del Faust ormai piena di orecchie e segnalibri.

Era intento a osservare il dipinto: ritraeva alcuni eminenti olandesi che, riuniti intorno a un tavolo, trattavano questioni di commercio e nel contempo guardavano serenamente lo spettatore dal di sotto delle ampie tese dei grandi cappelli neri. Quello era, grosso modo, il soggetto del quadro. I visi apparivano superbi, soffusi di sapienza e mitezza nonché di una pazienza quasi angelica. Invero quegli uomini sembravano più angeli che semplici esseri umani.

Davano l’impressione di custodire un grande segreto che, se fosse stato conosciuto dagli altri uomini, avrebbe bandito dalla terra ogni guerra, vizio o cattiveria. Come potevano, persone siffatte, essere sindaci della Corporazione dei Drappieri nella Amsterdam del XVII secolo?

Ma continuiamo il racconto.

Quando apparvi, scivolando in silenzio fuori dell’ombra, David trasalì. Mi sedetti accanto a lui.

Ero vestito come un vagabondo, giacché ad Amsterdam non avevo un alloggio vero e proprio, e i miei capelli erano arruffati a causa del vento.

Per un lungo istante rimasi in assoluto silenzio, aprendogli la mia mente con un atto di volontà che gli offrì una visione del mio stato d’animo. David seppe che ero preoccupato per lui e che, per amor suo, avevo cercato di non disturbarlo.

Il battito del suo cuore era rapido. Quando mi rivolsi a lui, il suo viso aveva un’espressione che rivelava calore e genuina disponibilità.

Allungò la mano e strinse con forza il mio braccio destro. «Come sempre sono felice di vederti, davvero molto felice», disse.

«Ma io ti ho fatto del male, lo so.» Non volevo raccontargli di come l’avevo seguito, ascoltando la sua conversazione con l’altro inglese, ne soffermarmi su ciò che avevo visto coi miei stessi occhi.

Mi ero ripromesso che non lo avrei tormentato con le solite, vecchie domande. Eppure vidi la morte quando lo guardai, forse anche per via della sua cordialità e della forza dei suoi occhi.

Lui mi rivolse un lungo sguardo pensieroso, poi ritirò la mano e tornò a osservare il quadro.

«Esistono al mondo vampiri dal volto simile?» chiese, indicando gli uomini che ci fissavano dalla tela. «Mi riferisco alla saggezza e alla consapevolezza che traspare da quei visi. A qualcosa che è indice d’immortalità più di un corpo soprannaturale che, per ragioni fisiche, lega la propria sopravvivenza al sangue umano.»

«Vampiri dal volto simile?» ripetei. « David, questo è sleale. Non esistono uomini con volti simili, ne sono mai esistiti. Prendi uno qualsiasi dei dipinti di Rembrandt: è assurdo credere che persone così siano mai esistite, tantomeno che abbiano vissuto ad Amsterdam ai tempi dell’artista, o che ogni uomo o donna che abbia bussato alla sua porta fosse un angelo. No, ciò che vedi in quei volti è Rembrandt. E Rembrandt è immortale, naturalmente.»

Sorrise. «Non è vero. E che disperato senso di solitudine c’è in tè. Non capisci che non posso accettare il tuo dono? E se io accettassi, che cosa penseresti di me? Desidereresti ancora la mia compagnia? E io, desidererei ancora la tua?»

Udii a malapena le ultime parole. Stavo fissando il dipinto, osservando quegli uomini che apparivano davvero come angeli. Una rabbia silenziosa s’impadronì di me: non volevo più rimanere lì. Sebbene avessi rinunciato al mio attacco, lui si era sentito in dovere di difendersi da me. No, non sarei dovuto venire.

Spiarlo, quello si, ma non avrei dovuto fermarmi lì con lui. Ancora una volta, mi mossi per andare.

David s’infuriò. Udii la sua voce risuonare nel grande spazio vuoto. «È disonesto da parte tua andartene in questo modo! Davvero scortese! Non hai una dignità? Che ne è delle buone maniere se non rimane una traccia di dignità?» Poi tacque, dal momento che io non mi trovavo più lì, come se fossi davvero svanito, e lui era semplicemente un uomo solo che parlava a voce alta nella fredda immensità del museo.

Provavo vergogna ma ero troppo offeso e in collera per tornare da lui, sebbene non capissi il perché di quelle sensazioni. Che cosa avevo fatto a quell’essere? Marius mi avrebbe di certo rimproverato.

Vagai per Amsterdam per ore. Trafugai un po’ di spessa carta pergamena del genere che preferivo e una di quelle penne automatiche a punta fine che sembrano non finire mai l’inchiostro. Quindi andai a scovare nel vecchio quartiere a luci rosse una piccola taverna rumorosa e misera, frequentata da prostitute e da giovani vagabondi drogati: lì avrei potuto scrivere una lettera a David, inosservato e indisturbato per almeno tutto il tempo in cui avessi tenuto davanti a me un boccale di birra.

Non avevo le idee chiare su cosa intendessi scrivere. Sapevo soltanto che, in qualche modo, dovevo spiegargli che ero dispiaciuto per il mio comportamento e che, mentre guardavo gli uomini ritratti da Rembrandt, qualcosa era scattato nella mia anima. Scrissi così, in modo rapido e serrato, questa specie di resoconto.

Hai ragione. È stato spregevole il modo in cui ti ho lasciato o, peggio ancora, è stato vile. Prometto che quando c’incontreremo di nuovo ti lascerò dire tutto ciò che desideri.

Ho una mia teoria su Rembrandt. Ho passato molte ore a studiare i suoi dipinti, ad Amsterdam, a Chicago, a New York e ovunque li abbia trovati: come già ti ho detto, non credo che siano esistite tante anime nobili come i suoi quadri ci vorrebbero far credere.

Questa è la mia teoria e, quando la leggerai, ti prego di tener presente che essa concilia tutti gli elementi coinvolti. E ti ricordo che questo genere di «sistemazione» offriva la misura della compiutezza di una teoria prima che la parola «scienza» arrivasse a significare quello che indica oggi.

Io credo che Rembrandt, quand’era giovane, abbia venduto la sua anima al Diavolo. Si trattò di un semplice contratto: il Diavolo promise di rendere Rembrandt il pittore più famoso del suo tempo, gli mandò orde di mortali per i suoi ritratti, gli diede ricchezza, una splendida casa ad Amsterdam, una moglie e più tardi un’amante, perché era sicuro che alla fine avrebbe avuto in cambio la sua anima.

Ma l’incontro col Diavolo aveva cambiato Rembrandt. Avendo visto con innegabile evidenza il male, l’artista si ritrovò ossessionato dalla domanda: che cos’è mai il bene? Andava alla ricerca di volti per i suoi dipinti, scegliendoli per il loro intrinseco senso del divino e, con grande stupore, fu in grado di cogliere un barlume di quel bene nei più meschini degli uomini.

Era tale la sua perizia (ti prego di comprendere: possedeva tale abilità fin da principio, non l’aveva ricevuta dal Diavolo) che non solo riusciva a vedere l’essenza del bene, ma poteva anche dipingerlo. La conoscenza e la fede che aveva in esso permeavano l’insieme dell’opera.

Ritratto dopo ritratto, arrivò a cogliere la grazia e la bontà del genere umano in modo sempre più profondo, comprendendo l’attitudine alla compassione e la saggezza che risiede in ogni anima. La sua abilità si accrebbe col tempo: la percezione dell’infinito divenne sempre più acuta, la figura stessa Sempre più precisa e ogni opera sempre più serena e grandiosa.

Alla fine, i volti ritratti da Rembrandt non erano più soltanto volti di carne, bensì sembianze spirituali che permettevano di scorgere ciò che si nasconde nel corpo dell’uomo o della donna, le loro potenzialità e la loro intima essenza, colte nel momento più alto.

Questo è il motivo per cui i sindaci della Corporazione dei Drappieri somigliano ai più anziani e ai più saggi dei santi.

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