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Christopher Paolini: Eragon

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Christopher Paolini Eragon

Eragon: краткое содержание, описание и аннотация

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Un ragazzo. Un drago. Un mondo di avventure. Quando Eragon trova una liscia pietra blu nella foresta, è convinto che gli sia toccata una grande fortuna: potrà venderla e nutrire la sua famiglia per tutto l’inverno. Ma la pietra in realtà è un uovo. Quando si schiude rivelando il suo straordinario contenuto, un cucciolo di drago, Eragon scopre che gli è toccata in sorte un’eredità antica come l’Impero. Forte di una spada magica e dei consigli di un vecchio cantastorie, dovrà cavarsela in un universo denso di magia, mistero e insidie, imparare a distinguere l’amico dal nemico, dimostrare di essere il degno erede dei Cavalieri dei Draghi...

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Prese il pugnale dal cuscino e lo calò di piatto sulla pietra. Una nota argentina risuonò nell’aria, per poi sfumare lentamente. Eragon si allarmò: temette che la pietra fosse stata scalfita. Merlock la inclinò verso di loro. «Non troverete nessun graffio o ammaccatura nel punto in cui l’ho colpita. Non credo che riuscirei a danneggiarla nemmeno se usassi un maglio.»

Garrow incrociò le braccia con espressione dubbiosa. Su di loro calò il silenzio. Eragon era sconcertato. Sapevo che la pietra è comparsa sulla Dorsale grazie alla magia, ma è stata fatta con la magia? A quale scopo? «Quanto vale?» domandò di getto.

«Non so dirvelo» rispose Merlock, perplesso. «Sono sicuro che certe persone pagherebbero una fortuna per entrarne in possesso, ma nessuna di loro si trova a Carvahall. Se volete trovare un compratore, vi consiglio di provare nelle città a sud. Da queste parti si tratta solo di una curiosità... non di un oggetto che valga la pena di comprare quando c’è bisogno di tante altre cose più utili.»

Garrow alzò gli occhi verso il soffitto della tenda, come un giocatore d’azzardo che calcola le probabilità. «Allora, vuoi comprarla o no?»

La risposta del mercante fu immediata. «H gioco non vale la candela. Forse potrei trovare un compratore danaroso durante uno dei miei viaggi primaverili, ma non posso darvi alcuna garanzia. E se anche lo trovassi, voi dovreste aspettare l’anno prossimo per avere i soldi. No, temo che dovrete rivolgervi a qualcun altro. Però sono curioso... Perché avete insistito a volermi parlare in privato?»

Eragon mise via la pietra prima di rispondere. «Perché» esitò, adocchiando il mercante nel timore che sarebbe esploso come Sloan. «perché l’ho trovata sulla Grande Dorsale, e alla gente di qui non piace quel posto.»

Merlock lo guardò, stupito. «Conoscete la ragione per cui io e i miei compagni siamo arrivati tardi quest’anno?»

Eragon scosse la testa.

«I nostri viaggi sono stati costellati di disgrazie. Ih Alagasëia sembra regnare il caos più assoluto. Siamo stati perseguitati da malattie, aggressioni e dalla più nera delle sfortune. Poiché gli attacchi dei Varden si sono fatti più frequenti. Galbatórix ha costretto le città a inviare altre truppe ai confini, uomini che invece sono necessari a combattere gli Urgali. Quei mostri stanno migrando a sudest, verso il Deserto di Hadarac. Nessuno sa perché, ma non sarebbe così grave, se non fosse che attraversano le zone popolate. Sono stati avvistati sulle strade e vicino ad alcune città. Peggio ancora, c’è chi parla di uno Spettro, anche se queste voci non hanno trovato conferma. Non sono molti coloro che sopravvivono a un simile incontro.»

«Perché non ne sapevamo niente?» esclamò Eragon.

«Perché» rispose Merlock in tono cupo «è cominciato tutto appena qualche mese fa. Interi villaggi sono stati costretti a migrare perché gli Urgali hanno devastato i loro campi e la carestia incombe.»

«Sdocchezze» grugnì Garrow. «Non abbiamo visto nessun Urgali; runico da queste parti ha le corna appese nella taverna di Morn.»

Merlock scosse la testa. «Può darsi, ma questo è un piccolo villaggio nascosto fra le montagne. Non mi sorprende che siate scampati al pericolo. Tuttavia ritengo che la vostra tranquillità non durerà a lungo. Vi ho parlato di queste cose perché anche qui hanno cominciato ad accadere strani eventi, visto che il ragazzo ha trovato la pietra sulla Grande Dorsale.» Detto questo, li congedò con un inchino e un lieve sorriso.

Garrow prese la via del ritorno verso Carvahall. Eragon gli trottava alle spalle. «Cosa ne pensi?» chiese allo zio. «Mi servono altre informazioni prima di farmi un’idea precisa. Riporta la pietra sul carro e poi fa’ quello che vuoi. Ci vediamo a cena da Horst.»

Eragon s’infilò tra la folla e corse dove avevano lasciato il carro. Gli affari avrebbero trattenuto lo zio per ore, e lui aveva tutte le intenzioni di trascorrerle a divertirsi. Nascose la pietra sotto i sacchi e tornò al mercato con passo baldanzoso.

Si fermò davanti alle bancarelle a studiare la mercanzia con l’aria di chi intende comprare, malgrado le scarse risorse. Parlò con i venditori, e tutti confermarono quello che aveva detto Merlock sul fragile equilibrio di Alagasëia. Il messaggio era sempre lo stesso: la tranquillità dello scorso anno ci ha abbandonati; nuovi pericoli si profilano all’orizzonte; nessuno è più al sicuro.

Comprò tre bastoncini di malto caramellato e una tortina alle ciliegie appena sfornata. Si lasciò pervadere con piacere dal calore del dolce, dopo le lunghe ore di freddo patito. Leccò via lo sciroppo appiccicoso dalle dita, dispiaciuto di non avere un’altra tortina, poi si sedette sui gradini di un portico a mordicchiare un bastoncino di caramello. Poco lontano c’erano due ragazzi di Carvahall che giocavano, ma non aveva voglia di unirsi a loro.

Con l’avvicinarsi del tramonto, i mercanti proseguirono i loro commerci dentro le case del villaggio. Eragon aspettava impaziente la sera, quando sarebbero arrivati i trovatori a narrare storie e a esibirsi in giochi di prestigio. Adorava i loro racconti che parlavano di magia, degli dei e, se erano particolarmente fortunati, dei Cavalieri dei Draghi. Carvahall aveva un proprio cantastorie. Brom, un amico di Eragon, ma i suoi racconti erano invecchiati col passare degli anni, mentre i trovatori avevano sempre qualcosa di nuovo da dire, qualcosa che lui ascoltava con passione.

Eragon aveva appena spezzato un ghiacciolo che penzolava dal portico quando vide passare Sloan. Il macellaio non si accorse di lui, così Eragon chinò il capo e ne approfittò per sgusciare dietro un angolo e infilarsi nella taverna di Morn.

Il locale era caldo, impregnato del fumo grasso emanato dalle candele di sego. Le corna nere e lucenti dell’Urgali, larghe quanto le sue braccia distese, erano montate sull’architrave della porta. Il bancone era lungo e basso, con una rastrelliera di stecche di legno da un lato, dedicate ai clienti in vena d’intaglio. Morn serviva al banco, le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. La parte bassa del suo viso era tronca e schiacciata, come se avesse appoggiato il mento su una mola. I tavoli di quercia erano gremiti di gente intenta ad ascoltare due mercanti che avevano concluso presto i loro affari ed erano entrati a bere una birra.

Morn alzò lo sguardo da un boccale che stava pulendo.

«Eragon! Che piacere vederti. Dov’è tuo zio?»

«In giro a far compere» rispose Eragon con una scrollata di spalle. «Ci metterà parecchio.»

«E Roran, c’è anche lui?» domandò Morn, passando a pulire un altro boccale.

«Sì, niente animali malati a tenerlo a casa quest’anno.»

«Bene, bene.»

Eragon indicò i due mercanti. «Chi sono?»

«Commercianti di granaglie. Hanno comprato a prezzi così bassi da essere ridicoli, e adesso stanno raccontando un mucchio di storie, e si aspettano che noi ci crediamo.»

Eragon capì perché Morn era turbato. La gente ha bisogno di denaro. Non possiamo farne a meno .

«Che tipo di storie?»

Morn sbuffò. «Dicono che i Varden hanno stretto un patto con gli Urgali e stanno ammassando un esercito per attaccarci. A quanto pare, è solo grazie al nostro augusto sovrano che siamo rimasti incolumi per così lungo tempo... come se a Galbatorix importasse un accidente se le nostre terre vengono devastate… A ogni modo, valli a sentire. Io ho di meglio da fare che starti qui a spiegare le loro panzane.»

Il primo mercante entrava a stento nella sedia; a ogni movimento, il legno gemeva sotto il peso. Il suo volto era imberbe, le mani tozze e grassocce erano lisce come quelle di un bambino, e per bere dal boccale arricciava le labbra carnose come una comare petulante. Il secondo aveva una faccia rubiconda, con una pappagorgia flaccida piena di noduli di grasso, come grumi di burro rancido. In confronto al viso e al collo, il resto del corpo era di una magrezza innaturale.

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