Edmond Hamilton - Agonia della Terra

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Una bomba superatomica viene lanciata, da una nazione sconociuta, su una piccola città americana dove si cela un centro per le ricerche atomiche. L’esplosione ha per effetto di rompere la continuità del tempo e sbalestrare la piccola città, intatta, in un’epoca dell’avvenire, a milioni di anni nel futuro, in una Terra morente e arida, inabitabile e deserta. La Federazione delle Stelle, che governa tutti i mondi del futuro, interviene per evacuare la popolazione della città su un altro pianeta. Ma la popolazione si ribella, e, con l’aiuto di uno scienziato del futuro, alla Terra morente viene iniettata una potente carica atomica che ha la virtù di riscaldarla nuovamente. Gli ultimi superstiti rimangono quindi sulla Terra rinata e la vita degli abitanti della piccola città può riprendere il suo corso normale, nella eterna storia dell’Universo.

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Edmond Hamilton

Agonia della Terra

1

Il cataclisma

Kenniston comprese più tardi che quella era proprio come la morte. Sapeva che avrebbe dovuto morire, un giorno o l’al­tro, ma non ci credeva. Sapeva che la guerra atomica, tanto temuta, poteva cominciare con un colpo a tradimento, ma non lo aveva mai creduto.

Non lo aveva mai creduto, cioè, fino a quel mattino di giu­gno, quando la bomba cadde proprio su Middletown. Non ci fu, del resto, tempo per accorgersene. Non si può dire o vede­re una cosa che arriva più veloce del suono. Stava cammi­nando per Mill Street, verso il laboratorio, e si accingeva a parlare alla guardia che veniva verso di lui, in quel momento, il cielo si spalancò.

Fu come se la volta celeste si fendesse in due, e sopra tutta la città scesero un calore e una vampata di luce cosi rapidi, così violenti che l’aria stessa parve incendiarsi e divampare in una fiammata enorme. In quella frazione di secondo, mentre il cielo fiammeggiava e il terreno sobbalzava violen­temente, Kenniston capì che quello era l’attacco di sorpresa tanto temuto e che la prima bomba superatomica era esplosa sulla città...

Quello doveva essere l’effetto dello spostamento d’aria, pensò Kenniston, mentre si trovava disteso, con la bocca sul marciapiede viscido. Proprio lo strano effetto che impedisce ai morenti di sentire dolore. Rimase così, disteso, ad aspetta­re la fine. Ma il bagliore accecante che aveva attraversato il cielo svanì e la terra tornò immobile. In una frazione di se­condo era tutto finito.

Doveva essere morto. Oppure, molto probabilmente, stava morendo adesso, e ciò spiegava forse la luce offuscata e quello spaventoso silenzio.

Riuscì ad alzare la testa e si rimise poi in piedi, tremante, col respiro grosso e il cuore che gli batteva furiosamente, mentre cercava di reprimere l’impulso di mettersi a correre, chissà dove. Guardò lungo Mill Street. Si aspettava di vedere edifici polverizzati, crateri fumanti, fuoco, vapori e devasta­zioni. Ma quel che vide era assai più sorprendente e, strano a dirsi, anche più spaventoso.

Vide cioè che Middletown si stendeva come sempre, im­mutata e pacifica, sotto il sole.

La guardia alla quale stava per parlare prima dell’esplosio­ne era ancora là, davanti a lui: si stava rialzando lentamente, aiutandosi con le mani e coi ginocchi, nel punto dove la scos­sa l’aveva gettata. Aveva la bocca spalancata e il berretto gli era ruzzolato lontano. Più in là, c’era una vecchia con uno scialle sulla testa. Anche lei si trovava in quel punto prima dell’esplosione. Si appoggiava ora al muro e guardava il sac­chetto di provviste che le era caduto a terra sfasciandosi e spandendo in giro cipolle e scatole di conserve. Automobili e autobus si muovevano ancora in fondo alla strada e stavano rallentando per fermarsi. Nient’altro.

La guardia si avvicinò a Kenniston.

Era un giovane svelto e intelligente, ma adesso aveva la faccia inespressiva e gli occhi imbambolati.

«Che cos’è successo?» domandò con voce rauca.

«Siamo stati colpiti da una bomba, una superatomica» rispose Kenniston. Le sue parole sembravano strane e im­probabili anche a lui.

«Siete pazzo?» disse l’uomo, fissandolo stupito.

«Sì, credo di esserlo davvero. Credo proprio che questa sia l’unica spiegazione.»

Il suo cervello ricominciava a ragionare. L’aria si era fatta improvvisamente fredda e strana. La luce del sole si era affie­volita, aveva una colorazione rossastra e non riscaldava più. La vecchia, stretta nel suo scialle, piangeva. Poi, sempre piangendo, si mise in ginocchio. Kenniston credette che vo­lesse pregare; si mise invece a raccogliere le sue cipolle, con gesti impacciati come quelli di un bambino, cercando di ri­metterle nel sacchetto di carta che si era strappato.

«Ma certo!» disse la guardia. «Ho letto tante cose, sulle bombe superatomiche, nei giornali. Ho letto che sono migliaia di volte più potenti delle atomiche di una volta. Se una superatomica colpisse una città, la distruggerebbe completamente.» Si convinceva sempre più di quanto af­fermava. «Quindi, non dev’essere stata una superatomica. Questo è certo.»

«Ma non avete visto quella tremenda vampata in cielo?» disse Kenniston.

«Certo che l’ho vista, ma...» E qui la faccia della guar­dia si rischiarò. «Be’, deve essere stata una bomba che ha fatto cilecca. Hanno voluto spaventare tutto il mondo con questa superatomica... e poi non è nemmeno scoppiata.» Rise rumorosamente, con visibile sollievo. «Non è ridico­lo? Vi raccontano su tutti i toni, per anni, quanto è terribile, e poi fa soltanto una vampata come una girandola di fuochi artificiali!»

Poteva anche darsi che fosse così, pensò Kenniston, con un selvaggio impeto di speranza. Poteva anche darsi che fos­se così.

Poi guardò in alto, e vide il sole.

«Forse è stata solo una fanfaronata, sin dal principio» continuò la guardia. «Forse non avevano nemmeno la su­peratomica!»

Kenniston, senza abbassare gli occhi dal sole, parlò con le labbra aride: «L’avevano, l’avevano, purtroppo. E ne hanno usata una contro di noi. E credo anche che noi siamo morti e non lo sappiamo ancora. Non sappiamo ancora che non sia­mo più che spiriti e non viviamo più sulla terra.»

«Non viviamo più sulla terra?» proruppe la guardia, adirata. «Be’, sentite...»

Ma le parole si spensero in un mormorio, mentre i suoi oc­chi seguivano la direzione dello sguardo di Kenniston e si fis­savano nel sole.

Non era il sole! Non era, cioè, il sole che essi e tutte le ge­nerazioni d’uomini che li avevano preceduti avevano visto sempre e conosciuto come una luminosa orbita dorata. Questo sole, che ora vedevano, lo potevano guardare benis­simo, senza nemmeno socchiudere gli occhi. Potevano guardarlo a lungo, finché volevano, perché non era più che una grossa palla rossastra, con una sottile aureola di splen­dore ai margini. Si trovava più in alto, nel cielo. E l’aria era più fredda.

«Non è più allo stesso posto» disse la guardia. «E sem­bra diverso.» Rimase assorto, cercando di ricordarsi le no­zioni imparate a scuola, poi riprese: «La rifrazione, dev’essere. La polvere sollevata da quella bomba della malora, che ha fatto cilecca!»

Kenniston non volle insistere. A che poteva servire? Non valeva certo la pena di dirgli ciò che egli, come scienziato sa­peva benissimo, che cioè nessun possibile fenomeno di rifra­zione avrebbe mai potuto influire sul sole in quel modo e far­gli assumere un aspetto simile.

«Può darsi che abbiate ragione» disse, semplicemente.

«Ma certo, che ho ragione!» disse la guardia, ad alta vo­ce. Ma non guardava più, lassù nel cielo, verso il sole; sem­brava volesse evitarne la vista.

Kenniston riprese la strada lungo Mill Street. Stava per andare al laboratorio, quando quella cosa terribile era acca­duta. Continuò in quella direzione. Voleva sapere ciò che Hubble e gli altri gli avrebbero detto, su quanto era accaduto.

Rise un po’, parlando fra sé.

«Sono uno spettro che va a discorrere con altri spettri, della nostra improvvisa morte.» Poi si riscosse, con un sen­timento di ribellione e di fermezza: «Smettila! Sei uno scienziato. A che serve, la scienza, se perdi così facilmente le staffe di fronte a un fenomeno inspiegabile?»

Quella, tuttavia, era una sottovalutazione degli avveni­menti. Una superatomica scoppiata su una cittadina di cin­quantamila abitanti, e nulla mutava, fuorché il sole nel cielo. Era qualcosa di più che un fenomeno inspiegabile.

Kenniston proseguì la sua strada. Camminava in fretta perché l’aria era stranamente fredda. Non si fermò a parlare con le persone sbalordite che incontrava. Si trattava, per lo più, di operai che stavano avviandosi al lavoro negli stabili­menti di Middletown, quando il fatto era accaduto; e stavano ora discutendo di quel lampo e di quella fiammata improvvi­si. La parola che Kenniston udiva più frequentemente era terremoto. Non apparivano tuttavia preoccupati, quegli uo­mini. Sembravano eccitati e forse erano anche soddisfatti che qualcosa fosse venuto a interrompere la grigia unifor­mità della loro vita. Alcuni di loro guardavano su, nel cielo, quello strano sole rossastro, ma sembravano più perplessi che preoccupati.

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