Gregory Benford - Nel cuore della cometa

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Nel cuore della cometa: краткое содержание, описание и аннотация

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Ogni 76 anni ritorna uno dei più affascinanti e misteriosi visitatori che l’umanità ricordi: la Cometa di Halley. Il suo passaggio più recente è ancora fresco nella memoria, ma questo straordinario romanzo ci parla del prossimo appuntamento, e della spedizione di un gruppo di scienziati su Halley, non solo per scoprirne i misteri, ma per trasformarla in un luogo adatto alla vita. Tra meraviglie tecnologiche e sforzi sovrumani di adattamento, i segreti sepolti nel cuore della cometa (tutt’altro che priva di forme di vita) trasformano un immane progetto di colonizzazione in una spietata lotta per la sopravvivenza. Tuttavia, le minacce non vengono solo da un ambiente irriducibile, ma anche dagli stessi membri della spedizione, un complesso microcosmo che riproduce tensioni, conflitti e pregiudizi che hanno portato la Terra sull’orlo della catastrofe; ma soprattutto c’è il drammatico confronto tra due “forme” umane, quella naturale degli Orthos, e quella manipolata geneticamente dei Perceli. Uno sfondo da cui emergono tre grandi protagonisti, dai quali dipende il futuro della missione: Carl Osborn, Saul Lintz e, soprattutto, Virginia Kaninamanu Herbert, impegnata ad esplorare le frontiere fra l’intelligenza umana e quella artificiale. E il lungo viaggio della cometa nelle profondità dello spazio procede fra eventi memorabili e tremende avversità, in un alternarsi di trionfi e delusioni. Esperienze però che ogni volta lasciano appena intuire le incredibili prospettive che ancora attendono la colonia di Halley. Un grandioso affresco, che ha pochi eguali per ricchezza d’idee ed efficacia narrativa, dove si ritrovano tutti i più grandi temi della fantascienza.

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— Non hai firmato qualche piccolo accordo riservato sulla Terra?

Virginia corrugò la fronte. — Certo che no. Ascolta, ci saranno sempre delle voci secondo cui il tale o il tal altro hanno un contrattino extra per far filtrare fuori qualche scoperta. Chi lo sa, forse qualcuno trasmetterà qualcosa sulla Terra su raggio ristretto prima che noi torniamo, e troverà una bella mazzetta ad aspettarlo su un conto svedese.

— Non mi sorprenderebbe. Con quattrocento persone che faranno i turni di guardia nell'arco di settant'anni, ci saranno possibilità in abbondanza per imbrogliare.

Virginia agitò imbronciata il suo calice a bolla pieno di pina colada, con una cannuccia rosa. A Carl i festosi colori del salone parevano fuori posto dal momento che il nudo acciaio e il vuoto si trovavano soltanto a pochi metri da là. Era probabile che gli psicologi avessero pensato che chiazze tropicali di ambra, verde e oro potessero strappare la gente dalla cruda realtà, ma con lui non funzionava.

Virginia disse lentamente: — C'è un vecchio detto: Le persone normali scelgono i propri amici, ma un genio sceglie i propri nemici.

Carl fece una smorfia: — Cosa vuoi dire con questo?

— Sono gli ortho a dirigere questa spedizione, concesso. Se noi creiamo un attrito, essi potranno fare molto di più per renderci difficile la vita.

Carl ci rifletté un momento: — D'accordo. Concesso. Questo, comunque, non cambia i miei scopi.

Virginia annuì. — Ah, sì. La Terza Fase.

Carl si rendeva conto del fatto che, per lei, le sue opinioni erano troppo semplicistiche, un'approvazione troppo pedissequa della dottrina delle colonie della Terra Vicina. Tuttavia, onestamente, non riusciva a vedere come lei non potesse essere d'accordo.

Un secolo di lotte aveva finalmente dato all'umanità la tecnologia per sfruttare il sistema solare: mezzi di trasporto efficienti, apparecchiature meccanizzate per l'assemblaggio e l'estrazione mineraria, biosfere artificiali integrate di qualunque dimensione necessaria.

Adesso, argomentavano i coloni, era il momento di spostarsi fuori.

I satelliti senza equipaggio erano stati il primo livello dello sfruttamento dello spazio: Altopiano Uno. Molto indietro nel tempo, negli anni intorno al 1980, la gente aveva fatto miliardi con i satelliti per le comunicazioni. Avevano salvato molte vite umane con i satelliti metereologici.

Le fabbriche spaziali automatiche che utilizzavano i materiali luaari erano state il successivo gradino: Altopiano Due.

Ognuno degli altopiani era stato scalato dai pochi che ne avevano capito i vantaggi molto in anticipo e avevano corso enormi rischi a causa di quella visione. Altopiano Due era quasi fallito, prima di trasformarsi in un rampante miracolo economico, contribuendo a districare il mondo dal Secolo dell'Inferno.

Ogni ascesa pareva provocare un'apprensione terrocentrica: prima, che l'investimento potesse fallire; poi, che la culla dell'umanità venisse relegata a un ruolo di pura periferia. Ciò era aggravato dagli interminabili problemi sociali della Terra: malesseri che le colonie spaziali, com'erano progettate, non condividevano. Le Norme sulla Nascita e l'Infanzia, le quali imponevano che ogni bambino nato nello spazio dovesse passare almeno cinque anni a terra, erano un'espressione legale delle paure latenti.

Altopiano Tre era un sogno, un problema politico, un punctum dolens economico, un atto di fede: tutto contemporaneamente. Ma adesso le grandi colonie rotanti erano possibili. Adesso i coloni consideravano le Norme sulla Nascita e sull'Infanzia come simboli dei lacci di un grembiule che ormai, da tempo, stava loro piccolo. Volevano sfruttare gli asteroidi rocciosi e la Luna, ma avevano anche bisogno delle sostanze volatili per i propellenti e la biosfera. Avevano perfino finanziato una minuscola miniera di ghiaccio su Ganimede, ma non aveva funzionato molto bene.

Alcuni vedevano nelle comete la chiave, e credevano ferventemente che gli esseri umani potessero sparpagliarsi per il sistema solare come i semi d'un soffione, se soltanto avessero imparato a intruppare quelle antichissime palle di neve entro orbite dove potessero venir utilizzate.

Virginia si abbandonò languidamente sulla sua sedia a rete. — Non puoi aspettarti che Mamma Terra molli l'osso facilmente.

— Hanno tutto da guadagnare. Gli porteremo asteroidi a iosa, materiali grezzi, gli forniremo nuovi mercati…

Virgina lo fermò sollevando una mano. — Per favore, conosco a memoria la litania. — Un'espressione divertita di finta pazienza a lungo sopportata le passò fugacemente sul volto, disarmandolo all'istante. Forse non era intesa in quel modo, ma con un singolo gesto lei riusciva a farlo apparire, agli occhi di se stesso, goffo, lento di comprendonio, troppo ovvio nei suoi discorsi. E, forse, lo sono davvero. Ho vissuto nello spazio più della metà della mia vita da adulto.

— Soltanto perché ti è familiare, non significa che sia sbagliata.

— Carl, pensi davvero che estrarre sostanze volatili dalle comete possa portare il millennio?

— Dove altrimenti, possiamo trovare fluidi a basso costo? — Per lui, quello era l'asso nella manica, un freddo fatto economico. Proprio agli inizi del sistema solare, quel giovane sole caldo aveva soffiato via la maggior parte degli elementi leggeri verso l'esterno, lontano dalle zone interne. Soltanto la Terra aveva conservato abbastanza elementi volatili da rivestire il suo mantello roccioso di una sottile pellicola d'aria e d'acqua. Quando gli esseri umani si erano avventurati nello spazio per sfruttare le risorse che vi si trovavano, gli asteroidi, la Luna, Marte, avevano dovuto trasportare i propri fluidi dalla Terra.

— Sicuro — disse Virginia. — Prendi il ghiaccio dalle comete! Fra ottant'anni saremo di ritorno, gloria agli eroi, ai conquistatori! Ma per allora qualcuno potrebbe aver scoperto dei laghi ghiacciati nelle viscere della nostra Luna. Oppure aver trovato un sistema economico per intaccare i crio-asteroidi fuori dalle lune gioviane… chissà?

Carl la fissò stupefatto. — È pazzesco! Non c'è nessun modo di affrontare il costo per calarsi nel pozzo gravitazionale di Giove, soltanto per recuperare acqua e ghiaccio. Il progetto Giove lo sta dimostrando.

Lo sguardo di lei ebbe un guizzo. — E allora? È forse più facile dare la caccia alle comete?

I suoi occhi scuri lo stuzzicavano, Carl lo sapeva, ma non poteva desistere.

— Vale la pena di provare, Virginia. Nessuno ha ancora trovato il modo di guidare le comete, a meno che noi non riusciamo a far funzionare il sistema della dispersione dei gas verso l'esterno. Nessuno troverà i volatili sulla Luna o su Venere perché sono stati prosciugati. Non è possibile esplorare gli asteroidi ed estrarre i minerali soltanto con l'aiuto dei mech, perché trovare i metalli è ancora un'arte, non una scienza. Comete inaridite come Encke non possono venire intruppate proprio perché non c'è alcun modo di usare con esse, per guidarle, la dispersione dei gas verso l'esterno. Così…

— Mi arrendo, mi arrendo! — Virginia sollevò in alto entrambe le mani.

Carl sbatté le palpebre. Oh, per l'inferno! pensò. Perché mi lascio sempre trascinare?

Una profonda voce maschile disse, da dietro le spalle di Carl: — Non accettare così in fretta la sconfitta, Virginia. Prima chiedi i rinforzi.

Carl si girò di scatto mentre Saul Lintz prendeva posto su una morbida poltrona verde, a rete, lì accanto, e infilò il suo bicchiere dentro un incavo a pressione sul loro tavolo. Era magro e stagionato. I suoi movimenti della bassa gravità misurati e decisi.

— Sei arrivato troppo tardi — replicò Carl, cercando qualcosa di sagace da dire, per redimersi. — Ho già ammesso che sono noioso.

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